Gloomy Sunday, il canto ungherese del suicidio

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Come qualsiasi espressione artistica, la musica è specchio dell’anima del suo autore. Che sia una sinfonia di Beethoven o un dozzinale e martellante tormentone estivo, una parte anche minima del bagaglio di esperienze del compositore entra in gioco nel momento dell’elaborazione del brano.

Ed è proprio il nostro bagaglio di vita, le esperienze e le inclinazioni personali, che ci spingono a prediligere un genere musicale o un artista piuttosto che un altro. Il nostro stesso stato d’animo può essere determinante ai fini della scelta. Quanti di noi hanno l’autolesionista abitudine di ascoltare brani mortalmente cupi in momenti di difficoltà? D’altra parte, la musica sa essere empatica senza fare domande e senza essere invadente, parlando di noi per bocca di qualcun altro.

Ma quando è la musica stessa a guidare le nostre azioni? A conti fatti, non è un concetto particolarmente innovativo: stuoli di sedicenti esperti hanno, ad esempio, attribuito la responsabilità del massacro della Columbine High School alle canzoni di Marilyn Manson e addirittura le atrocità compiute dal serial killer Richard Ramirez sono state ricondotte alla passione di quest’ultimo per gli AC/DC.

Nei casi citati si tratta chiaramente di mortificanti banalizzazioni di un fenomeno complesso quale il comportamento anti-sociale, le cui cause non sono ancora del tutto chiare.

La vicenda legata alla cosiddetta “maledizione” di Gloomy Sunday tuttavia è ben diversa. Questo brano del 1933, il cui titolo originale è Szomorú vasárnap (“triste domenica” in ungherese) , è avvolto da un’aura talmente sinistra che fino al 2002 è stato bandito dal palinsesto radio della BBC.

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Rezső Seress – Gloomy Sunday – artwork realizzata da All India Roundup

Cosa può esserci di così pericoloso in un’innocua canzone? Molto, stando a quanto si dice. Solo tre anni dopo l’incisione del brano, difatti, iniziò a circolare un’inquietante leggenda metropolitana surrogata da un buon numero di coincidenze sospette, in base alla quale Gloomy Sunday indurrebbe l’incauto ascoltatore al suicidio. Lo stesso testo della canzone scritto da László Jávor è espressione del dolore dell’io lirico che, devastato dalla fine di una storia d’amore, ricorrerebbe al suicidio come espediente per provare la purezza e l’autenticità del suo sentimento alla donna colpevole di averlo abbandonato.  Secondo un’ulteriore interpretazione, la canzone sarebbe un lamento per il decesso dell’amata. Anche in questo caso, tuttavia, l’unica soluzione a tanta sofferenza sarebbe la morte.

A partire dal 1936 nella sola Ungheria sono stati ben diciassette i casi di suicidio che, per motivi differenti, sono stati collegati all’ascolto della canzone maledetta. Accanto al corpo della prima “vittima” di Gloomy Sunday, il calzolaio Joseph Keller, fu addirittura trovata una lettera d’addio nella quale erano citate diverse frasi del brano. Ben presto la canzone si diffuse nel resto dell’Europa tradotta in lingua inglese, complice ovviamente il fascino macabro che la contraddistingueva. Il numero di morti crebbe vertiginosamente: un ragazzo tedesco si sparò in testa dopo aver ascoltato il brano che “non gli usciva più dalla mente”; una donna londinese morta per overdose di barbiturici fu ritrovata nel suo appartamento dopo una telefonata dei vicini allarmati dal rumore assordante dello stereo che trasmetteva in un loop ossessivo Gloomy Sunday; un giovane romano sentì la canzone suonata con la chitarra da un senzatetto, gli donò tutto il denaro che aveva in tasca e si gettò nel Tevere.

Gloomy Sunday era già stata da tempo ribattezzata “il canto ungherese del suicidio” quando la Chappell & Company, etichetta discografica statunitense, decise di pubblicare una versione molto edulcorata della canzone affidandola all’interpretazione di Paul Robertson. Dopo questa rivisitazione, che ne ha attenuato i caratteri deprimenti, le morti per suicidio ricollegate a questa canzone a dire il vero si sono di molto ridotte, cosa che ha aumentato l’aura di leggenda intorno alla versione originale. Quella del video qui sotto.

In ogni caso, da allora molti artisti si sono lasciati stregare dallo charme luttuoso del brano. Ricordiamo ad esempio la cover di Billie Holiday, sicuramente la più famosa, l’interpretazione di Bjork e quella dai toni gotici di Emilie Autumn. Anche la nostrana Norma Bruni, voce nota della radio italiana degli anni ’40, cantò nel 1970 una versione della canzone (Triste Domenica) durante una trasmissione televisiva. Canzone che l’interprete aveva già eseguito in passato e che, a detta sua, non poteva fare a meno di ascoltare ogni giorno. Finite le registrazioni del programma, la donna ebbe un malore ed entrò in coma. Morì poche settimane dopo, il 3 gennaio 1971. Una domenica.

Come se quanto raccontato non fosse già abbastanza allarmante, anche l’autore della parte musicale della canzone, Rezső Seress, si uccise lanciandosi dal balcone del suo appartamento di Budapest nel 1968. La vita non era stata generosa con lui: internato in un campo di concentramento nazista durante il periodo della Seconda Guerra mondiale, dovette anche fare i conti con la delusione di non essere stato in grado di replicare il successo di Gloomy Sunday. Sulla vicenda legata alla maledizione, Seress si espresse brevemente ma il disagio legato alla sua sfortunata fama è palese:

Mi sono ritrovato in mezzo a questo successo mortale da uomo accusato. Questa notorietà fatale mi ferisce. Ho riversato tutta la frustrazione del mio cuore in questa canzone, e sembra che altre persone con sentimenti simili ai miei abbiano trovato rappresentato il loro dolore personale in quest’ultima”.

Si tratta di tragiche coincidenze, di suggestione collettiva oppure c’è un fondo di verità in questa triste vicissitudine?

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