I Ramones sono tutti i morti. Il punk invece pure.

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Ma se quest’ultima è soltanto una boutade su cui si discute e si continuerà a discutere in eterno, la prima invece è una triste verità.

Il 23 aprile 1976 usciva il primo album omonimo dei Ramones e a quarantacinque anni di distanza da quell’esordio fulminante i quattro membri della formazione originale di New York sono tutti morti: Joey Ramone (voce) è scomparso nel 2001 a causa di un linfoma, Dee Dee Ramone (basso) è morto di overdose nel 2002, Johnny Ramone (chitarra) è deceduto nel 2004 per un cancro alla prostata e Tommy Ramone (batteria) è morto, sempre di cancro, nel 2014. E se proprio dobbiamo dirla tutta, anche il punk – inteso come movimento (di spinta) culturale – se non è definitivamente morto, oggi comunque di certo non se la passa tanto bene, sovrastato com’è da altri movimenti più aderenti alla realtà contemporanea, come è giusto e naturale che sia, ché ogni epoca ha le sue correnti e i suoi (anti)eroi.

Certo, poi ogni scena ha anche i suoi revival – qualcuno li chiama “ondate” – ma quando arrivano non è già più la stessa cosa. Ancora meno nel caso del punk, visto che parliamo di un movimento nato all’insegna del nichilismo, che ha fatto dell’assenza di futuro la sua bandiera, soprattutto in Inghilterra (no future for you, no future for me). In realtà, già il punk inglese dei Sex Pistols  – pur essendo emerso in quegli stessi anni – era diverso dal ceppo americano originario dei Ramones (in un certo senso più “speranzoso” e “cazzaro”), figuriamoci poi tutto quello che è venuto dopo: dalle frange più estreme dell’hardcore esploso negli anni ‘80 (vedi Black Flag, Dead Kennedys, Bad Brains e Minor Threat) a quelle più poppettare rese mainstream da Mtv negli anni ‘90 (vedi Offspring e Green Day che si tirarono dietro Nofx e Bad Religion), non c’è mai più stato niente di equiparabile ai primi Ramones. Another girl, another planet cantava qualcuno (Ndr.The Only Ones).

Ma tornando a noi, cosa ci rimane allora oggi del punk delle origini?

Lo spirito? Ci piacerebbe. L’ironia? Forse. La musica? Sicuramente. La sfiga? Probabilmente anche. Per quanto riguarda quest’ultima c’è chi parla addirittura di maledizione dei Ramones, il cui valore musicale purtroppo è stato riconosciuto dalle masse solo quando ormai era troppo tardi: la band, infatti, si sciolse nel ‘96 senza avere mai avuto neanche un vero album di successo (il che può sembrare assurdo considerato che oggi i Ramones li troviamo pure sulle magliette di H&M e nei film di Spiderman). Inoltre, di lì a poco la morte avrebbe cominciato a dar loro la caccia, prendendoli uno a uno come nel più classico dei film horror, a cui spesso le loro canzoni facevano riferimento.

Ma andiamo con ordine.

Per capire il punk dei Ramones bisogna risalire alle sue – tutt’altro che nobili – origini newyorkesi, così da sfatare subito un mito: il punk dei Ramones infatti non c’aveva proprio un cazzo di nobile. Anzi forse qualcosa sì (ci arriveremo), ma non certo quella che viene spesso sbandierata e venduta come la sua (presunta) “purezza” di intenti iniziale: ovvero il fatto che il punk all’inizio fosse contro il sistema capitalistico perché anti-commerciale. In realtà il ramo politico del punk aveva poco o nulla a che fare con i primi Ramones, quella era più una faccenda che avrebbe riguardato i gruppi del versante inglese (i Clash in particolare) o quelli americani delle “ondate” a venire. Ma non i Ramones del ‘76. Ai Ramones che si erano fatti il culo sul palco del CBGB’s per due anni – il loro primo concerto risale al ‘74 – non interessava affatto abbattere il sistema economico, anzi loro puntavano proprio a raggiungere il successo all’interno di quel sistema.

Il loro rifiuto si esprimeva più che altro nei confronti della musica dominante, in particolare quella dei gruppi progressive-rock, degli hippie reduci dagli anni ’60 e di tutti quelli che si rifacevano alle grandi tradizioni musicali del passato. I Ramones volevano spazzare via tutto questo e andare dritti al punto con canzoni da due minuti, niente assoli, melodie catchy quasi bubblegum alla Bay City Rollers, testi semplici a mo’ di inni e slogan e tanto, tantissimo rumore. La loro rivoluzione è tutta qui. Nella velocità e nella furia di questo suono sparato fuori a volumi assordanti sta tutta la semplicità della loro proposta musicale e della loro libertà artistica, quella sì veramente pura. In fondo i Ramones volevano solo essere liberi di esprimere la loro idea di musica rock: volevano fottere il sistema, sì, ma solo quello musicale, non pensavano certo di cambiare tutto il contesto socio-economico che c’era intorno. Tant’è che nei loro primi testi non c’è alcuna traccia di rivolta politica o di spinta progressista. Anzi, le liriche semplici e quasi naif del primo album a volte sconfinavano pericolosamente in territori opposti, giocando fin troppo da vicino con l’immaginario nazista, come nel famoso verso “I’m a shock trooper in a stupor, yes I am/I’m a Nazi schatze, y’know/I fight for Fatherland (sono un soldato d’assalto in stupore, si lo sono. Sono un soldato nazista, lo sai, combatto per la madrepatria) oppure in modo leggermente più velato come nell’inno Blitzkrieg Bop , che riprende il concetto di “guerra lampo” usato dall’esercito tedesco all’inizio della seconda guerra mondiale. Lungi dal voler inneggiare al nazismo, si tratta più che altro di espressioni di sfida volutamente scioccanti e particolarmente ingenue, considerando anche il fatto che due membri su quattro dei Ramones erano ebrei – per un’analisi più approfondita sull’uso dell’immaginario nazista nel punk consigliamo la lettura del saggio di Roger Sabin contenuto nella raccolta Punk Rock: So What?.

In sostanza si trattava solo di ragazzi disadattati che volevano fare musica a modo loro. Sono questi i due punti fondamentali del punk dei Ramones: Disagio e Libertà – che tra l’altro sarebbe stato un nome perfetto per un partito punk.

A questi bisogna poi aggiungere altri due elementi minori, ma non per questo meno decisivi nell’andare a completare una formula esplosiva perfetta: l’Ironia e la Violenza – che invece probabilmente sarebbe stato un ottimo titolo per un film punk.

E così eccoli qua, quattro elementi per quattro fratelli che fratelli non erano.

Proviamo ad analizzarli uno a uno.

Il disagio

I Ramones originali erano quattro ragazzi del Queens che nel disagio ci erano nati e cresciuti. Johnny era stato tirato su in maniera rigida e severa da un padre alcolista che gli aveva inculcato i germi del dispotismo e della violenza. Tommy era scappato da piccolo dall’Ungheria socialista degli anni ‘50 insieme alla famiglia ebrea sopravvissuta all’olocausto. Dee Dee aveva avuto un’infanzia difficile a causa dei continui litigi dei genitori e della (conseguente?) sperimentazione massiccia di droghe pesanti già in tenera età. Joey, infine, era forse quello messo peggio di tutti, essendo nato con una rara forma di tumore attaccato alla spina dorsale, a cui poi si sono aggiunti disturbi mentali di natura ossessivo-compulsiva e una diagnosi di schizofrenia. Inoltre a causa della del suo aspetto alto, magro e dinoccolato e della sua personalità timida e riservata era sempre stato un bersaglio facile dei bulli di quartiere dai quali si nascondeva dietro a un paio di occhiali scuri che non toglieva mai e non toglierà mai più.

Insomma, ciascuno di loro era a suo modo un outsider. E in fondo è questa in sintesi la prima e migliore definizione moderna di “punk”: qualcuno o qualcosa di “fuori posto”.  

Il termine “pun(c)k” in realtà vide la luce, o forse il buio, per la prima volta in forma scritta nel 1596 col significato di “prostituta”, per poi evolversi nel tempo passando dall’essere usato come sinonimo dispregiativo di “omosessuale” o di “qualcosa di inutile”, approdando infine a quello più moderno e premusicale di “teppistello” o “balordo”.

Il suo utilizzo nella musica lo si deve soprattutto alle riviste di settore e in particolare alla rivista fondata da Legs McNeil e John Holmstrom che lo adottano come proprio “nome” tutelare: “Sembrava che la parola punk sintetizzasse il filo conduttore di tutto quello che ci piaceva: ubriaco, sgradevole, intelligente ma non pretenzioso, assurdo, divertente, ironico, e altre cose che facevano appello al lato più oscuro delle persone”.

Sul primo numero della rivista PUNK, uscito nel gennaio del ’76, viene pubblicato un articolo che individua Marlon Brando come il primo vero punk della storia e che contiene forse la migliore descrizione possibile dell’essere punk: una VITTIMA che incute soggezione”.  Questo erano i quattro finti fratelli Ramones ancor prima di conoscersi. E questo rimarranno anche dopo. Era fisiologico che una volta entrati in contatto si riconoscessero tra loro come tali perché, come dice la protagonista di The Outsider nell’omonimo romanzo di Stephen King, “un outsider riconosce un outsider”.  

Del resto basta guardare le foto scattate per la copertina del disco: immortalati nella loro tipica posa strafottente, con indosso i giubbotti di pelle e i jeans strappati, sembrano dei veri duri, ma in realtà molti non sanno che sul muro dietro di loro, coperto dallo scudo dei loro corpi, curiosamente c’era il disegno di un’ascia con la scritta “HACK!”, abbattili. Cosa dicevamo prima? Ironia, violenza, disagio e libertà. Quattro elementi per quattro anime perse unite in una band che era di nome e di fatto come una famiglia. Una famiglia disfunzionale, ovviamente, in cui le liti erano all’ordine del giorno, il che ci porta dritti, dritti verso l’esplorazione del secondo elemento.

La violenza

Nel saggio sui Ramones di Nicholas Rombes pubblicato in Italia da Minimum Fax, al quale vi rimandiamo per ulteriori approfondimenti su quanto detto finora, l’autore cita un altro “anti-eroe” del cinema, come possibile simbolo del punk, ovvero Travis Bickle, il protagonista di Taxi Driver interpretato da Robert De Niro.

Il film di Martin Scorsese ambientato a New York e uscito lo stesso anno del primo disco dei Ramones, oltre a condividere con la band il tempo e lo spazio, condivide anche il suo significato più profondo, poiché mette in scena l’estremo disagio vissuto dal protagonista costantemente fuori posto, che finirà per sfociare in un atto di estrema violenza. Non è però quest’ultimo il punto di contatto tra la band e il film di Scorsese individuato da Rombes, quanto la capacità del film di“cogliere lo spirito della solitudine da cui il punk emerge e alla quale si rivolge. Tuttavia la degenerazione nella violenza c’è: avviene nel finale del film, dove Travis sfoggia per l’occasione anche un nuovo taglio di capelli con la cresta punk. Coincidenze? Chissà, tu chiamale se vuoi collisioni. Di mondi, di linguaggi e di confusioni.

Robert De Niro in Taxi Driver

È indubbio che anche nella carriera dei Ramones la violenza è apparsa in varie forme e su vari livelli. Il primo livello è rappresentato dalla violenza fisica, fortunatamente limitata alle minacce tra i membri della band e a pochi episodi reali veramente gravi, come quello che spedì Johnny in ospedale con il cranio fracassato dopo una rissa con Seth Macklin dei Sub Zero Construction (episodio che ispirò il titolo all’album dell’84Too Tough to Die).

Il secondo livello è quello della violenza musicale che esce dai loro strumenti: il suono del rock sparato fuori a quella velocità viene percepito naturalmente come violento. Perché è un suono che nasce per ribellarsi a qualcos’altro. Sembra quasi un urlo primordiale fatto con gli strumenti. Qualcosa a metà strada tra un urlo di dolore e un grido di battaglia. Non puoi ballare su quella musica. E non puoi restare fermo. Devi per forza saltare e pogare.  

Infine il terzo e ultimo livello è dato dalla violenza esplicitata da alcuni testi, come quello di 53rd & 3rd , che racconta la vicenda di un ex soldato del Vietnam, proprio come Travis Bickle, che comincia a prostituirsi e finisce per uccidere la gente. Altri singoli versi e/o ritornelli sono vere e proprie esortazioni o inviti alla violenza come “Picchia il marmocchio con una mazza da baseball” (Beat on the Brat) o “Sparategli alle spalle” (Blitzkrieg Bop), senza dimenticare la minaccia più semplice e banale di tutte: “Ti picchierò” (Loudmouth). Nell’analizzare queste liriche, tuttavia, è impossibile non tenere in considerazione l’importanza fondamentale di un altro elemento. 

L’ironia

I testi dei Ramones, infatti, non sono da prendere alla lettera, ma devono essere sempre letti alla luce del black humor che lega la band all’estetica della cultura pop dei film horror, dei B-Movies e dei fumetti. Il massacro del Texas con le motoseghe (Texas chain saw massacre) inneggiato dal ritornello di Chain Saw , ad esempio, non è altro che il titolo di un film horror cult, meglio conosciuto in Italia come Non aprite quella porta.

Allo stesso modo, il verso della mazza da baseball di Beat on the Brat,più che a una scena di violenza domestica, fa pensare a una delle gang de I Guerrieri della Notte, il film di Walter Hill del ‘79 tratto dall’omonimo romanzo di Sol Yurick del ’65.

L’ironia dei testi si capisce perché non è limitata alle parti violente: è più un’attitudine generale che si estende a macchia d’olio su tutto. Altro momento esemplare è rappresentato dal famoso verso meta-testuale di Judy is a Punk , “second verse, same as the first / Secondo verso uguale al primo”, in cui i Ramones prendono in giro in un colpo solo sé stessi e il pubblico, ma anche la strofa, la canzone e l’intero genere di riferimento. Niente male per un gruppo accusato di scrivere solo testi banali e sconclusionati.

Lo stesso nome della band è uno scherzo. I Ramones, come tutti sanno, non erano fratelli e quel cognome assurdo era stato preso in prestito da Paul Ramone, il nome di fantasia che Paul McCartney utilizzava per fare i check-in negli hotel.

Il divertimento puro e semplice è sempre stato alla base della musica dei Ramones. Lo disse anche Joey Ramone in una delle sue ultime interviste rilasciate a Rolling Stone:Il rock’n’roll dev’essere divertente”.  Era quello il loro credo e spesso sono state proprio le loro dichiarazioni a esaltare ulteriormente l’aspetto ironico, umoristico, divertente e cazzone della band. A proposito di Now I Wanna Sniff Some Glue, per esempio, Dee Dee aveva dichiarato: “Non vorrei che la gente pensasse davvero che noi sniffiamo la colla, ho smesso di farlo quando avevo otto anni”.  In merito al loro modo di suonare e di scrivere canzoni avevano sempre fornito descrizioni autoironiche:Suoniamo canzoni corte per gente che non ha tempo da buttare via”; oppure “Non suoniamo canzoni corte, suoniamo canzoni lunghe molto velocemente”; oppure ancora Volevamo scrivere canzoni su donne e automobili – ma nessuno di noi aveva un’automobile e nessuna ragazza voleva uscire con noi. Allora scrivemmo canzoni su tipi strambi e malattie mentali”.  E così via. Il divertimento, dalla sua forma più elementare e viscerale a quella più cerebrale e irriverente, è sempre stato fondamentale per la band, basti guardare la scena in cui suonano Do You Wanna Dance? nei corridoi della scuola, nel film cult Rock ’n’ Roll High School,  o quella in cui suonano al compleanno del sig. Burns in un famoso episodio dei Simpson.

Da notare che la scena di Rock ’n’ Roll High School si apre con la protagonista che dice loro “Do Whatever You Want cioè “fate quello che volete”, e infatti il divertimento, l’ironia e l’umorismo dei Ramones erano spesso legati all’elemento che abbiamo lasciato per ultimo.

La libertà

È questa la cosa più importante della musica punk, che nel caso dei Ramones si traduce in fare quello che ti pare fregandotene delle mode e delle regole del music business, suonare e cantare più velocemente possibile, non importa se bene o male e non importa se i testi sono troppo espliciti, troppo semplici oppure hanno poco senso: l’importante è divertirsi, “Gabba Gabba Hey”, “Hey! Oh! Let’s go!” e “One-two-three-four, sentirsi liberi, non frenarsi, essere senza limiti. Il senso di ribellione, la gioia esplosiva, la trasgressione e l’inarrestabilità sono tutte sensazioni presenti fin dalla prima traccia dell’album, dove i ragazzini Si muovono contro un forte vento, perdono la testa, pulsano fino all’ultimo battito e sono tutti su di giri, pronti a partire. Blitzkrieg Bop è da questo punto di vista una vera e propria dichiarazione d’intenti. È in questa sensazione di libertà totale che risiede la vera purezza del punk. Non a caso nell’album ci sono ben quattro canzoni (il numero magico dei Ramones) che dicono soltanto quello che l’io narrante VUOLE o NON VUOLE fare: I WANNA Be Your Boyfriend, ma I DON’T WANNA Walk Around With You ; oppure I DON’T WANNA Go Down to the Basement, Now I WANNA Sniff Some Glue.

Questa manifestazione di volontà sarà una costante anche negli album successivi dei Ramones. Basti pensare ad altri brani, più o meno famosi, come Now I Wanna Be A Good Boy (su Leave Home), I Wanna Be Well (su Rocket To Russia) o il poker d’assi calato da Road To Ruin con I Just Want To Have Something To Do,  I Wanted EverythingI Don’t Want You e l’inno I Wanna Be Sedated. Una continua manifestazione di volontà e di libertà, questa dei Ramones, che si concluderà solo nel loro ultimo disco, Adios Amigos, con la cover simbolica di Tom Waits: I Don’t Wanna Grow Up.

Come fa notare Rombes nel suo saggio, il primo album dei Ramones inizia con un brano che suona come una promessa. Violenta, ironica, disagiata e libera. Come tutta la loro musica a venire. Se c’è stata una forma di purezza nei Ramones è stata quella di essere rimasti sempre fedeli a sé stessi e alla loro idea di musica. Quindi, è vero, a 45 anni di distanza dalla nascita il punk è morto, i Ramones sono morti, ma la promessa è stata mantenuta.

Bibliografia di approfondimento:

– Ramones. Hey! Ho! Let’s Go! (2017) – Nicholas Rombes
– Punk Rock: So What? (1999) – Roger Stabin
– Hey Ho Let’s Go: The Story Of The Ramones (2002) – Everett True
– Ramones. La biografia ufficiale (2007) – Jim Bessman
– Please Kill Me. Il punk nelle parole dei suoi protagonisti (2012) – Gillian McCain e Legs McNeil

Filmografia di approfondimento:
– Rock ‘n’ Roll High School (1979) – Allan Arkush
– End Of The Century: The Story Of The Ramones (2003) – Jim Fields e Michael Gramaglia
– Ramones Raw (2004) – John Cafiero
– Punking Out (1978) – Maggi Carson, Juliusz Kossakowski, Ric Shore
– The Blank Generation (1976) – Amos Poe
– PUNK  (2019) – Jesse James Miller

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