Omen, L’origine del Presagio: l’ultimo film della saga è al cinema

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La pellicola cinematografica Omen, l’origine del presagio, uscita da pochi giorni nelle sale italiane, costituisce il sesto capitolo del cosiddetto franchise di Omen, ponendosi quale prequel eziologico dell’intera saga ed, in particolare, della prima produzione del 1976, Il presagio. La trama è incentrata sulla protagonista americana di nome Margaret che viene inviata a lavorare in una delle tante chiese di Roma, dove scoprirà il compimento di una cospirazione millenaria per favorire la nascita dell’Anticristo sulla Terra. Già nell’aprile del 2016 era stato annunciato il prequel dell’affascinante quanto inquietante saga, ma soltanto nella primavera del 2022 la pianificazione è stata ufficialmente avviata, con Arkasha Stevenson alla regia. Prima di entrare nel vivo del film, senza esagerare nello spoiler, ritengo opportuno accennare alle precedenti pellicole che hanno riguardato il fortunato franchise di Omen.

I film precedenti

Nel primo film della saga del 1976, Gregory Peck interpretava Robert Thorn, un importante diplomatico americano che aveva sofferto a causa di gravi problemi di fertilità. Dopo la notizia che il figlio tanto atteso era morto al momento della nascita, Thorn accetta di scambiare il pargolo defunto con un trovatello, all’insaputa di sua moglie, interpretata da Lee Remick. Tutto sembra convergere verso un oscuro destino e le prime battute della vicenda si svolgono per l’appunto a Roma, dove il diplomatico rappresenta il proprio Paese come ambasciatore. Ovviamente la scelta di Roma, centro della Cristianità, nelle trame del potere del maligno, ha una notevolissima importanza simbolica e sarà qui che si ambienterà il prequel dei giorni nostri. Rientrato negli Stati Uniti, molti segni rivelano che il bambino sia l’emissario di Satana sulla terra: gli animali impazziscono; invano un prete, poi tragicamente ucciso, cerca di convincere il padre che il figlio adottivo sia l’Anticristo; la tata satanista uccide la madre che ormai nutre molti sospetti sulla vera identità del bambino. Alla fine, il diplomatico scopre l’intera cospirazione, quando osserva il 666 inciso sul cuoio capelluto di Damien. Pur afferrando i pugnali sacri per annientare il piccolo diavolo, Thorn è ucciso dai poliziotti e Damien può essere adottato da una famiglia ancora più potente. Il primo capitolo della saga è di certo ben congegnato, spiccando in particolare per le belle inquadrature del direttore della fotografia Gilbert Taylor e per la colonna sonora affidata al grande compositore Jerry Goldsmith. La canzone centrale del film, Ave Satani, è aun vero e proprio cult della musica horror, valendo un meritato ed unico Oscar al suo autore.

La seconda tappa del ciclo, Damien: Omen II, prodotto nel 1978, è forse ancora più avvincente della prima. Il figlio del demonio è circondato da una setta di satanisti che lo proteggono, pur conservando qualcosa di umano. L’Anticristo adolescente scopre finalmente la sua natura, liberandosi con la sola forza della mente di quanti possano ostacolare i suoi progetti, destinati, manco a dirlo, ad una tragica morte. Con grande disinvoltura, Damien incupisce sé stesso e gli altri, passando dal rock cristiano al death metal e diventando, in qualche modo, l’emblema dell’adolescente maledetto delle generazioni successive.

A mio avviso, la qualità del franchise omeniano scade con il capitolo terzo, peraltro l’ultimo della serie originale e della trilogia inizialmente concepita: Omen III: The final conflict del 1981. Damien, interpretato da Sam Neil, viene presentato come un rampante politico dell’America reganiana. Le azioni malefiche diventano qualitativamente e quantitativamente peggiori, come l’omicidio in massa di bambini che rievoca la strage degli innocenti di erodiana memoria, ma l’effetto complessivo è meno plastico e coinvolgente. La battaglia finale tra il bene ed il male appare caotica, mentre sacerdoti italiani si aggirano tra antiche rovine per trovare adeguate soluzioni allo scopo di sconfiggere l’Anticristo.

Dopo dieci anni, nel 1991, esce Omen IV-Presagio infernale, incentrato sulla storia di una giovane coppia che adotta Delia, una bambina che si scopre essere la figlia biologica di Damien. Man mano che la bambina cresce, cominciano a verificarsi eventi sinistri intorno a lei, tanto che risulta chiaro che Delia è destinata a seguire le orme malefiche del padre. La coppia adottiva cerca di scoprire la verità sulla natura della piccola Delia, cercando di fermare la sua influenza maligna.

Nel 2006 (in Italia esce nelle sale proprio il 6/6/2006, per assonanza con il numero della bestia) è la volta di Omen- Il presagio che non vuole essere, tuttavia, il quinto capitolo della saga, quanto ad evoluzione della trama, ma il remake del film del 1976. Anche qui una coppia adotta un bambino, Damien, dopo la morte del loro piccolo appena nato. La pellicola riesce a rievocare, almeno in parte, l’atmosfera cupa ed inquietante della versione di trent’anni prima, anche se offre interessanti e nuovi spunti di riflessione sugli eventi che circondano la missione dell’Anticristo sulla terra.

E nel 2016 esce la serie TV Damien, incentrata sullo stesso personaggio, Damien Thorn, presente nei cinque film precedenti. In questa serie commerciale da piccolo schermo, l’Anticristo conduce all’inizio una vita in apparenza normale, ma quando sarà tormentato da visioni oscure, sarà costretto a scendere a patti con la sua vera natura e non potrà sottrarsi al suo tremendo destino.

The First Omen

E veniamo a The first Omen, italianizzato in Omen, l’origine del presagio. Come sta avvenendo sempre più di frequente, quando non si sa come proseguire, si sceglie di tornare indietro e questo film ne è una delle più riuscite dimostrazioni. La trama si orienta a raccontare le ragioni che hanno preceduto l’escalation maligna di Damien, già accennate nel primo capitolo del franchise e riprese quasi fedelmente, con tanto di riferimento a Robert Thorn nel finale che, tuttavia, attribuisce un particolare scenario aggiuntivo e significativo alla fortunata saga, in grado di aprire le porte ad uno sviluppo ulteriore ed alternativo (non lo riveliamo!). Ma andiamo con ordine.

Siamo a Roma nel 1971, un periodo di aspri conflitti sociali, sul cui sfondo si muove l’anima del film: Margaret arriva dagli Stati Uniti nella città eterna, con la prospettiva di prendere i voti sacri a breve. La ragazza viene accolta con apparente benevolenza dal cardinale Lawrence e dalla badessa di un orfanotrofio che sorge nel cuore della capitale italiana. In attesa di prendere i voti, Margaret condivide un appartamento con Luz, una giovane spagnola destinata a prendere i voti prima di lei. Il suo temperamento è profondamente diverso: Luz conosce la vita notturna della capitale, introducendo l’amica al divertimento ed alla vita sessuale, tra sogno e realtà. Una notte, in particolare, si rivelerà molto importante nella futura memoria di Margaret, quando sarà costretta a guardare faccia a faccia l’oscura realtà che la circonda. In un clima di falsa gioia e di tradite aspettative, Margaret ha visioni distorte del suo passato, quando veniva sottoposta a punizioni, perché considerata oppressa da disturbi mentali dissociativi. Ed è proprio sulla linea sottile che separa una probabile malattia psichiatrica, frutto di abbandono e di abusi, dagli effetti dei poteri soprannaturali del maligno che gioca sapientemente la regia della pellicola cinematografica. A rendere ancora più precario l’equilibrio della giovane, interviene la visita di un prete scomunicato, un certo padre Brennan, che la mette in guardia su una strana orfana, Carlita che, sottoposta a dure prove di obbedienza da parte delle suore dell’orfanotrofio, era stata già notata da Margaret che l’aveva presa sotto la propria ala protettiva.

L’idea che la nascita dell’Anticristo, emissario di Satana sulla terra, potesse essere favorita da una setta deviata e blasfema interna al potere ecclesiastico, non è originale e, come ho ripetuto in altri scritti, si riallaccia ad un’antica tradizione profetica e letteraria. Peraltro, un pontefice illuminato e di fine cultura come Paolo VI, proprio negli anni Settanta, affermava che nella Chiesa era entrato il fumo di Satana. Le rivolte studentesche e sociali, che forse in maniera troppo disinvolta fanno da sfondo alla parte iniziale del film, servono a rafforzare l’idea di un potere religioso corrotto e preoccupato dal dilagare del secolarismo, come del resto viene sottolineato in alcune battute del film. Alla luce di ciò, il complotto satanista assume anche i connotati di una rivoluzione al contrario, una sorta di restaurazione che capovolga i valori evangelici, sotto un’apparente quanto fallace forma di rispettabilità autocratica.

Omen è soprattutto la storia di una donna, Margaret, raccontata da un’altra donna, la regista Akasha Stevenson, capace di costruire un horror movie moderno sfruttando gli archetipi del passato. La tormentata maternità della giovane americana è al centro dell’attenzione, sospesa tra dramma psicologico e consapevolezza del proprio io interiore. E’ la storia di una donna che sta per diventare suora, ma non esita ad ascoltare qualcosa che proviene dal proprio inconscio, prima di ascoltare ciò che la circonda. E’ la storia, insomma, di una donna che cerca di contrastare sino alla fine il proprio tragico destino, non riuscendovi soltanto in apparenza. L’interpretazione di Neil Tiger Free nei panni di Margaret è davvero straordinaria, riuscendo a combinare alla perfezione gestualità drammatica e mimica spaventosa, in bilico tra la purezza dello spirito ed il fascino segreto della trasgressione. Ricorrendo ad un’interpretazione molto vicina allo spirito dei nostri tempi, la Stevenson ci offre una storia di maternità demoniaca in un contesto di corpi femminili dominati e manipolati in maniera orribile da parte del potere. La regista, però, non vuole procedere al solito pamphlet femminista, quanto rendere più avvincente e profondo l’intero percorso narrativo, destabilizzando lo spettatore per attirarlo in una girandola vorticosa di emozioni. Di certo il carrozzone di immagini sataniche alla Rosemary’s baby non manca, ma la fotografia indugia su particolari sofferti del parto che, pur nella speculazione dell’intreccio religioso, rivelano una matrice plastica prettamente umana.

Nella colonna sonora, non può mancare il già citato capolavoro Ave Satani di Jerry Goldsmith, nel punto cruciale della vicenda, mentre altre canzoni come Rumore di Raffaella Carrà (1974) o Daddy Cool dei Boney M (1976) si inceppano in evidenti anacronismi, considerata la premessa che colloca la storia nel 1971.

Qualche riflessione che voglia concentrarsi sul simbolismo portato in scena, non può che partire da Roma, la città iconica perfetta dove far nascere l’Anticristo. La prescelta è una giovane donna, vissuta sotto la protezione delle autorità ecclesiastiche, come del resto alcune antiche profezie tramandano. Per chi voglia approfondire alcune considerazioni sulla figura dell’Anticristo, rimando al mio testo Sulla fine dei tempi (Stamperia del Valentino, Napoli 2022). Risulta evidente come la sceneggiatura si ponga il problema del “concepimento” dell’emissario di Satana, risolvendolo in maniera alquanto intelligente, se non proprio originale. La teologia ufficiale non riconosce all’Anticristo la possibilità di incarnarsi direttamente con il concorso attivo del padre Satana, capacità, invece, attribuita soltanto a Dio Onnipotente, tramite il mistero dell’incarnazione del Verbo Gesù Cristo nel seno di una vergine. Pertanto, l’Anticristo potrebbe essere una qualsiasi creatura umana, allevata nel male, in cui abiterebbe in maniera perfettamente aderente lo spirito di Satana. La brava Stevenson si trova, quindi, di fronte al problema di dover descrivere il concepimento del malefico bambino, al quale nel primo capitolo della saga del 1976 era stato fantasiosamente attribuito sangue di sciacallo. Come è noto, tale animale ha un’antichissima tradizione simbolica ed esoterica, che culmina nel dio egiziano Anubi, protettore delle necropoli e del mondo dell’oltretomba. In epoca medievale, lo sciacallo diventa uno degli emblemi della personificazione del potere del maligno. Il film ci lascia nel dubbio: la bestia che appare a Margaret è soltanto una visione ossessiva o contribuisce in maniera fisica all’orrenda copula feconda? Forse il concepimento è avvenuto con l’aitante giovanotto barbuto dopo essersi ubriacata in discoteca, a ciò indotta con maestria dalla perfida Luz? Il buon senso ci farebbe propendere per la seconda soluzione. Nel prequel in parola non poteva mancare il famoso 666 della bestia, la cifra numerica legata a Satana che affonda radici nel libro dell’Apocalisse di Giovanni di Patmos e sulle cui interpretazioni ci siamo soffermati in numerosi scritti. Il marchio della bestia, tradizionalmente collocato sul cuoio capelluto, nello spettacolo attuale trova location anche più originali.

Forse la scena che meglio definisce l’intero film, anche se all’economia della trama non aggiunge quasi nulla, è una sorta di incubo o di premonizione: durante un parto molto tormentato, una mano demoniaca spunta dalla vagina della gestante al posto della testa del neonato. Fra l’altro, l’elaborazione della scena ha avuto uno sviluppo forse ancora più travagliato del quadro che delinea. La Stevenson ha raccontato di aver dovuto cambiare varie volte il montaggio della scena, per evitare la severa censura americana. La ripresa, infatti, è stata più volte inviata alla commissione statunitense che fissa il rating delle pellicole, subendo in ciascuna occasione l’eliminazione di qualche secondo, per non ottenere un divieto ancora più restrittivo rispetto a quello conseguito (minori di 14 anni).

In conclusione, direi che Omen, l’origine del presagio, è buona pellicola metafisica, che induce alla riflessione sulla dimensione ontologica invisibile e soprannaturale, non limitandosi a sterili clichè splatter e slasher che tanto dominano il genere horror americano.