Sul finire degli anni ‘70, mentre il panorama della musica occidentale aveva già visto l’unione tra il mondo del cantautorato e il mondo del rock (gli album di Bob Dylan avevano un suono più elettrico; i The Byrds e Jimi Hendrix avevano coverizzato i suoi brani come Mr. Tambourine Man o All Along the Watchtower), in Italia vi era ancora una netta distinzione sia dal punto di vista dell’estetica musicale che ideologica.
Da una parte vi erano i cantautori cosiddetti “impegnati” tra cui emergevano Francesco Guccini e Fabrizio De Andrè. Questi richiamavano le sonorità dei cantautori francesi vicini ai moti del ‘68 come Georges Brassens, attenti quindi al rispetto dei canoni della scrittura in versi; particolare attenzione veniva prestata alla scelta delle rime e alla consonanza tra il pattern ritmico generalmente cadenzato e la metrica del testo.
Altra peculiarità consisteva nella cura riservata all’impostazione canora, generalmente profonda e cavernosa. Gli arrangiamenti non avevano particolari complessità in quanto erano costituiti perlopiù da giri armonici intervallati da brevi fraseggi di chitarra classica o acustica che a volte vedevano l’aggiunta della sezione ritmica e di archi (si pensi al De Andrè precedente all’album La Buona Novella o al brano L’avvelenata).
Per quanto riguarda i testi – e da qui si spiega la definizione di “cantautore impegnato” – raccontavano storie allegoriche richiamando la tradizione degli chansonnier o fotografavano alcuni spaccati della società contemporanea, spesso con l’intenzione mettere a nudo gli abusi di potere di qualsiasi tipo, perciò i loro nomi venivano accostati a determinati movimenti politici.
Dall’altro lato vi era invece vi era il mondo del progressive rock e il loro pubblico era in conflitto con chi seguisse i cantautori, ritenuti “conservatori” in quanto fedeli ad una tradizione ormai sorpassata. Ognuno con le loro caratteristiche musicali, vi facevano parte la Premiata Forneria Marconi, le Orme, gli Area, e tante altre band che guardavano al progressive rock inglese come i King Crimson, i Jethro Tull, i Genesis e così via.
I brani erano spesso di lunga durata dunque la loro struttura era decisamente più complessa rispetto alla tipica canzone pop, così come gli arrangiamenti costituiti da un massiccio utilizzo di synt, chitarre distorte e lunghe sezioni strumentali che nei live si tramutavano spesso in improvvisazioni. Lo stesso De Andrè dichiarò di concepire il risultato finale del processo creativo come un dipinto, ossia un’opera fissa nel tempo, riprodotto fedelmente nelle esibizioni dal vivo; viceversa nel progressive rock si lascia ampio spazio all’improvvisazione andando quindi a variare l’opera incisa. I testi dei brani erano spesso legati alla simbologia celtica, ma non mancavano anche attenzioni a tematiche sociali (soprattutto negli Area).
Le due realtà musicali sembravano inconciliabili, soprattutto in quel clima di grande agitazione politica dove le ibridazioni culturali venivano percepite come un un tradimento degli ideali. Ogni gruppo viveva nel proprio “ghetto” culturale e spesso si scontravano violentemente a vicenda.
Nel frattempo a Roma iniziava ad avere successo un cantautore da un sound differente rispetto ai fedeli alla linea francese: Francesco De Gregori. I suoi brani erano più vicini allo stile dylaniano, attento quindi più al senso ritmico prodotto dal connubio tra testo e arrangiamento, piuttosto che rispettare le metriche della tradizione poetica scandite da un pattern ritmico molto rigido. Fabrizio De Andrè – che già aveva mutato il proprio stile musicale – sempre vigile agli sviluppi artistici, instaurò una collaborazione proprio col cantautore romano per apprendere le sue caratteristiche più vicine al mondo della musica oltre oceano. L’album registrato si intitola Volume 8 (1975) e denota uno stile presente anche in Rimini, uscito tre anni dopo, in cui troviamo Avventura a Durango, cover di Romance in Durango di Bob Dylan.
Intanto, mentre il pubblico era in contrasto, gli artisti si muovono oltre ogni confine ideologico e la passione per il progressive rock di De Andrè non rimane tacita, infatti nello stesso anno entra in contatto proprio con la P.F.M. Con i membri Franz Di Cioccio e Franco Mussida aveva già collaborato in La Buona Novella del 1970, quando la P.F.M. si chiamava Quelli.
In una sera del 1978 De Andrè si era recò a Nuoro per assistere a un loro concerto ed il giorno dopo, durante il pranzo Di Cioccio propose “Perché non facciamo qualcosa insieme?”. Unire il cantautorato al rock era una scelta apparentemente nefasta ed infatti il cantautore genovese venne ripetutamente invitato a declinare la proposta. Ma essendo un artista “in direzione ostinata e contraria” la scelta apparve scontata e infatti ben presto accettò di intraprendere questo progetto volto a rivisitare l’arrangiamento dei suoi brani in chiave rock.
La P.F.M. era già stata in tour negli Stati Uniti ed aveva osservato come il rock potesse amalgamarsi bene con il cantautorato, quindi ebbero l’intuizione di riuscire a trasportare una simile esperienza anche in Italia.
Il pubblico non sapeva cosa aspettarsi e incuriositi da questo connubio, per la prima volta i fedeli alla linea rock si trovavano accanto agli appassionati del lirismo dei cantautori senza mai scontrarsi (non era scontato in quegli anni). Soltanto al PalaEur di Roma la band subì la contestazione degli Autonomi, ma De Andrè riuscì a gestire la situazione riportando presto la calma.
La scaletta dei concerti si apriva con una lunga introduzione strumentale che faceva da apripista a La canzone di Marinella, un brano arricchito da un morbido tappeto di synth e tastiere, fluidi arpeggi di chitarre e una sezione ritmica volta ad aumentare l’intensità musicale. I brani a subire un ritocco più incisivo in chiave progressive rock pur rimanendo fedeli alle idee originarie di De Andrè furono Bocca di rosa, Un giudice in cui viene inserita una fisarmonica e in sottofondo Patrick Djivas con il suo basso esegue un lavoro straordinario, Il pescatore (molti conoscono soltanto questa versione, con il noto intro di violino di Lucio Fabbri), Via del campo ed anche Il testamento di Tito, caricato di una propulsione groovemica decisamente più accentuata. Memorabili sono gli assoli di chitarra impetuosi e allo stesso tempo drammatici di Franco Mussida in Amico Fragile, a sostituire i bridge di violino della versione in studio contenuta nell’album Volume 8.
Il pubblico inizialmente scettico e pronto a fischiare i loro beniamini in caso di un lavoro raffazzonato, rimase invece entusiasta dell’esperimento in quanto i brani del cantautore genovese erano riconoscibili, ma la P.F.M. aveva dato loro un volto nuovo, probabilmente anche più adatto alla contemporaneità.
Il tour si protrasse dal dicembre 1978 al febbraio del 1979 e seguì la pubblicazione di due album registrati a Bologna e Firenze e recentemente è uscito il film Fabrizo De Andrè & PFM – Il concerto ritrovato registrato durante la tappa di Genova.
In pochi mesi la musica italiana aveva cambiato volto e tutti i musicisti uscirono arricchiti da questa esperienza. Franz Di Cioccio infatti dichiarò:
“Credo sia stato uno scambio alla pari. Noi da lui abbiamo imparato l’importanza del testo, De Andrè, invece, prese da noi consapevolezza della sua potenzialità da musicista”.
Dopo questa esperienza, la cura degli arrangiamenti non veniva più percepita come una mera operazione di marketing volta all’omologazione culturale; intanto dall’altra parte il rock era stato arricchito di un elemento ulteriore spesso tralasciato perché considerato eccessivamente “intellettualoide” e “borghese”: il testo. È da sottolineare come i brani riarrangiati dalla P.F.M. sono rimasti non solo nella storia della musica italiana ma De Andrè li conservò riproponendoli anche nei tour successivi.
La ricerca musicale di De Andrè si era ormai ampiamente discostata dagli albori, tant’è che nell’album successivo, conosciuto come L’indiano, ancora si percepiva lo stile assimilato con la Premiata Forneria Marconi. Nel 1984 esce Crêuza de Mä, in cui insieme a Mauro Pagani (ex membro della P.F.M.) addirittura sperimentò le sonorità provenienti dalle culture tradizionali balcaniche, greche e medio-orientali. Dunque anche la world-music, già miscelata con il rock, entrò a far parte del mondo del cantautorato. Ormai che le barriere culturali erano cadute, la figura del cantautore poteva finalmente sperimentare ogni tipo di sonorità e trovare soluzioni interessanti ed originali anche dal punto di vista musicale.
Tutte le canzoni di de andre’ sono plagio niente farina del suo sacco. un orrore di musicista.
tutto copiazzato