Fabrizio De André, Quello Che Non Ho: testo e significato del brano

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Fabrizio De André è sempre riuscito, attraverso le sue parole e melodie, a ritagliarsi un posto nella memoria della storia musicale e della letteratura contemporanea: alcune delle sue canzoni possiedono un potere evocativo già dalle primissime note, traslando l’ascoltatore nella dimensione “Faberiana” in pochi attimi.

Una di queste è datata 1981, quando venne pubblicato l’album omonimo del cantautore di Genova, dai più conosciuto anche come L’indiano, la quale parte lenta, lentissima, in un divenire di suoni endemici, tra grida, spari (registrati durante una caccia al cinghiale in Gallura, nel nord della Sardegna) ed una chitarra blues che si fermano poi tutti insieme per lasciare spazio alla voce baritonale di De André che canta: Quello che non ho.

Questo il titolo di una delle canzoni più “rock” di Faber, non solo per l’impatto strumentale: il testo è un gioco, anzi una sfida che inveisce contro il consumismo di chi ha e vuole tutto, per dar voce a chi, invece, non ha bisogno di finte ed inutili ricchezze (Quello che non ho è quel che non mi manca) e facili apparenze (Quello che non ho è una camicia bianca) e si contrappone al rigore del possedere e dell’avere moderno (Quello che non ho sono i tuoi denti d’oro) in quella che suona come una corsa contro una figura umana, quella più civilizzata, oramai corrotta (Quello che non ho sono le mani in pasta) nella quale non solo non ci si riconosce, ma si vuole seminare (Quello che non ho è un orologio avanti / per correre più in fretta e avervi più distanti) a suon di riff blues e armonica, verso il ritorno originario della propria non contaminata identità (Quello che non ho è un treno arrugginito / che mi riporti indietro da dove sono partito), il più lontano possibile da una realtà che ha abbandonato la propria serena naturalità (Quello che non ho è questa prateria / per correre più forte della malinconia).

Fabrizio De Andrè - Quello Che Non Ho

Lungo la linea del continuo confronto metaforico tra il popolo Indiano e quello sardo, De André elenca tutto ciò di cui non si avrebbe davvero bisogno, puntando la voce contro quella moda dell’eccesso dettata dall’uomo occidentale, tesa a snaturare la stessa figura umana, da animale sociale a consumatore irrazionale, privo di quelle domande e risposte sul proprio ruolo e posto nel mondo, rimaste intrappolate in forma di parole in quell’indiano che ruba il corpo, la voce e l’arte del cantautore, per gridare il proprio sdegno nei confronti di quei popoli e mentalità che hanno messo da parte la natura e la ricchezza dell’essere, per esaltare quella più capitalistica dell’avere.

Il capitalismo non può essere democratico.

Scritta insieme a Massimo Bubola, Quello che non ho è l’incipit di un concept album che focalizza su quelle culture popolari, tra cui quelle dei nativi americani e sarda, in contrapposizione con il materialismo occidentale tipico dell’uomo “bianco”, teso a dimenticare il rispetto non solo per le tradizioni altrui, ma per la propria natura, in un atto di denuncia morale che cerca il richiamo verso un vivere armonioso che non abbia bisogno di superficialità, sfarzosità o sotterfugi che possono solo portare all’estinzione non solo di una cultura, un popolo, ma del più nobile animo umano: per conquistare il cielo e guadagnarsi il sole, insomma, non si ha bisogno di segreti in banca, indirizzi in tasca o pistole, ma solo di un’attenzione nuova ad apprezzare e a togliere dall’invisibilità tutto quello che si ha o si è già. E per riuscirci, a volte, può bastare anche una canzone.

Il canto ha infatti ancora oggi, in alcune etnie cosiddette primitive, il compito fondamentale di liberare dalla sofferenza, di alleviare il dolore, di esorcizzare il male.

Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è un segreto in banca
quello che non ho sono le tue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho è di farla franca
quello che non ho è quel che non mi manca
quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole.

Quello che non ho è un orologio avanti
per correre più in fretta e avervi più distanti
quello che non ho è un treno arrugginito
che mi riporti indietro da dove sono partito.

Quello che non ho sono i tuoi denti d’oro
quello che non ho è un pranzo di lavoro
quello che non ho è questa prateria
per correre più forte della malinconia.

Quello che non ho sono le mani in pasta
quello che non ho è un indirizzo in tasca
quello che non ho sei tu dalla mia parte
quello che non ho è di fregarti a carte.

Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è di farla franca
quello che non ho sono le sue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

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