Il Bosco verticale e il magnifico sradicamento dal sacro

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Il primo tempio degli umani furono gli alberi.

Sulla misteriosa genesi degli umani sul Pianeta Terra, c’è un elemento su cui concordano, nella sua assoluta rilevanza, moderni paleontologi e mistici: gli alberi. Anche la scienza afferma oggi che proprio tra fronde e rami, potrebbe essere stata la prima “casa” dell’Adam (il maschio e la femmina). 

Questa matrice condominiale primigenia, se da un lato relega i primitivi, o pretesi tali, alla stregua di scimmie, dall’altro, se si considera che in oggetto ci sono creature che poi sarebbero divenute creature umane, pone l’albero al livello di albero maestro. Maestro di cosa? Di vita.

La conoscenza, che si concorderà essere insieme all’amore, la linea di confine tra bestie e noi, le due scintille che hanno messo in moto l’evoluzione, potrebbe dunque essersi delineata nel suo START proprio attraverso le verdi impalcature ossigenanti e protettive. Gli alberi furono forse capaci di fornire senso: sia singolarmente, sia nel loro affascinante insieme di farsi foreste, ovvero famiglie o comunità, di alberi… di umani?

Non si sa se già all’inizio del viaggio lungo la propria spina dorsale, e neppure esattamente quando, l’Adam già parlasse o comunicasse, ma non è da escludere che fin dall’inizio cercasse una risposta. Pur non avendo alfabeto, oppure traendo alfabeto da ciò che c’era intorno, che seppur pauroso, non era caos, ritornava. 

E dunque perché non credere che la sacralità della domanda, non potesse trovare una risposta, proprio in questi rifugi su cui erano venuti al mondo, gli alberi? Di cosa erano fatti, erano fatti di noi? Poteva esserci relazione oggettiva manifesta tra la casa e l’abitante?

Le coincidenze di tipo biologico sono innumerevoli. Riguardano i cinque elementi di cui è fatta la natura (spremuta di cielo e terra), che si fanno sintesi negli alberi e similmente si fanno sintesi negli umani, come se nel corpo umano proseguisse il canto di cielo terra, il Bigbang; ci sono poi speculazioni che riguardano il modo, la via, che ha la conoscenza di salire verso i piani alti della conoscenza fino alla presenza, nella pratiche taoiste o Yogiche come nella Cabala. Tuttavia qualunque speculazione, teoria, idea, intuizione sulla profonda relazione che lega umani ed alberi, deriva dall’energia vitale. Ed essa ha una costituzione, una legge unica e fondamentale. 

Si manifestava nel sentirsi radicare, ovvero l’essere soggetti alla forza di gravità, e simultaneamente un crescere, un tendere, un andare verso il sù. Dagli alberi veniva un’altra conferma, forse la prima, di essere parte di cielo e di terra, essendo fatti della stessa energia.

Gli alberi recano in sé la stessa dualità di ogni umano: sono fatti di cielo e di terra in modo evidente. Tendono energicamente sia al radicarsi, sia al crescere (lo Yin e lo Yang, si dirà centinaia di migliaia di anni). O meglio forse al radicarsi per crescere. 

Dunque gli alberi, proprio nella loro qualità essenziale di radicarsi nel terreno espandendosi in orizzontale e al contempo ascendere verso il cielo rarefacendosi sempre più, facendosi sempre più con sottili e piccole le foglie, parlarono agli umani. E gli umani che li contemplavano che li vedevano tutti questi alberi, cosa potevano evincere del lavoro quotidiano di alberi che stagionalmente, dato non secondario, regalavano frutti buoni da mangiare, come una manna piena di universo?

Il doppio di cielo/terra continuava il viaggio, diventava doppio di radici e fronde, diventava noi, noi chi? Si veniva al mondo sui rami all’inizio forse? 

La rifrangenza dei raggi di sole tra le foglie e l’ombra degli acquitrini pericolosi a terra, segna dunque all’inizio del nostro tempo i boschi quasi come un utero di protezione in un contesto assai duro e privo di appigli di conoscenza. Dunque salvezza. 

“Noi veniamo dagli alberi” come “Noi siamo somiglianti agli alberi” potrebbe essere stato un pensiero, o almeno non è da escludere che possa essere passato nel cranio di qualche antichissimo progenitore, facendo germogliare il primo solco dell’anima, emozionandolo, verso l’età dell’oro. Creature forse più spirituali perché sorelle e fratelli degli alberi, seppur matti di adrenalina, osservatori fin dall’inizio, sospesi in quei condomini che la Terra forniva; e ci volevano muscoli di bestia, sia le gambe sia le braccia insieme, dunque un vivere arrampicandosi su quegli alberi, che furono anche il primo tempio. L’andare necessario di energia vitale che proseguiva anche nel battito del cuore, nella corteccia a manifestare il cielo e la terra, il visibile e l’invisibile, legando in uno solo andare lo spogliarsi e fiorire, nascere e morire. 

Non slogan elettorali, ma fatti oggettivi che non poterono che avere una pregnanza assoluta per quelle scimmie forse tanto impaurite dall’avere bisogno di sapere ed evolversi, per non avere paura più, per trovare una via che dalla paura li sradicasse: il coraggio. Così si scese dagli alberi e si uscì dai boschi, ma dei boschi e degli alberi cosa restò cosa si scrisse nell’Ada?

Sempre nel loro cammino dentro l’eternità, gli umani riconobbero tradizionalmente proprio nel bosco il simbolo oscuro di un viaggio originario, che se attraversato consapevolmente portava alla conoscenza, al compimento, all’essere. 

Non è infatti nel bosco che inizia ogni fiaba umana? E dove finisce ogni fiaba umana se non in un bosco ucciso?

Bosco verticale a Milano

Bosco verticale e Bosco della droga. La spaccatura del Tao dell’universo. 

In una recente trasmissione di Rai 3 (aprile 2019), nominata Ossigeno e condotta da Manuel Agnelli, l’architetto del Bosco verticale Stefano Boeri, invitato come ospite, afferma che per contrastare i problemi di inquinamento urbano delle città del mondo, come Milano, sarebbe necessario attuare una politica di riforestazione urbana, come ad esempio Il bosco verticale. Le vertiginose immagini della struttura, scorrono sul video a corredo delle esternazioni dell’archistar rilasciate in trasmissione. Tuttavia, se la trasmissione fosse stata corredata anche di contraddittorio, a Boeri si sarebbe potuto chiedere, sempre in seno alla nobile politica di riforestazione:

“Dottor Boeri, è possibile nominare bosco, un bosco che ha radici non in terra ma in cielo?”

Ed ancora:

“Il bosco verticale è più “bosco”, secondo il suo status originario, o più immagine di  bosco impiantata nella profondità di campo biologica della realtà?”

Senza discutere della palese magnificenza dell’opera architettonica in questione  -peraltro responsabile di avere fatto schizzare in sù la carriera e la percezione di avanguardia del capoluogo lombardo nel mondo- è possibile comunque riferirsi al Bosco verticale per osservare come l’energia vitale sia giunta alla sua irrimediabile frattura psichica con la natura, tanto da portare al sacro non più la potenza di cielo e terra, bensì la potenza della mente, che come in ogni lotta tribale sancisce la propria presunta dominazione, umiliando il nemico: la natura dunque, la vita e la morte, il limite e il respiro, insomma: il bosco, la prima conoscenza degli umani, viene pubblicamente impalato. 

Sul sovvertimento scriteriato del limite imposto dall’alfabeto dell’oggettiva condizione non immortale degli umani, e sull’ignoranza dei binari di cielo e terra del vivere, del suo interno meccanismo, si gioca anche la blasfemia seducente, la bestemmia, del Bosco verticale. 

Il considerare legittima e necessaria tale torre di Babele, di cemento ed ego, il realizzarla davvero e non solo l’immaginarla, ha conseguentemente costi altissimi in termini di equilibrio. Forse lo stesso costo dell’aver disobbedito al monito biblico di non mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male, che significa non liberare senza criterio la mente, a saccheggiare. Almeno non oltre il limite. 

Dunque se Yang è il cielo, l’informazione, e Yin la terra, la forma, con il Bosco verticale a quali livelli di caricamento energetico è giunto lo Yang? Si è superato un limite? Se Yang è la psiche, fino a dove viene proiettata in alto?  E a quale prezzo? Cosa ne è oggi dello Yin? 

Nel suo arrampicarsi verso l’alto, fino a Marte (come dichiarato dallo stesso Boeri a Fedez nel podcast del 2020 “Muschio Selvaggio”) questo folle condominio, che sale facendosi sempre più sottile, sempre più cielo, in quale stato lascia la terra? 

La conseguenze di non sottomettersi alla legge della forza di gravità,  a non sottomettersi alla terra, al mutamento e alla morte, archetipicamente incarnata da Ponzio Pilato testimonial dell’impero Romano, il pretendere di essere solo cielo immortalità, nonostante le cellule, si manifesta e si rivela proprio sulla terra: quale parte di noi si continua a mettere in croce? 

Se il sistema di conoscenza è “il concetto di bosco a Milano”, all’arrampicata verso il cielo -lo Yang- del Bosco verticale, è il Bosco della droga, Rogoredo -lo Yin- il controcanto. Ed insieme ne producono il senso. 

Il bosco di Rogoredo reca perfettamente lo Yin, il suo comportarsi quando è abbandonato, ovvero non più fecondato. Osserviamolo come un diaframma che si spacca: non più acceso dal seme dell’informazione divina trattenuto a forza in cielo, lo Yin, che è la Terra, tende a farsi voragine, a discendere come un deserto nell’ombra, pieno di fantasmi, senza luce. “Padre, perché mi abbandoni?”

Sembra il bosco dei suicidi di Dante, ma è limpidamente il dark side, del lucente Yang del Bosco verticale. Esattamente come il precipitare degli umani è la conseguenza del delirio della Torre di Babele. 

Yin e Yang, cielo e terra, si manifestano nel loro squilibrio psichico proprio su Milano, nei suoi boschi che boschi non sono più, eppure boschi si nominano. Non sono boschi originari, ma continuano entrambi, gli emblemi boschivi, a modo loro, uno nella luce estrema, l’altro nell’estrema ombra, uno nell’estremo salire, l’altro nell’estremo discendere, il loro lavoro simbolico di bosco: il perdersi.

Un perdersi che giunge conseguentemente al suo estremo appunto, rivelando proprio su Milano l’ allucinazione di un perdersi sì, ma destinato a non più ritrovarsi, a non più farsi compimento, a non più farsi lieto fine. Come forse era possibile un tempo,  in origine, quando i boschi erano boschi, e il solo campo elettromagnetico era il cielo e la terra. E la rete a cui connettersi era l’universo, e gli alberi ne erano le antenne.

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