Il potere curativo del blues: una medicina per l’anima

Non conosciamo le origini esatte della musica che oggi chiamiamo blues. È difficile datare la sua nascita, soprattutto perché questo stile musicale si è evoluto in un lungo periodo di tempo ed è esistito prima ancora che venisse classificato. Un importante riferimento a ciò che assomiglia molto al blues risale al 1901, quando un archeologo del Mississippi descrisse le canzoni dei lavoratori e degli schiavi neri in un modo molto vicino a come lo descriveremmo oggi, per caratteristiche compositive e temi trattati.  Il termine Blues deriva dall’inglese “to have the blue devils”, espressione per descrivere un umore triste, agitato, depresso.

D’altronde il blues non è solo musica, ma è uno stato d’animo. Nasce, infatti, dalla sofferenza e dalla costrizione degli schiavi nelle piantagioni di cotone del profondo Sud degli Stati Uniti. Uno stile musicale, che in origine non era altro che una canzone popolare tradizionale e religiosa di molte culture dell’Africa subsahariana, incentrato su quella che oggi chiamiamo call and response (la voce solista che intona la melodia, seguita dalla risposta corale del gruppo), poi riutilizzato per scandire il ritmo del lavoro nei campi di cotone del Delta del Mississippi.  Una forma espressiva catartica, liberatoria ed esorcizzante, un tonico contro la fatica, il dolore dei soprusi, la paura.

Quando la vita ti toglie tutto, a partire dalla libertà, hai bisogno di un rifugio per continuare a voler sopravvivere. Sarà per questo che diviene anche un linguaggio codificato che poteva essere compreso solo da una comunità. Solo così, infatti, gli schiavi potevano comunicare tra loro o esprimere risentimento senza rischiare rappresaglie da parte dei padroni. Aiutava a creare un senso di comunità e appartenenza tra stessi individui che avevano subito il distacco forzato dal loro mondo originario e perso la dignità di esseri umani. Aiutava a lenire i problemi legati alla separazione, alla perdita, alla segregazione. Il canto era l’unico strumento che si poteva usare per riuscire a distrarsi, provare ad alleggerire le tensioni e meditare. Così il blues diventava una preghiera alchemica, che solo i conoscitori del linguaggio codificato potevano comprendere pienamente.

Per gli schiavi africani il blues era dunque una vera e propria medicina per l’anima, un’ancora di salvezza per un intero popolo, nel momento più buio della sua storia. In qualche modo il lavoro di gruppo favoriva l’unità degli schiavi, costretti a lavorare in squadra per raggiungere gli obiettivi imposti dal padrone. È nel gruppo che si genera una forza collettiva potente, che supportata dai canti, era capace di alimentare da sola la convinzione che forse una sopravvivenza era possibile.  Tuttavia questa forza collettiva è stata costantemente messa in discussione dal razzismo istituzionalizzato, soprattutto a cavallo del ventesimo secolo, quando molti neri delle zone rurali si trasferirono in città in cerca di una vita migliore. Una volta lì, dovettero affrontare nuovi problemi legati all’isolamento e al degrado della vita nei bassifondi. Dopo la fine della guerra civile americana vi fu un grande esodo di neri verso gli stati del Nord. Questa massiccia migrazione verso le grandi città portò il blues a uscire dai confini degli Stati del Sud e a diffondersi ovunque, la tradizione musicale rurale si trasformò in uno stile originale chiamato urban blues che diede poi origine al blues elettrico. Ma questa musica non perse mai la sua forza originaria poiché l’isolamento geografico dell’area del Delta, dove ebbe origine, fu determinante per permettere la sedimentazione dei suoi stilemi e per conservarne l’originalità. 

Mark Winborn autore del libro Deep Blues ritiene che, poiché questo genere è profondamente legato all’esperienza dell’oppressione, può essere utilizzato come terapia, in particolare per la risoluzione dei problemi che impediscono la piena realizzazione personale. La forza terapeutica del blues sta nella sua capacità di creare una connessione tra il sé mentale, fisico e quello sociale e spirituale. L’ascolto del blues aiuta la nostra mente a cambiare i suoi paradigmi di pensiero, e questo cambia il modo in cui ci sentiamo. Quando ci concentriamo sulla musica, i nostri muscoli si rilassano, il nostro umore cambia e l’ansia e la depressione si attenuano temporaneamente. Questo può alterare la percezione del dolore e favorire il coinvolgimento nelle attività fisiche. Quando si ascolta un blues, non si può fare a meno di ondeggiare, dondolare, cantare o ballare.

Il blues è un mezzo di autoespressione che supera i confini culturali. Può alleviare l’isolamento e creare un senso di comunità con altre persone che si identificano con le associazioni mentali suscitate dai testi. La sua caratteristica del call and response offre, inoltre, la possibilità di un coinvolgimento attivo anche da parte dell’ascoltatore. Mentre il cantante canta il riff della canzone, il pubblico lo ricanta per affermare la propria comprensione ed empatia con la storia narrata. Nella fase del lamento, i musicisti esprimono le loro idee che definiscono la loro condizione. Le loro idee creano vibrazioni. Queste vibrazioni vengono veicolate dalla musica mentre i testi incoraggiano gli ascoltatori a rilassarsi e a immergersi nel contenuto. Ci si identifica nei problemi vissuti dal cantante e nella possibilità di una risoluzione degli stessi.

Nel libro The healing properties of blues di Sandra Foster,vengono proposti dei veri e propri esercizi che prendono spunto proprio dalla struttura base del Blues. Un brano blues è suddiviso in tre sezioni. La prima, il lamento, aiuta a definire e affermare i problemi legati alla separazione, alla perdita e alle relazioni intime travagliate. Si esplorano poi le possibilità per superare i sentimenti di impotenza, solitudine e infelicità che si provano quando non si riesce a risolverli. La seconda fase, il lutto, è incentrata sulla ricerca di una soluzione e l’attenzione è rivolta a ridurre gli effetti dannosi del dolore. La chiave è quella di non ricadere nel lamento ma cercare di risolvere i problemi creando strategie a tal fine. La terza fase è quella risolutiva e viene chiamata il mattino. Rappresenta una svolta significativa, l’arrivo di un giorno più luminoso, un nuovo inizio, un cambiamento o una trasformazione.

Nella sua struttura sia ritmica che melodica, il blues rappresenta un concentrato di terapia musicale, una potente “farmacopea” che rende gioiosi e sereni quando se ne ha più bisogno. Il giro di blues si sviluppata su 12 battute per tre distinte sequenze armoniche, la prima sequenza è incentrata sulla tonica, qui si introduce il problema e il malessere che ne segue. Nella seconda fase l’armonia si sposta sulla sottodominante, rappresenta il primo tentativo di fuoriuscita dalla sofferenza. Nelle ultime quattro battute l’armonia cade finalmente sull’accordo di dominante, ovvero sulla risoluzione del problema. Altro aspetto tecnico molto interessante è che la scala blues, una pentatonica con l’aggiunta del quarto grado aumentato, è molto vicina alla sequenza dei suoni armonici naturali, la più ancestrale delle melodie che, in quanto legge naturale, è alla base di tutta la musica. Non a caso è stata sempre utilizzata nei canti di natura spirituale nelle più diverse culture, un esempio è il canto armonico tibetano.

  Lo scrittore Paul Garon, noto studioso del blues, afferma senza l’oppressione e il razzismo non ci sarebbe nessuna forma di musica identificata come blues. Solo le influenze sociologiche, culturali, economiche, psicologiche e politiche affrontate dalla classe operaia afroamericana, forze permeate di razzismo, hanno prodotto questo genere. È di questo che cantano gli artisti blues. È questo che sentono quando chiudono gli occhi. È questo che fa svegliare il pubblico quando sente l’inizio di un blues lento o di un Chicago shuffle. Gli africani in America usavano la musica blues per guarire dalle conseguenze fisiche, psicologiche e spirituali della schiavitù. Inconsapevolmente lavoravano sul loro dolore attraverso strumenti che oggi definiremmo di musicoterapia. Focalizzavano la loro attenzione sul ritmo e sul messaggio veicolato dal testo piuttosto che sull’umiliazione di essere trattati in modo disumano.

Anche per noi, se chiudiamo gli occhi mentre veniamo attraversati, dalle vibrazioni di un brano blues, sembra più facile trovare conforto dalle preoccupazioni quotidiane. È facile lasciarsi andare, trovare un po’ di pace, quando si è circondati da testi pieni di anima che ondeggiano sulle vibrazioni delle scale blues, dei modelli e delle vocalizzazioni soul. Sembra cosa da poco quando si subiscono gravi traumi, ma è già un piccolo passo verso la trasformazione del dolore in una consapevolezza più profonda e pace interiore. Il Blues è il benessere dopo la tempesta.