Le sette meraviglie naturali del mondo

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Nella frenesia tassonomica e celebrativa dell’epoca contemporanea, oltre all’individuazione delle sette meraviglie del mondo moderno, a similitudine delle sette eccellenze del mondo antico di classica memoria, ha trovato spazio anche una discussa elencazione delle sette meraviglie naturali del mondo. La stessa società svizzera New Open World Corporation, promotrice  dell’evento del 7 luglio 2007, che ha proclamato le sette opere architettoniche più meravigliose del mondo moderno, l’11 novembre 2011 ha proclamato le nuove sette meraviglie, operando una scelta non tra i capolavori di fattura umana, ma attingendo direttamente alla fonte delle espressioni di Madre Natura. Non può sfuggire la ricorrenza numerica, quasi scaramantica, nella scelta del giorno di proclamazione: il 7 per quanto riguarda la cerimonia di investitura delle sette meraviglie del mondo moderno, l’11 per quelle naturali.

Dopo un difficile ed alquanto discutibile processo di selezione, a destare una certa meraviglia è stato il fatto che nessuna “bellezza” del continente europeo è riuscita ad entrare nella top seven, mentre le località vincitrici sono risultate 4 dell’Asia, 2 del sud America ed una dell’Africa. Le uniche rappresentanze italiane, nell’ambito del concorso, che ha coinvolto la valutazione di ben 440 siti sparsi per l’intero globo, sono state il Vesuvio ed il Cervinio, entrambe, tuttavia, non sono riuscite neanche ad arrivare nella top 14, una sorta di semi-finale organizzata per attribuire maggiore suspence all’esito del processo di selezione. La classifica definitiva sarebbe stata ottenuta, al termine di una lunga votazione sul web, che ha compreso circa 500 milioni di voti provenienti da tutti i Paesi del mondo. Le località vincitrici, nell’ordine, sono risultate le seguenti: Amazzonia (territorio distribuito tra Brasile, Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Guyana francese e Suriname); Baia di Ha Long (Vietnam); Cascate dell’Iguazù (Argentina e Brasile); Isola di Jeju (Corea del sud); Parco nazionale di Komodo (Indonesia); Fiume sotterraneo di Puerto Princesa (Filippine); Table Mountain (Repubblica sudafricana). Si tratta di luoghi incantevoli, che hanno colpito l’immaginario collettivo per la particolarità della propria configurazione, anche se la scelta si è rivelata decisamente ardua, in considerazione dell’elevatissimo numero di perle che la nostra amata Terra ci offre. Cercheremo, di seguito, di delineare le caratteristiche principali di ciascuna delle sette meraviglie naturali del mondo.

L’Amazzonia

L’Amazzonia comprende un’area vastissima dell’America meridionale, che si estende su una superficie di circa sei milioni di chilometri quadrati in ben nove Paesi, anche se la maggior parte, più o meno il 60%, si trova in Brasile. L’Amazzonia è costituita in prevalenza da un’enorme foresta pluviale, importantissima per l’ecosistema dell’intero globo terrestre. Gli scavi archeologici condotti presso la grotta di Pedra Pintada, hanno evidenziato insediamenti umani  che risalivano al 12.500 a.C. A partire, poi, dal 1250 a.C. circa sono stati individuati insediamenti umani già in grado di apportare modifiche all’insieme del manto forestale, che alcuni hanno voluto considerare come indizi di un’evoluta civiltà scomparsa.

Nei primi anni del ventunesimo secolo, alcuni ricercatori dell’Università della Florida hanno trovato i resti di grandi insediamenti nel bel mezzo della foresta amazzonica, nella zona abitata dalla comunità indigena conosciuta con il nome di Xingu. In maniera quasi sorprendente sono emerse rovine di reti di strade, di ponti e di grande piazze, con la conseguenza di dover riscrivere l’antica storia di quella porzione di mondo. Come è ben noto, l’Amazzonia è considerata di vitale importanza per il complessivo ecosistema del nostro pianeta. Non a caso le si attribuisce il prestigioso titolo di “polmone verde della terra”.

E’ stato calcolato che la foresta pluviale amazzonica costituisca più della metà delle foreste tropicali ancora esistenti, ospitando una percentuale di biodiversità più elevata di qualsiasi altra estensione vegetale tropicale. Ben due aree della foresta amazzonica, il parco nazionale di Jau e la Serrania de Chiribirquete, entrambe in territorio brasiliano, sono state dichiarate “patrimonio dell’umanità” dall’UNESCO. Da tempo gli ambientalisti hanno denunciato le catastrofiche conseguenze a cui potrebbe portare un ulteriore aumento della deforestazione amazzonica, in considerazione della sua altissima densità di vegetazione e della sua posizione geografica equatoriale, aspetti che determinano un enorme irraggiamento del sole, consumando notevolissime quantità di anidride carbonica e producendo altrettante considerevoli quantità di ossigeno.

La deforestazione diminuisce questa importante contropartita compensativa, favorendo marcate implicazioni nell’effetto serra globale e costituendo uno degli indicatori più significativi per il riscaldamento del pianeta. Alcune contromisure sono state, per fortuna, già attuate: dall’inizio del ventunesimo secolo il processo di deforestazione è diminuito di circa il 70%, grazie ad un programma di graduale riduzione dello sfruttamento delle risorse. Per le peculiarità straordinarie del suo territorio, alla foresta amazzonica sono legati numerosi miti e leggende, di cui alcuni affondano radici molto antiche, mentre altri sono nati dopo la conquista da parte degli Europei.  Negli ultimi decenni, l’Amazzonia è diventata un’ambita meta turistica, desiderata non solo da coloro che subiscono il fascino dell’avventura, grazie ai vari pacchetti offerti dalle agenzie. I turisti, di solito, scelgono come base di partenza una delle due città più grandi dell’area, Manaus o Belem, anche se non mancano coloro che privilegiano la città di Santarèm, che si trova più o meno a metà strada fra le due metropoli. La via di comunicazione preferita è quella fluviale, grazie all’immenso bacino del Rio delle Amazzoni, che si contende con il Nilo il titolo di fiume più lungo del mondo.  Un viaggio nella lussureggiante foresta amazzonica, un territorio così selvaggio e per certi versi inesplorato, rimane di certo un’idea allettante ed un grande sogno da realizzare.

La Baia di Ha Long

La Baia di Ha Long è una splendida insenatura situata nel golfo del Tonchino, nella provincia vietnamita di Quang Ninh. La baia comprende circa 2.000 isolette calcaree, dove si possono ammirare magnifiche grotte carsiche. Ha Long sorge a 164 km ad est della capitale Hanoi, in un territorio abbastanza prossimo al confine con la Cina.

Il nome della località, che dal 1994 è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, significa in lingua vietnamita “dove il drago scende in mare”, assumendo un’importante valenza simbolica. Il clima è in prevalenza tropicale e umido, con un’alternanza di massima in due lunghe stagioni: l’estate calda e piovosa che si contrappone all’inverno freddo ed asciutto.  Come accennato in precedenza, nella baia sono concentrate numerose isole calcaree di forma monolitica che ne rappresentano una delle più evidenti attrazioni, configurando uno scenario davvero suggestivo ed unico.

Ogni isoletta è ricoperta di fitta vegetazione, ergendosi come imponente sentinella sull’Oceano Indiano. Alcune isole sono vuote, mentre altre contengono interessanti grotte. La grotta più ampia è quella che si trova sull’isola di Hang Dau Go, chiamata Grotte des Merveilles dagli esploratori francesi che la visitarono a fondo nel diciannovesimo secolo. La grotta si compone di tre ampi vani, all’interno dei quali si stagliano imponenti stalattiti e stalagmiti, a cui si aggiungono alcuni graffiti incisi con poca saggezza nel diciannovesimo secolo dai precitati primi esploratori. Le grandi isole di Tuan Chau e di Cat Ba ospitano insediamenti umani per tutte le stagioni dell’anno, nonché attrezzature turistiche di rilievo, in considerazione della presenza di bellissime spiagge e di acqua cristallina. In altre isole più piccole, vi sono pittoreschi villaggi galleggianti, dove i pescatori locali setacciano le acque basse per sostentarsi con circa 200 specie di pesci e addirittura 450 di molluschi.

Vi è da dire che non a tutte le isolette è stato attribuito un nome, in quanto risulta che soltanto più o meno la metà di esse ne abbia uno. Le denominazioni, generalmente, traggono spunto dalla propria forma: ad esempio vi è Ga Choi (artiglio da combattimento), Mai Nha (letto) o Voi (elefante). Secondo la maggior parte degli studiosi, la baia di Ha Long, all’incirca 500 milioni di anni fa, ha subito molteplici stati di orogenesi, ovvero l’alternanza tra l’innalzamento e la diminuzione del livello marino. Oltre ad essere la mèta turistica più visitata dell’intero Vietnam, per la sua bellezza paesaggistica, la fantastica insenatura ospita una comunità stabile di circa duemila persone che si occupano soprattutto di pesca e di coltivazione di biota marini.

Le cascate dell’Iguazù

Le cascate dell’Iguazù  sono formate da un sistema di 275 cascate, generate dall’omonimo fiume, al confine tra la provincia  di Misiones in territorio argentino e quella del Paranà in Brasile. Si tratta del sistema di cascate più esteso al mondo che raggiunge una larghezza di 7,65 chilometri. La maggior parte delle cascate si trova in territorio argentino, in particolare nella cosiddetta Garganta del Diablo (gola del diavolo), che si presenta come un luogo davvero unico nel suo genere e spettacolare.   La gola forma quasi una U completa ed è profonda 150 metri, per una lunghezza di 700 metri.  Dal lato brasiliano, pur essendo presente un minor numero di getti d’acqua, si ammira un panorama più suggestivo della stessa Garganta del diablo.  

Le cascate, al confine tra l’Argentina ed il Brasile, occupano due parchi nazionali appartenenti alle rispettive amministrazioni nazionali, dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1984 e nel 1986. Alle cascate sono legate numerose leggende, come il nome medesimo ricorda. La denominazione iguazù, infatti, deriva dai termini guarani (acque) e guasu (grandi). Secondo un antico racconto, tramandato dalla popolazione indigena, una divinità avrebbe preteso di sposare una bellissima fanciulla, sfuggita su una canoa con il suo giovane amante per evitare le lascive brame. Adiratosi per il grave affronto, la divinità avrebbe deviato il corso del fiume, creando l’enorme sistema delle cascate, nelle quali la fanciulla sarebbe caduta trasformandosi in roccia, mentre il suo amante in albero.

Uno dei migliori punti di partenza per visitare il mirabile comprensorio d’acqua è la ridente città di Puerto Iguazù, che sorge sul versante argentino a 23 chilometri dalle cascate. I turisti rimangono affascinati quando compiono l’impressionante attraversata in barca del fiume, passando proprio sotto le imponenti cascate. Il colore dell’acqua, inoltre, è davvero cangiante, a causa delle grandi quantità di sedimenti trasportati anche da notevoli distanze. Nel periodo delle piogge la colorazione appare arancione o rossastra, mentre nella stagione asciutta le acque delle cascate appaiono più trasparenti ed azzurre. Ingenti raggruppamenti di sedimenti si depositano lungo il corso del canyon, dando vita alla formazione di improbabili spiagge sulle quali crescono piante ed arbusti. Il periodo dell’anno che conta un maggior numero di visitatori è quello che corrisponde ai mesi di gennaio e febbraio, che coincide con l’estate australe. In tale stagione, tuttavia, le temperature possono risultare troppo elevate e l’umidità mediamente si aggira su valori prossimi al 90%. Pertanto, è consigliabile ammirare le cascate durante l’inverno (luglio-agosto), con un cielo più nuvoloso ma con meno difficoltà climatiche da affrontare.

L’isola di Jeju

L’isola di Jeju costituisce la più grande isola del territorio nazionale della Corea del sud, situata nella giurisdizione della provincia omonima. Sotto il profilo geografico, l’isola si trova proprio nello stretto di Corea, nella parte meridionale della penisola divisa in due stati. Nel periodo antecedente alla temporanea annessione al Giappone, avvenuta nel 1910, l’isola era nota con il nome di Quelpart, cambiando poi la denominazione in Saishu.La conformazione dell’isola è prettamente vulcanica, la cui vetta principale è rappresentata dal Monte Hallan, che si innalza circa 1.950 metri sul livello del mare. Gli studiosi ritengono che si sia formata, dopo violente eruzioni vulcaniche avvenute nell’era cenozoica. Ciò è emerso analizzando i molteplici strati di basalto e di lava, appartenenti, comunque, a differenti ere geologiche. L’isola può vantare misure abbastanza considerevoli: 73 chilometri da est verso ovest e 41 chilometri da nord a sud. Gli scienziati hanno prestato particolare attenzione ad un’area che occupa circa il 12% dell’isola, conosciuta con il nome di foresta Gotjawal, rimasta incolta per lungo tempo e, pertanto, testimone impareggiabile di natura pura ed incontaminata. L’ecosistema della foresta è, per questo motivo, davvero unico, potendo contare, inoltre, su una vasta ragnatela di acque sotterranee, dedicate al sostentamento del quasi mezzo milione di abitanti dell’isola.

Il turismo è una delle componenti economiche più importanti dell’isola, al punto che la stessa Jeju viene chiamata “Hawai della Corea del sud”. Il flusso turistico è stato facilitato da un accordo specifico che consente ai visitatori cinesi di entrare nell’isola senza il visto sul pasaporto, necessario, invece, per entrare nel resto del territorio della Corea del sud. E’ stato calcolato che i proventi turistici dell’isola di Jeju hanno generato reddito a livello nazionale, anche se la maggior parte delle strutture commerciali è di proprietà di società straniere. Tra i luoghi più suggestivi dell’isola, vi è la cascata Cheonjeyeon, soprannominata “il laghetto di Dio”, la pittoresca spiaggia di Sungmung, circondata dalle scogliere, oppure la misteriosa grotta di Manjanggul, composta da solida lava sotterranea. Formatasi migliaia di anni fa, a seguito dell’eruzione di un vulcano sottomarino, la Seongsan Ilchulbong, che in italiano si può tradurre con l’espressione  “montagna del sole nascente”, si affaccia verso l’oceano Pacifico assumendo la forma di una corona. Una delle leggende più antiche dell’isola racconta che sette ninfe  erano solite scendere dal cielo a mezzanotte in punto per bagnarsi nelle acque cristalline della già citata cascata di Cheonjiyeon. Le raffigurazioni delle sette ninfe sono ancora presenti tra le decorazioni del ponte Seonimgyo.

Il parco nazionale di Komodo

Il parco nazionale di Komodo è una vasta area naturale protetta del territorio indonesiano, che sorge in prossimità delle piccole isole della Sonda, nella regione geografica a cavallo tra le province di Nusa Tenggara Orientale e Nusa Tenggara Occidentale. L’area, oltre ad isole minori, comprende tre isole principali: Rinca, Padar e Komodo, da cui mutua il nome. Nel 1991 il parco, all’interno del quale vivono tuttora circa quattromila persone, fu inserito tra i siti considerati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. A partire dal 1995, le autorità del parco sono affiancate nella gestione delle risorse da un’organizzazione ambientalistica statunitense, The Nature Conservancy, soprattutto allo scopo di proteggere le numerose specie marine che popolano le acque del sito.

L’attività più importante del parco di Komodo è quella subacquea, a causa della notevolissima biodiversità marina che comprende animali anche rari come gli squali balena, i pesci luna, le piovre dalle ventose blu,gli ippocampi bargibanti, le manti giganti et cetera. La stagione più propizia per visitare il parco nazionale di Komodo è senza dubbio quella secca, ossia il semestre che va da aprile ad ottobre. In quel periodo le piogge sono pressoché inesistenti, i venti sono abbastanza placidi e, di conseguenza, ci sono minori probabilità che il mare sia agitato. Le visite del parco, di solito, partono dal porto di Labuan Bajo nell’isola di Flores, con prima tappa, dopo circa mezz’ora di navigazione, a Padar, dove si possono ammirare panorami mozzafiato o ci si può tuffare in un mare azzurro/cobalto di rara limpidezza. L’attrazione successiva può essere individuata nella famosa Pink Beach, una delle pochissime spiagge veramente rosa del pianeta, senza alcun trucco o esagerazione descrittiva. La Pink Beach offre uno spettacolo davvero straordinario: davanti agli occhi dei visitatori si estende un’infinita serie di coralli di diversa forma e di differente colore.

La tappa ulteriore conduce nell’isola di Komodo, all’interno della quale vivono i ben noti “draghi”, ovvero la più grande specie vivente di lucertole. Tali varani possono raggiungere anche i tre metri di lunghezza ed i 70 chili di peso. Sono animali molto pericolosi e sembrano provenire da un’altra era geologica, eredi diretti degli estinti dinosauri. Oltre Komodo, si scorge una lingua di sabbia bianchissima, Makassar, con la sua colonia di tartarughe marine di colore verde acceso. La tappa finale del giro è l’isola di Kanawa, famosa per le distese di sabbia bianca e per l’intensa attività di snorkeling. Si spera, tuttavia, che il parco incontaminato fino a qualche decennio fa, non diventi vittima dell’incontrollata industria turistica e che possa conservare la sua proverbiale biodiversità anche in futuro.

Il fiume sotterraneo Cabayugan

Il sorprendente fiume sotterraneo, chiamato Cabayugan, è inserito in un parco nazionale che si trova nelle Filippine, nell’isola di Palawan, a circa 50 chilometri di distanza dalla città di Puerto Princesa. Anche questo fantastico luogo dal 1999 è entrato a far parte tra i siti scelti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità.

Dal punto di vista geografico, il parco fluviale si trova nella catena montuosa di San Paolo, sulla costa settentrionale dell’isola e si presenta come un paesaggio carsico e calcareo, con il famoso fiume sotterraneo che risulta navigabile per quasi 5 chilometri della sua lunghezza, che ne misura complessivamente poco più di 24. Il fiume attraversa un’ampia grotta prima di trovare il suo naturale sbocco nel Mar Cinese Meridionale. Gli osservatori hanno rilevato che nella parte finale del fiume subentrano evidenti maree oceaniche, rendendo maggiormente suggestivo il mirabile paesaggio. Il comprensorio del parco risulta brulicante di tante specie diverse di esseri viventi, in una felice commistione tra due diversi ecosistemi, quello montuoso e quello marino. Nell’antichità, gli indigeni dell’isola credevano che presso il fiume sotterraneo dimorassero alcuni spiriti maligni ctoni e, pertanto, si tenevano ben lontani dalla grotta. La prima testimonianza certa, riguardo al fiume, si deve al professore e politico americano Woncester che, nel 1897, soggiornando nell’isola di Palawan, scrisse a proposito di un lago che si apriva sull’Oceano attraverso un fiume sotterraneo. E’ possibile che il professore volesse alludere alla parte terminale del fiume dove, grazie all’azione delle maree oceaniche, si crea un bacino che somiglia a un lago. Inoltre, nei decenni scorsi, le scoperte di 11 minerali diversi a forma di cristalli, nonché il ritrovamento di reperti fossili risalenti al Miocene (circa 20 milioni di anni fa), hanno accresciuto l’interesse scientifico per il parco fluviale.

I turisti possono navigare sulle acque del fiume a bordo di una canoa e qualcuno di essi, dimostrando la propria esperienza, può essere ammesso all’esplorazione subacquea. Oltre a numerose specie di uccelli e di rettili, nel parco sotterraneo sono presenti 30 tipi diversi di mammiferi, che possono essere avvistati sugli alberi durante la basse marea. Tra gli animali più caratteristici del luogo, ci sono il macaco cinomolgo, il cinturo o gatto orsino, il cinghiale ed il tasso. La parte più suggestiva della visita al parco fluviale è l’attraversamento della cosiddetta “cattedrale”, cioè la parte di grotta che raggiunge un’altezza di circa 60 metri, formando uno scenario di mistica bellezza.

La Table Mountain

Ed, infine, parliamo della “montagna della Tavola” (Table Mountain), un rilievo di 1086 metri che sovrasta Città del Capo, la più popolosa metropoli della Repubblica Sudafricana. La parte della montagna rivolta verso la città è lunga circa tre chilometri, risultando simmetrica e dritta, mentre il versante opposto presenta una configurazione decisamente più articolata. La vetta della montagna è quasi sempre fiabescamente avvolta dalle nuvole, al punto che quella particolare copertura viene chiamata “tovaglia”, in stretta sintonia con la denominazione generale del monte che si riferisce appunto alla “tavola”. In realtà, il famoso rilievo è parte integrante di un sistema montuoso che comprende anche il Picco del diavolo, la Testa di leone e la Signal hill.

La cima più alta della montagna  viene chiamata “Maclear’s Beacon”, dal nome di un segnale collocato da un certo Thomas Maclear, come punto di riferimento per sofisticati calcoli trigonometrici. La flora del complesso montuoso è denominata fynbos, molto simile ad una sorta di macchia mediterranea con la presenza di considerevole biodiversità. La specie animale più diffusa è la cosiddetta irace del Capo, i cui esemplari appaiono molto simili a grossi roditori che si possono incontrare per i sentieri battuti dai turisti, mentre vagano alla disperata ricerca di cibo. Una volta la montagna era abitata anche da animali nobili come i leoni ed i leopardi, mentre al giorno d’oggi, oltre ai grossi roditori, si aggirano soltanto porcospini, manguste, tartarughe e serpenti.

Il legame degli abitanti del luogo con la Table Mountain è molto forte, consacrato con l’inaugurazione della funivia nel lontano 1929, poi completamente rinnovata nel 1997. La versione più moderna della funivia può portare fino a 65 persone per ogni viaggio, con la felice ed originale caratteristica di ruotare mentre si sposta, allo scopo di consentire a tutti i viaggiatori di godere di  una vista panoramica a 360 gradi. Il tragitto è molto veloce, in quanto collega la città alla montagna in soli sette minuti, permettendo un notevole e continuo flusso di turisti. Aggiungo che la Table Mountain è inserita in un vasto parco nazionale che arriva fino alla zona meridionale della penisola del Capo. Il magnifico rilievo detiene anche uno straordinario primato: si tratta, infatti, dell’unica unità paesaggistica del nostro pianeta che dà un nome ad una costellazione celeste. L’astronomo francese Nicolas-Louis de Lacaille, durante un lungo soggiorno a Città del Capo, ne trasse ispirazione per battezzare Mensa (sinonimo di tavolo) una delle costellazioni visibili nei pressi del polo sud celeste, in prossimità della cintura di Orione.