Il Seme della Follia: trama e spiegazione del film di John Carpenter

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Questo articolo rivela elementi importanti della trama e della spiegazione de Il Seme Della Follia di John Carpenter, svelandone il significato, gli eventi e le prospettive migliori per apprezzarne i pregi. Se ne suggerisce dunque la lettura solo ed esclusivamente dopo aver visto il film, e non prima, per evitare di perdervi il gusto della prima visione.

“Io penso, dunque lei esiste”

“Non leggi Sutter Cane?”

Per uno strano scherzo del destino, nonostante i numerosi cultori sparsi in tutto il mondo, John Carpenter rimane un autore tristemente sottovalutato, la cui produzione non gode del riconoscimento unanime e ad ogni livello che invece meriterebbe. Con una filmografia che vanta venti lungometraggi, dei quali almeno nove sono opere fondamentali per lo sviluppo di un certo cinema, Carpenter è uno dei registi americani in assoluto meno riconosciuti in patria, mentre nel resto del mondo si tende a considerarlo al massimo un maestro dell’horror, quando invece la sua importanza si estende ben oltre i confini del genere (e capolavori come 1997: Fuga da New York ed Essi vivono sono qui a gridarlo a pieni polmoni, quasi inascoltati).

L’esempio più eclatante di questa lacuna generale è il trattamento riservato oggi a Il Seme della Follia, opera che rappresenta probabilmente la vetta, il non plus ultra di tutta la poetica carpenteriana, uno dei film più originali e interessanti degli anni novanta, amatissimo dai pochi-ma-buoni che lo conoscono e generalmente snobbato dagli storici, persino in questo periodo di grande rivalutazione di tutto ciò che appartiene ai decenni passati.

Dentro a Il Seme della Follia c’è tutto John Carpenter: tutta la sua cultura horror, che parte da Lovecraft e arriva nei pressi di Stephen King (senza dimenticarsi di strizzare l’occhio a Clive Barker), tutta la sua passione per la metafisica e la distruzione delle certezze della realtà (ci metteremo ancora parecchi anni a renderci conto di quanto fosse avanti un film come Il Signore del Male), tutta la sua macabra ironia, la sua costante critica al consumismo e alla religione e, per finire, tutto il suo sapere tecnico, che gli permette di costruire la tensione perfetta partendo dalle piccole trovate dell’inizio per sfociare poi nelle grandi soluzioni visive della seconda metà, facendo arrivare gli spettatori perfettamente sazi al termine dei soli novanta minuti del film (oggi sembra impossibile una durata così ristretta, persino con gli horror).

Il primo motivo per amare Il Seme della Follia è la presenza nel cast di Sam Neill, talmente in parte che sembra nato per vestire i panni del protagonista John Trent, un infallibile investigatore privato al soldo di grosse compagnie d’assicurazione che, da uomo freddo e razionale che è, si ritrova catapultato in una situazione surreale e fuori controllo, che farà crollare ogni sua certezza.

La trama

In The Mouth Of Madness (1995) - Official Trailer

Tutto comincia con la scomparsa del più grande autore popolare contemporaneo, Sutter Cane (Jurgen Prochnow), l’uomo che coi suoi romanzi del terrore è riuscito persino a spodestare Stephen King dalle classifiche di vendita mondiali. Tradotto in diciotto lingue e con un giro d’affari miliardario alle spalle, Cane vanta un impressionante numero di fan che, in attesa della pubblicazione del suo nuovo romanzo dal titolo In the Mouth of Madness (titolo originale del film), il cui manoscritto è scomparso assieme al proprio autore, cominciano a manifestare strani segni di nervosismo in coda davanti a negozi, come se fossero tutti membri di una sinistra setta religiosa più che semplici appassionati.

Trent si accorge subito che in questo caso c’è qualcosa che non torna, a proprie spese, dato che nello stesso momento in cui gli viene proposto di mettersi alla ricerca di Sutter Cane, viene aggredito da un maniaco armato d’ascia (Conrad Bergschneider, che in seguito si scoprirà essere lo stesso agente di Cane), che prima di essere ucciso dall’intervento di alcuni poliziotti fa in tempo a chiedergli, con un tempismo raggelante, “Non leggi Sutter Cane?”. Il film è iniziato da meno di quindici minuti e Carpenter ha già portato a casa una delle scene più memorabili di tutta la sua filmografia.

Dopo una simile esperienza, Trent non può più rifiutare il caso e infatti si reca puntualmente alla sede della casa editrice Arcane, dove fa la conoscenza dell’editore Jackson Harglow (Charlton Heston) e della redattrice Linda Styles (Julie Carmen), che lo mettono al corrente di due cose: i libri di Sutter Cane hanno una curiosa influenza sui lettori meno equilibrati e, soprattutto, lo stesso scrittore negli ultimi mesi si era auto-convinto che le sue storie fossero reali.

Trent è sicuro che dietro la sparizione di Cane ci sia una brillante trovata pubblicitaria per il lancio del nuovo romanzo ma, nonostante non sia un grande appassionato di letteratura, tantomeno di quel genere, decide comunque di iniziare a leggere i romanzi dello scrittore. La lettura e l’immersione progressiva negli orrori di Cane comincia a provocare strane visioni all’investigatore, che sogna ripetutamente di essere perseguitato da un poliziotto mostruoso (seconda scena indimenticabile del film ed ennesimo attacco di Carpenter alla polizia) ma che allo stesso tempo scopre anche un indizio fondamentale: nelle copertine dei romanzi di Cane si nasconde infatti una mappa del New Hampshire che sembra condurre alla cittadina fantasma di Hobb’s End, teatro del penultimo romanzo di Cane.

Ormai completamente convinto della tesi della trovata pubblicitaria, nonostante la secca smentita della Arcane, Trent parte alla volta di Hobb’s End accompagnato da Linda Styles e determinato a smascherare l’inganno. Quello che Trent non può prevedere è che, da quel momento in avanti, la sua vita sarà sconvolta per sempre.

Da questo punto in poi il film diventa un tuffo incontrollato nel delirio, a partire dal viaggio stesso verso Hobb’s End che, tra fantasmi in bicicletta ed auto sospese nel vuoto, sembra sempre più una delle indimenticabili località descritte da Lovecraft nei suoi racconti, un luogo al quale più ci si avvicina e più ci si rende conto che le normali leggi della fisica, che governano la realtà, non valgono più. Una volta giunti alla cittadina, la fine dell’umanità ha ufficialmente inizio: tra spaventosi bambini fantasma, una simpatica vecchietta armata di ascia (che usa per smembrare il povero marito, ammanettato ai suoi piedi) e una terrificante chiesa nera, un sempre più incredulo John Trent comincia progressivamente a rendersi conto che Sutter Cane, che si nascondeva effettivamente ad Hobb’s End, si è trasformato da semplice scrittore a sommo sacerdote di un nuovo culto mondiale. Le sue storie infatti, si stanno trasformando in una vera e propria nuova religione che, con l’ultimo romanzo in arrivo (che l’autore definisce “la nuova bibbia”), apriranno la strada per il ritorno sulla terra di creature orrende, in tutto e per tutto simili ai Grandi Antichi di lovecraftiana memoria. Più questo nuovo culto prenderà forza (con sempre più esseri umani che credono realmente a ciò che scrive Cane) e più prenderanno forza le creature descritte da Cane (che in realtà sembrano guidare da un’altra dimensione la sua mano).

Dopo aver perso Linda, che ormai è totalmente schiava del volere di Cane e dei suoi mostri, Trent prova inutilmente a fuggire da Hobb’s End in auto, ritrovandosi sempre al punto di partenza (grande omaggio, come lo è più in generale la trama del film, di Carpenter al cult Operazione Paura di Mario Bava, ma anche agli schemi di funzionamento dei videogiochi, di cui il regista è grande appassionato da sempre), fino alla terribile scoperta: lui stesso, come Linda, come tutto ciò che lo circonda, non è altro che un’invenzione di Sutter Cane, nello specifico il protagonista principale di In the Mouth of Madness, nel pieno dell’azione.

Incaricato dal proprio autore/padrone di riportare il manoscritto alla Arcane, Trent si ritrova catapultato nel mondo reale, incapace di capire se ciò cui ha assistito a Hobb’s End (così come la città stessa) sia stato reale o il semplice frutto della sua follia. Questo dubbio resterà anche a noi per tutto il resto della durata e la cosa importa relativamente. Trent prova a liberarsi del manoscritto ma lo sforzo è vano, perché l’opera gli viene rispedita. Ad alimentare il suo nervosismo ci pensa lo stesso Cane, che continua a fargli visita in sogno per sconvolgere la sua realtà (“il mio colore preferito è il blu” gli dice Cane e, al momento del – finto – risveglio la vista di Trent è come offuscata da un filtro blu, in un’altra sequenza da antologia). Giunto da Harglow con l’intenzione di dissuaderlo dal pubblicare il romanzo, Trent scopre con orrore che In the Mouth of Madness è già stato pubblicato da diversi mesi (lui stesso aveva consegnato il manoscritto all’editore, subito dopo la scomparsa di Cane), che un adattamento cinematografico del romanzo è già pronto ad approdare nelle sale di tutto il mondo e che a quanto pare Linda Styles non è mai esistita (“E’ stata eliminata dal libro”, pensa lui). Completamente uscito di senno, Trent brandisce un’ascia e chiude il cerchio col maniaco che l’aveva aggredito all’inizio di tutta la storia, uccidendo brutalmente un fan di Cane in fila ad una libreria. Condotto in un manicomio (è la scena che apre il film, che fino ad ora è stato un flashback), Trent racconta la sua incredibile storia a un dottore. L’ormai ex investigatore è sempre più convinto che questo nuovo culto causerà a breve la fine dell’umanità, riportando in vita i mostri (“Nel giro di dieci anni, anche meno, la storia dell’umanità sarà solo una favola per i loro bambini, un mito”) e quando lo psichiatra gli chiede com’è possibile che il culto si diffonda anche tra chi non legge i libri di Sutter Cane, la risposta è semplice e geniale: loro vedranno il film.

Non a caso, è proprio con un film che si conclude questa storia, perché mentre l’umanità smette definitivamente di esistere, John Trent riesce ad uscire dal manicomio e si aggira per le strade di New York (come il protagonista di Io Sono Leggenda di Matheson) ritrovandosi in un cinema che proietta niente meno Il Seme della Follia, diretto da John Carpenter in persona, con protagonista John Trent stesso.

Rivedendo la sua folle storia sul grande schermo, Trent scoppia in una risata isterica, che si trasforma in un urlo di terrore un istante prima dei titoli di coda.

L’interpretazione e le influenze del film

Final Scene from "In the Mouth of Madness"

Nonostante il film nasca da un’idea di Michael De Luca, il risultato finale è talmente pregno della poetica carpenteriana che risulta molto difficile non considerarlo uno dei massimi capolavori del regista, che qui riesce a condensare in un’ora e mezza un’intera carriera. Il Seme della Follia, che già dal titolo gioca con le Montagne della Follia, è probabilmente il miglior non-adattamento mai fatto del Ciclo di Cthulhu, perché senza rifarsi a nessun particolare racconto di Lovecraft riesce comunque a cogliere lo spirito più folle dell’autore e a trasportarlo in una storia completamente nuova (qualcosa di simile lo aveva fatto nel decennio precedente Lucio Fulci con Paura nella città dei morti viventi, dal quale Carpenter riprende l’idea degli occhi sanguinanti e del viaggio verso la città fantasma). Arrivati all’atto finale del film non ci importa più se quello che scorre sullo schermo è la nuova realtà o sono soltanto i sogni ad occhi aperte di un uomo impazzito: l’unica cosa che conta è che ormai quella è l’unica realtà per John Trent, unico sano in un mondo di pazzi (o viceversa, non importa più).

Tolte le influenze lovecraftiane, il film è puro Carpenter: il pessimismo di fondo che permea l’opera (e che mai come questa volta è marcato, nonostante sia smorzato da una sottile macabra ironia qua e là) proviene da La Cosa, mentre le riflessioni sulla realtà e sulla sua distruzione espandono direttamente quelle già fatte con l’altrettanto bello Il Signore del Male, con il quale questo film condivide anche l’apertissima critica alla chiesa e alla religione cristiana (che infatti si rivela del tutto inutile, in entrambi i film); non a caso i tre titoli formano la Trilogia dell’Apocalisse, così battezzata dal loro stesso autore.

Da Essi vivono, che già aveva detto quasi tutto ciò che c’era da dire sulla tematica, proviene invece la critica di Carpenter al consumismo, qua rivolta alla mercificazione dell’arte ad ogni costo: le case editrici vendono i libri alle major cinematografiche prima ancora che essi siano completi, imponendo scadenze che fanno letteralmente impazzire gli autori. Curiosamente, lo stesso Carpenter mostra una notevolissima dose di autoironia mettendo il proprio nome sul poster del film che Trent si reca a guardare nel finale, esponendosi come parte di quel meccanismo (l’industria cinematografica) che sfrutta fino al completo esaurimento ogni idea che funziona presso un determinato segmento di pubblico, anche quelle idee che forse sarebbe meglio non sfruttare.

Con oltre vent’anni di regie alle spalle, Carpenter ormai non ha solo la padronanza assoluta del mezzo (quella c’era già dai tempi di Halloween e si manifesta in tutto il suo splendore nella sequenza dell’ascia ad inizio film) ma anche l’esperienza necessaria per capire come creare nuovamente il terrore a partire da situazioni che di base sarebbero dei cliché: l’esempio migliore di ciò si ha nella scena dell’incubo iniziale, quello del poliziotto feroce, durante la quale il regista gioca col trucco del jump scare facendolo ripetere per ben tre volte in breve tempo, privandolo così della sua funzione originaria senza che esso smetta però di spaventare. Nonostante la storia completamente folle e qualche altra trovata visiva magnifica (come il mostro che spunta dalla schiena di Cane o le trasformazioni dei corpi di Linda e della signora Pickman), Il Seme della Follia è uno dei film di Carpenter che mostrano meno l’orrore, concentrandosi maggiormente sulla creazione della tensione che nasce dal non mostrare (contrariamente a quanto avveniva con La Cosa, dove l’orrore nasce da ciò che si vede). Questa scelta stilistica raggiunge il culmine nella scena in cui Cane mostra a Trent l’arrivo dei mostri dall’altra dimensione: lo spettatore vede pochissimo di queste misteriose creature (e quel poco è terrificante), ma la loro presenza è talmente forte che non occorre vederle di più.

Snobbato dal pubblico e non capito dalla critica al momento dell’uscita nel 1994 (fu un flop commerciale pesante, che cominciò a creare seri problemi al prosieguo della carriera di Carpenter), Il Seme della Follia attende ancora oggi una piena rivalutazione, rimanendo nel frattempo una pietra miliare per ogni appassionato di horror e, cosa più importante, un titolo fondamentale per chiunque ami i film veramente in grado di sconvolgere la mente dello spettatore.

One comment

  1. Ottimo. Da appassionato di Lovecraft non posso che concordare appieno con quanto detto. In questo film c’è davvero tutto Carpenter e tutto Lovecraft ed è veramente un peccato che sia poco conosciuto. Tra l’altro da notare come sia questa trilogia carpenteriana dell’apocalisse, sia la sua controparte fulciana della morte (con il giá citato “Paura nella città…”, “L’aldilà” e “Quella villa…”) siano stati da prima snobbati per poi venire riconosciuti a posteriori.

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