La Siberia: storia, particolarità e misteri di una terra affascinante

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Il vastissimo territorio siberiano, interamente compreso politicamente nella Federazione Russa, si estende nell’Asia settentrionale, partendo per convenzione dai Monti Urali nella parte occidentale, fino ad arrivare sulla costa dell’Oceano Pacifico in quella orientale. Il limite più meridionale è costituito dai confini con la Mongolia e con la Manciuria della Repubblica popolare cinese, mentre a nord la Siberia è circondata dal Mar Glaciale Artico, con le sue innumerevoli e poeticamente desolate insenature che, molto spesso, disegnano ulteriori propaggini o penisole, come quella di Jamal, del Tajmyr o di Gyda. Se vogliamo spingerci anche più a nord, quasi ad entrare in un diverso pianeta, si raggiungono i frastagliati e ghiacciati arcipelaghi della Nuova Siberia e della Terra del Nord e sul fronte del Pacifico, oltre la penisola dei Cukci, distesa sullo stretto di Bering, è adagiata la terra di Kamcatka. Si tratta, insomma, di un territorio sconfinato che misura circa 13 milioni di kmq, rispetto ad una popolazione molto esigua che conta soltanto poco più di 36 milioni di abitanti.

Storia

È interessante, in via preliminare, analizzare il significato del termine italianizzato “Siberia”, in quanto foriero, a mio avviso, di interessanti valutazioni storiche e sociali su questa vastissima porzione di mondo che andiamo a trattare. Una delle spiegazioni più plausibili è quella che derivi dall’antico nome tribale del popolo nomade dei Sabiri, successivamente assimilato nella più ampia etnia dei Tartari Siberiani, entrato nell’uso della lingua russa, in un periodo storico successivo alla conquista del cosiddetto “Khanato di Sibir”. Altre fonti storiche ricollegano l’origine della parola “Siberia” al termine turco antico “siber”, traducibile in “terra dormiente”oppure ad un sostantivo composto da “su” (acqua) e da “birr” (terra selvaggia).

Dell’età antica non si possiedono sufficienti elementi conoscitivi in merito alla Siberia, se non tradizioni folcloristiche e leggendarie, come quelle riguardanti gli Sciamani che avrebbero praticato viaggi nello spirito, soprattutto nel corso dei loro rituali di guarigione. La Siberia è appunto considerata la culla dove fiorì la cultura sciamanica, sebbene con notevoli diversificazioni da regione a regione. Per convenzione, comunque, la storia accertata della Siberia si fa coincidere con le frequenti incursioni degli Sciti e degli Xiognu, diffuse già prima dell’era cristiana. A partire dai secoli, più o meno corrispondenti al Medioevo occidentale, la parte meridionale della Siberia fu teatro di continue conquiste e di rovesciamenti di regimi particolarmente autoritari, tra cui si menzionano l’impero turco e quello mongolo.  Verso la metà del quindicesimo secolo, ad opera delle tribù tatare, si consolidò il già menzionato Khanato di Sibir che, per decenni, fu in guerra con la Russia, fino alla resa definitiva avvenuta nel 1598. Nei secoli successivi, vi fu una progressiva espansione imperialista russa, in particolare per conseguire i vantaggi economici che quel territorio sconfinato lasciava presagire, nonostante il percorso fosse notoriamente insidioso. I viaggiatori erano attratti dalla possibilità di ricavare pellicce, sterminando la fauna autoctona, come zibellini, ermellini e volpi. Il governo degli zar escogitò un buon sistema per assoggettare le isolate popolazioni siberiane: la promessa di difendere queste dalle incursioni dei Cosacchi, in cambio di una tassa “naturale” chiamata “jasak” sotto forma di pelliccia. Non tutti i popoli, però, si sottomisero docilmente al dominio russo, tra i più fieri si ricordano i Coriachi della penisola di Kamcatka ed i Cukci che erano insediati nella Cukotka, i cui usi e costumi erano ancora rimasti del tutto primitivi, non essendo ancora entrati in contatto con alcuna civiltà sviluppata. Con la rivoluzione bolscevica, la Siberia, oltre che nota per le ripetute e crudeli deportazioni, diventò terra di sfruttamento per le ambiziose mire economiche e militari della super-potenza sovietica e, come vedremo in seguito, tuttora rappresenta il polmone delle risorse della Federazione Russa.

Aspetto e clima

Nell’immaginario collettivo la Siberia è un immenso territorio ghiacciato compatto e monotono, ma nella realtà i suoi paesaggi sono profondamente variegati. Tra la linea orientale dei monti Urali ed il fiume Jenisei, si trova la grande pianura della Siberia occidentale che appare come il continuo naturale della Russia europea, con una misura di circa 2000 km in altezza e larghezza e le cui caratteristiche predominanti sono l’uniformità e la mancanza di rilievi. A causa dell’impossibilità dello scorrimento delle acque, nella parte più settentrionale la pianura occidentale si presenta per lo più paludosa, con una costa molto bassa e melmosa, sulla quale si aprono estuari di assoluto rilievo, come quello dell’Ob che arriva perfino ad 800 km di lunghezza. Ad oriente del fiume Jenisei, lo scenario cambia ed inizia il territorio chiamato “Siberia centrale” che, in gran parte, coincide con la mitica “Terra dell’Angara”, ovvero la parte geologica più antica dell’Asia settentrionale, dove si trovano rilievi più accentuati ed una serie di creste parallele fra la zona del lago Bajkal e la valle del fiume Argun. Oltre il fiume Lena, comincia poi la Siberia orientale, caratterizzata da elevati sistemi montuosi che culminano nel monte Pobeda che arriva a 3147 metri di altezza.

Anche il clima, estremamente continentale nell’intero territorio siberiano, con inverni lunghi e molto rigidi, alternati ad estati brevi e piovose, varia a seconda della tripartizione sopra indicata. Mentre nella Siberia occidentale, gli sbalzi di escursione termica tra inverno ed estate sono minori (la principale città, Novosibirsk , ha come media di gennaio -20 gradi e di luglio +20 gradi), nella Siberia orientale il divario è più accentuato, raggiungendo medie invernali di -50 gradi ed estive di +15 gradi.La costa orientale risente dell’influenza monsonica, portando ad una generale attenuazione delle rigidità invernale: a Vladivostok, ad esempio, si registra una media di gennaio di circa -14 gradi, mentre a luglio si assesta sui 20.

Quando immaginiamo la flora siberiana, davanti ai nostri occhi si susseguono interminabili distese di tundra e di tayga. La prima forma di vegetazione copre la zona settentrionale artica e subartica, offrendo una visione suggestiva quanto desolata di assenza di alberi e con il suolo occupato da numerosi acquitrini torbosi che, nel periodo estivo, si coprono di varie tipologie di muschi e di licheni che cedono il posto ad intervalli di spazio rocciosi. La tundra comprende anche una certa varietà di vegetazione legnosa che si articola in arbusti bassi ed in betulle nane che, nella brevissima estate, regalano la sorpresa di una fioritura con colori vivaci. A sud del Circolo polare artico, si estende l’immensa tajga, un’immensa foresta che arriva fino alle rive dell’Oceano Pacifico e che costituisce l’ininterrotto sistema forestale più grande della Terra. Conifere e betulle animano la tajga nella parte settentrionale, mentre più a sud si distingue una vasta area di latifoglie, con pini, abeti, cedri, larici ed ontani. Scendendo ancora più a sud, verso la Mongolia e la Manciuria cinese, si incontra la steppa, di cui la parte chiamata “terre nere” è risultata molto utile alla coltivazione.

Attrazioni

Ma la Siberia non è solo gelo e desolazione: è un territorio affascinante che può essere attraversato con la mitica linea ferroviaria più lunga del mondo, la Transiberiana. In realtà, pur potendo essere gli itinerari diversificati, la Transiberiana vera e propria parte da Mosca per arrivare a Vladivostok, sulle coste dell’Oceano Pacifico, attraversando un percorso lungo 9.288 km. Le due varianti seguono direttrici alternative (trans-mongolica e trans-manciuriana): Mosca-Pechino e Mosca- Irkutsk,la pittoresca cittàsul lago di Bajkal di cui parleremo in seguito. Di certo, in questo periodo di guerra, l’attività turistica della Transiberiana è completamente ferma, limitandosi agli spostamenti dei cittadini russi ed ai trasporti di carattere commerciale. Scegliendo di partire da Mosca, si incontrano, ad un certo punto del viaggio, città molto interessanti come Suzdal e Vladimir , con la sua Porta d’oro e le colline che, nella stagione primaverile, si tingono di colori vivaci. Tra le più belle tappe, segnalo senza dubbio Nizhny , dove si incontrano l’intenso blu del fiume Volga ed i riflessi grigio-verdi dell’Oka.  Dopo qualche giorno di viaggio si arriva a Novosibirsk, la città più grande della Siberia, fondata soltanto circa un secolo fa che rappresenta il cuore industriale e finanziario della parte occidentale. Diversi scenari paesaggistici si susseguono, così come si assiste al continuo mutare delle culture di riferimento: nell’opaca città di Ulan-Ude vale la pena fermarsi solo per fotografare la scultura della testa di Lenin più grande del mondo, oppure per immergersi nella mistica atmosfera dei templi buddisti, mentre nella lontana Birodihzan, destinata dal regime sovietico ad una nutrita comunità ebraica, si rievocano gli spettri delle spedizioni punitive successive alla seconda guerra mondiale. Di grande pregio è Kazan, capitale del Tatarstan, celebre per l’imponente moschea-astronave, antica ed avveniristica nel contempo, dalla cupola blu che si staglia tra le mura ultra-candide di un cremlino che risale allo zar Ivan il terribile.    Ed infine si arriva alla perla dell’Oriente siberiano, Vladivostok che, con una certa fantasia, i Russi paragonano alla San Francisco statunitense. La città, comunque, è molto viva e si trova in una posizione geografica spettacolare, tanto da diventare una delle icone del progresso tecnologico ed infrastrutturale della moderna Federazione Russa (il suo ponte principale è raffigurato sulla banconota da 2000 rubli).

Tra i luoghi più suggestivi della Siberia, un posto privilegiato è occupato sicuramente dal lago Bajkal, che comprende in sé una serie di primati: è il lago più profondo del mondo (1642 metri), nonché il più grande lago d’acqua dolce del pianeta (23% dell’intero bacino d’acqua dolce della Terra). Questo immenso specchio lacustre, che ha l’aspetto più di un mare che di un lago, è Patrimonio dell’Umanità fin dal 1996 e, grazie all’elevatissimo livello di ossigeno delle sue acque, comprende ben 2.500 specie di pianti, di cui alcune non presenti in altre aree del pianeta. Dalla metà di gennaio alla fine di marzo il lago è completamente ghiacciato, con uno spessore rassicurante che varia dai 50 cm ad un massimo di 140 cm. Su questa pista di ghiaccio naturale si verifica uno spettacolo unico nel suo genere, il cosiddetto effetto ottico del black ice, ossia una tipologia di ghiaccio del tutto pulito e trasparente che appare di colorazione nera, dando l’illusione di poter guardare verso gli abissi. Sulle sponde del lago, ammirando panorami magnifici soprattutto nella tarda primavera ed all’inizio dell’estate, ci si imbatte in comunità religiose appartenenti a diverse dottrine, come il cristianesimo ortodosso, il buddhismo e lo sciamanesimo tibetano. In particolare, più o meno al centro del lago, sorge l’isola di Ol’chon dove vive una popolazione autoctona, i Buriati, che ancora pratica alcuni rituali legati allo Sciamanesimo. In quest’isola si trova il sancta sanctorum degli Sciamani, capo Burchan, chiamata “roccia dello Sciamano”, dove le antiche tribù credevano che fosse nascosta una divinità mongola. Nei pressi della roccia è scolpito un disegno ed una scritta in sanscrito, ancora non completamente decodificata. Il lago Bajkal è stato oggetto anche di tante speculazioni fantasiose, venendo indicato come luogo dove si svolgerebbe un’intensa attività da parte di una civiltà aliena. Alcuni documenti che risalgono all’epoca sovietica farebbero riferimento ad incidenti che sarebbero avvenuti senza spiegazioni logiche ai danni della Marina russa, coinvolgendo non solo mezzi militari ma anche civili. Una relazione del 1958 racconta di un aereo russo che si sarebbe inabissato nelle acque gelide del lago, dopo essere stato minacciato da un oggetto volante non identificato. Successivamente, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, alcuni soldati impegnati in un’esercitazione avrebbero testimoniato di aver avvistato strani esseri di colore argenteo, immersi nelle acque del lago. Queste strane voci, tuttavia, molto probabilmente sono state suggestionate da alcune storie dell’antico folclore siberiano, secondo cui esisterebbero gli Ithiander, cioè una stirpe di creature molto aggressiva, relegata a vivere nelle profondità dei grandi laghi e del Mar Glaciale Artico. A ciò si aggiunge una fenomenologia magnetica molto simile a quella del Triangolo delle Bermude  che determinerebbe improvvise scosse climatiche, provocando la scomparsa nel nulla di imbarcazioni e di pescherecci. Ed in più gli osservatori hanno rilevato sulla superficie del lago i cosiddetti “cerchi di ghiaccio”, a partire dal 1969, con una dimensione variabile tra i 30 ed i 100 metri. Nel 2009 sono stati avvistati due cerchi di ghiaccio con un’ampiezza di circa 4 km. La funzione e l’origine di tali tratteggi geometrici è tuttora sconosciuta, anche se gli scienziati tendono a dare una risposta razionale al fenomeno. I cerchi di ghiaccio sarebbero causati dai vortici caldi che si formano nella profondità del lago, sotto la parte ghiacciata che, a loro volta, creerebbero un flusso d’acqua calda con andamento anti-orario. La corrente più forte si formerebbe all’esterno del gorgo, erodendo il ghiaccio e disegnando queste sorprendenti formazioni geometriche. Ovviamente questi anelli, seppure gradevoli dal punto di vista visivo, costituiscono un grave pericolo per coloro che con veicoli si accingono ad attraversare il lago durante la stagione invernale, in quanto rappresentano evidenti crepature nella solidità del ghiaccio.

I misteri

Una delle zone più misteriose della Siberia è la Repubblica di Yacutia, nota anche come Jakutia o Sakha, situata nel territorio più nord-orientale della piattaforma eurasiatica. L’antico nome di questa desolata regione è “Uliuiu Cherkechekh”, traducibile con l’espressione “Valle della morte”, nota per essere la terra più gelida del nostro pianeta e dalla quale, per chi decide di avventurarvisi, è difficile uscire vivo senza un adeguato equipaggiamento simile a quello di un astronauta. Le tradizioni tribali raccontano di strane strutture metalliche che sarebbero sepolte nelle profondità del permafrost e distinguibili in superficie per il colore acceso molto diverso dalla vegetazione circostante. Secondo alcune teorie degli ufologi russi, si potrebbe trattare di rottami di un’antica astronave aliena, oppure una misteriosa arma predisposta dagli stessi extraterrestri per difendere il nostro pianeta da pericoli esterni, o ancora un imprecisato sistema di rilevazione di fenomeni celesti.

Cambiando zona e spostandoci a sud, quasi ai confini della Mongolia, non lontano dal lago Bajkal, circa 70 anni fa è stato scoperto il misterioso cratere Patomskiy, conosciuto anche con il nome di “nido d’aquila”. Il cratere, situato nella regione della bella città di Irkutsk, presenta un cono alto 80 metri ed un diametro di circa 150. Secondo gli studiosi, il cratere sarebbe di formazione molto recente, retrodatando la sua origine a più o meno 250 anni fa, anche se non mancano geologi che la pensano diversamente. Non trovandosi in una zona interessata da fenomeni simili, il cratere Patomsky non può essere considerato un vulcano ed, in merito alla sua natura, gli scienziati hanno avanzato svariate ipotesi. Il nido d’aquila potrebbe essere derivato da un impatto meteoritico, o essere stato il luogo di un’esplosione nucleare segreta, o perfino l’accumulo di materiale di una miniera gulag dove i più sfortunati erano condannati ai lavori forzati.

Nella Siberia meridionale è stato trovato un affascinante sito megalitico, precisamente sul Monte Shoria, non lontano da Gornaya Shoria. Il luogo mistico, paragonato ad una sorta di Stonehenge orientale, presenta enormi blocchi di granito che non appaiono naturali, ma sagomati e lavorati secondo la maniera cosiddetta “ciclopica”. Questa sorprendente località, secondo gli studiosi che non credono che il nostro lontano passato sia così come viene normalmente divulgato, sarebbe un’importante testimonianza della possibile esistenza di un’antica civiltà perduta super-mondiale, capace di utilizzare una tecnologia molto più avanzata di quella contemporanea. Anche la zona di Arkaim, situata negli Urali meridionali, appena a nord del confine con il Kazakistan, rappresenta un vero e proprio enigma, mostrando evidenti similitudini con la Stonehenge britannica. Sulla datazione della sua origine, gli studiosi avanzano soluzioni discordanti, oscillando tra una posizione più accreditata che considera il sito costruito nel diciassettesimo secolo, fino ad arrivare ad un’ipotesi che ricollega la sua fondazione a circa 2000 anni prima di Cristo.          Si pensa che l’insediamento appartenesse alla cultura di Sintashta-Petrovka, un’ancestrale civiltà che popolava la steppa eurasiatica tra la fine del terzo e l’inizio del secondo millennio a.C.. Il sito è davvero enorme, coprendo una vastissima area che comprende circa 20.000 metri quadrati di territorio e composto da due grandi cerchi di abitazioni, intervallati da una grande piazza centrale.

E come dimenticare il celebre evento di “Tunguska”, verificatosi il 30 giugno 1908, a seguito di un plausibile impatto con un meteorite o con una cometa, anche se la natura del corpo celeste non è stata ancora accertata con esattezza. L’esplosione divampò tra i 5 ed i 10 km al di sopra della superficie terrestre, provocando la distruzione di decine milioni di alberi con un bagliore visibile a 700 km di distanza. L’onda d’urto fece quasi deragliare alcuni vagoni della ferrovia transiberiana che viaggiavano a 600 km dal luogo dell’impatto. Alcuni effetti arrivarono perfino in Europa: a Londra alcuni testimoniarono di aver osservato un intenso bagliore nel cielo. Se l’evento fosse capitato in una zona abitata del pianeta, avrebbe provocato un’immane catastrofe in termini di vite umane e di distruzione complessiva.  Ovviamente non sono mancate ipotesi alternative all’impatto con un asteroide o con una cometa. Secondo alcuni ufologi, si sarebbe trattato di un’incursione extraterrestre mal controllata, mentre qualche professore dell’Università del Texas azzardò l’ipotesi che l’esplosione fosse derivata dal passaggio diun “buco nero” di dimensioni modeste, entrato nella zona di Tunguska ed uscito dal punto opposto della Terra. In epoca relativamente recente, a partire dal 1991 fino al 2009,  alcune esplorazioni promosse dal dipartimento di fisica dell’Università di Bologna  hanno accertato che alcuni frammenti del corpo celeste, caduti sulla Terra, hanno contribuito a formare il lago Ceko. L’evento di Tunguska ha avuto una profonda influenza culturale, soprattutto in ambito letterario. Tra le versioni in scrittura, una delle più famose è quella del famoso scacchista Aleksandr Kazancev che, nel suo romanzo Pylajuscij (L’isola in fiamme), descrive l’incidente  di un’astronave aliena durante una sfortunata fase di atterraggio sulla Terra.

L’elenco dei siti misteriosi sparsi nella sconfinata Siberia è davvero lungo ed è impossibile trattarli tutti in questa breve rassegna. Risale allo scorso gennaio il presunto avvistamento di segnali strani ed inquietanti apparsi nei suoi cieli immensi. In particolare, sembra che la posizione del sole all’orizzonte abbia formato una suggestiva croce di fuoco che, per i più superstiziosi e millenaristi, ha costituito una sorta di avvertimento sulle grandi sciagure che stanno funestando l’umanità e, con il senno di poi, un monito sull’imminente conflitto tra Federazione Russa e l’Ucraina.

Le risorse della Siberia

Come si è avuto modo di accennare, il sottosuolo siberiano contiene eccezionali risorse minerarie e metalliche, oltre ad ingenti quantità, perfino non del tutto utilizzate, di petrolio e di gas naturale. Sotto la superficie ghiacciata della Siberia si trovano enormi giacimenti di oro, piombo, carbone, argento e zinco, tra i più estesi al mondo. È evidente, perciò, come lo sconfinato territorio siberiano sia importante per l’economia della Federazione Russa.  Credere, tuttavia, che la Siberia si sia sentita sempre “russa” sarebbe uno sbaglio, o meglio un’errata valutazione storica. Già in epoca zarista vi erano state spinte separatiste, come quella teorizzata da Nikolai Navikov nel 1838, mentre circa 15 anni più tardi, alcuni movimenti guidati da Shchapov e da Potanin tentarono di rendere autonoma la loro terra. Durante la rivoluzione di ottobre i separatisti siberiani crearono un precario regime di governo a Tomsk che, tuttavia, ebbe una durata molto breve a causa dell’intesa raggiunta con i bolscevichi per far fronte comune contro i nemici. Nel 1919, a seguito del processo di nazionalizzazione dell’economia, Lenin coltivò l’idea di creare un consistente polo industriale, sfruttando in primo luogo le grandi risorse degli Urali e del Kuzbass.  Il progetto di Lenin, però, iniziò a concretizzarsi un decennio più tardi, quando alla fine degli anni Venti del secolo scorso, la Siberia conobbe una veloce industrializzazione che portò a non pochi disastri ambientali. Lo stalinismo, poi, rese il vastissimo territorio siberiano come una sorta di “colonia interna”, con la conseguenza che un gran numero di contadini fu privato delle proprie terre e costretto a diventare manodopera operaia, molto spesso dovendo emigrare e rinunciare alle proprie risorse naturali. Prima della seconda guerra mondiale, iniziò un massiccio popolamento forzato delle città siberiane da parte di Russi, Ucraini, Estoni e di altre popolazioni europee che fagocitarono le oltre trenta etnie indigene. Un decreto sovietico impose l’utilizzo dell’alfabeto cirillico, mettendo al bando i molteplici idiomi locali. Durante la seconda guerra mondiale, il regime nazista, nei piani di conquista dell’Unione Sovietica, sottovalutò molto gli aiuti in termini di risorse che potevano essere forniti dalla Siberia e quando fu dichiarata guerra al Giappone, fu proprio grazie alla ferrovia Transiberiana che si potè trasferire l’armata Kwan-Tung verso l’estremo Oriente. Alla fine del secondo conflitto mondiale, furono mandati a lavorare in Siberia circa 800.000 ex soldati ed ufficiali, anche per l’esponenziale crescita delle industrie idroelettriche, siderurgiche ed, in linea generale, di sfruttamento del territorio. In particolare, negli ultimi decenni del Novecento la produzione di gas siberiano diventò talmente considerevole, da superare quella dell’Europa e del Medio Oriente messi insieme. I primi contratti tra alcune nazioni europee e la Russia per la fornitura di gas furono firmati proprio negli edonisti anni Ottanta, a seguito dello choc petrolifero che aveva destato tanti problemi nel decennio precedente. Al giorno d’oggi, grazie soprattutto alle risorse siberiane, la Federazione Russa è il primo produttore mondiale di gas, con una prospettiva futura di poter aumentare sensibilmente la produzione nel prossimo ventennio. In quest’area sono concentrate il 25% delle riserve mondiali di legname ed il 27% di carbone, a fronte di difficilissime condizioni di vita, dove a -40 gradi ogni attività è destinata a fermarsi, perché la gomma si disgrega, l’olio lubrificante si solidifica con la conseguenza che i mezzi di trasporto si guastano continuamente e le condutture interrate devono essere collocate ad una profondità decisamente superiore a quella della Russia europea. Ed alle risorse della Siberia guarda con avidità la vicinissima Cina che, con il suo miliardo e mezzo di cittadini, ha fame di materie prime.

Nella zona artica siberiana, la Federazione Russa, nel corso dell’ultimo decennio, ha cercato di rimettere in piedi le vecchie strutture militari abbandonate ed andate in rovina dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Dal 2014 il governo di Mosca ha aperto nel Mar Glaciale Artico circa 500 edifici destinati alle Forze Armate, una parte dei quali compone il cosiddetto “Trifoglio”, considerata la costruzione più a nord del mondo, nella Terra di Francesco Giuseppe. Inoltre, il riscaldamento globale che sta portando ad una graduale ma costante riduzione della copertura dei ghiacci nell’Artico, ha consentito, in alcuni periodi dell’anno, la navigazione marittima attraverso la rotta comunemente chiamata “Passaggio a Nord Est. Si tratta diuna chimera già inseguita nella letteratura del Settecento, in grado di collegare l’Oceano Atlantico al Pacifico, mediante appunto il Mar Glaciale Artico. Questa situazione sta spingendo gli Stati Uniti a rafforzare la propria presenza nella zona artica, individuando potenziali siti per la costruzione di porti militari che possano servire di deterrenza alla minaccia russa, così come definito nel National Defense Authorization Act del 2020.

Mi piace concludere questa trattazione, facendo riferimento al libro di J. Kondriatuk, pubblicato nel 1929 a Novosibirsk, La conquista degli spazi interplanetari, a proposito di una formula del moto dei razzi che, perfezionata nel tempo, avrebbe consentito di risolvere importanti problemi matematici nei viaggi spaziali. Circa 40 anni dopo, sulla rivista statunitense “Life” fu pubblicato un articolo in cui si ammetteva che, per il volo dell’Apollo sulla luna, erano stati usati gli stessi calcoli riportati nel testo di Kondriatuk.