E se la musica trap fosse acqua santa?

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Le polemiche legate all’ipotetico veleno morale di cui la musica trap sarebbe portatrice, hanno preso largo e consenso in seguito all’incidente avvenuto il 7 dicembre 2018 presso la discoteca di Corinaldo, Ancona. Quella sera, in conseguenza di un idiota spruzzo di spray al peperoncino, morirono 6 persone nel panico che generò una fiumana incontrollabile, dimostrazione di quanto fosse ristretto e sbagliato lo spazio scelto per lo spettacolo, rispetto alla vastissima quantità di pubblico giunto ad acclamare Sfera Ebbasta. Tuttavia, per un meccanismo abbastanza contorto, fu ritenuto dall’opinione pubblica proprio Sfera Ebbasta, più che l’organizzazione, il solo responsabile dell’eccidio. 

Da quel nero giorno, andarono susseguendosi esponenzialmente infiniti post di privati cittadini o associazioni di genitori finanche associazioni cattoliche che, a gran voce, chiedevano la repressione, la prigionia espressiva dell’artista milanese. Non più solo colpevole di aver “ucciso” 6 persone a Corinaldo, ma anche di corrompere tutti i giovani con la sua musica demoniaca: la trap.

La relazione tra demonio e trap fu da quel momento un assunto che sempre rimase latente, fino a esplodere l’ultima domenica di giugno, con le aspre e aggressive parole di un parroco, Don Pietro Cesena, predicate dal pulpito della chiesa Parrocchiale dei Santi Angeli Custodi a Borgotrebbia:

“Io giuro che se ne incontro uno lo picchio, poi mi picchia lui, ma io mi ci butto dentro perché non è possibile che i nostri ragazzi ascoltino da questi stronzi che ciò che vale è solo la carriera, i soldi, il sesso, la droga”

Proprio grazie a questo esempio di turbamento che ogni vera avanguardia produce su chi non ha il coraggio di guardarla, è il caso di osservare  se davvero il mondo estetico che irraggia la musica trap, pur nella molteplicità dei suoi stili e delle sue variabili, sia la causa responsabile di spingere i giovani alla perdizione. Oppure se, meglio, non sia essa stessa la conseguenza di un mondo già in partenza perduto. Ed anzi, possa agire, in tal senso, in funzione paradossalmente anti-idolatra, e salvifica. Ciò che teoricamente sarebbe il compito proprio della Chiesa.

Una doverosa premessa. Anche una canzone trap, in quanto forma artistica, non è  formalmente veicolo di comunicazione diretta. Non “parla”: si compie attraverso un’orchestrazione sinergica fatta di diverse forze. In linea generale: suono, testo, immagine. La sincronicità di questi “attori” in campo è ciò che, se ispirato, ha la forza di farsi congegno e toccare nel profondo, con il suo proprio logos, assolutamente più vicino all’evocazione.

Per la coscienza di un ascoltatore, anche giovanissimo, per chi ascolta, al profondo giunge la scena, l’atmosfera, ovvero come le cose vengono dette, piuttosto che le singole parole, ipoteticamente, teologicamente, estrapolate extra contesto. Pertanto, in un pezzo trap, tutto lo spaventoso “inneggiare” a droga soldi e sesso brutale, non è vettore di un’energia solo positiva, attiva, insindacabilmente unidirezionale; come quella che, ad esempio, appartiene al dictat linguistico di una convention aziendale o di una  pubblicità. 

Nella fosforescenza delle opere trap palpitano e si mostrano zone di ombra altamente significative, ampie zone di vuoto. Formalmente fatte. C’è molto buio entrando in una drammaturgia elettronica trap;  buia è l’intenzione stessa con cui i “concetti demoniaci” giungono all’ascolto. Ed è solo grazie agli strumenti formali propri del genere trap che questa oscurità -da dove viene?- riemerge a farsi vita con la parte chiara. Il primo di questi strumenti è certamente l’innovativo uso della voce.

La voce che “dice” i testi, peraltro in molti casi testi altamente creativi e poetici, e che hanno quindi nella sperimentazione il proprio focus, ha un forte potere di estraneità rispetto al mondo violento che oggettivamente viene enunciato. Questo fondamentale potere estraniante è determinato dall’uso portato all’estremo dell’autotune. L’attore voce, quindi, oltre a darsi da una posizione di non centralità nel mix, bensì periferica nel suo provenire, proprio in virtù di essere dentro questo effetto brechtiano/elettronico, delinea e semina una sembianza non più totalmente umana. Si tratta di una maschera umana chiusa a chiave dentro una dimensione robotica. C’è una lotta, ed è una lotta in cui l’aspetto umano, proprio nel suo essere schiacciato e costretto, è non compiuto, non umano: infelice. Come Pinocchio quando è di legno. Dove si trova esattamente la carne? Essa è perduta, anche nella trap. 

L’umano ed il non umano sono quindi formalmente in lotta nella trap, ed è una lotta eterna che, nel segno manifestato della trap, inserisce eternamente ruggine e inquietudine sulla presunta vittoria capitalistica di avercela fatta. Da ciò un ulteriore interessante conflitto. Proprio grazie a questo modo psichico di dispiegare le parole che giunge alla coscienza come vera e propria lacerazione, immagine e canto, remano in direzioni contrarie. Sembra quasi che l’umano non riesca totalmente ad essere dentro l’immagine.  La musica trap schiacciando l’elemento biologico umano, la voce, fa uscire metaforicamente il sangue dall’immagine piatta di una campagna pubblicitaria proprio dei vestiti che indossa nelle stories, di quello stile di vita. Fa zoppicare l’idolo che crea, interiormente. 

Dunque, da un punto di vista morale, la seducente vita del trapper si copre sì di materia e demoni, ma allo stesso tempo, nei tre minuti radiofonici dell’opera, si dà come ferita. Come chiaro ma anche oscuro. Sfera Ebbasta e colleghi, più che invitare come un Lucignolo, indicano proprio la nausea del Paese dei balocchi, la noia, l’inganno disumano che questa vita da trapper produce sulla residua parte umana, ormai divenuta una macchina infelice. La scena proposta da Sfera Ebbasta è più riconducibile all’energia di uno schiavo che si agita dentro il faraone. 

Come a dire: “droga, sesso, materia mi hanno chiuso qui dentro e sono solo come un dio, ma sono davvero dio?” Su questa vibrazione segreta si muove l’opera, ricalcando in modo moderno il mito di carne umana, morte, contro carne divina, immagine. Dunque, sempre da un punto di vista morale, appare evidente che sia assai più pericolosa la scena di una qualunque comunicazione unilaterale o che tenda positivamente, falsamente, e soprattutto a senso unico alla vendita: “la felicità è indossare questo abito fighissimo, usare questa droga, compra tutto sfigato!”, piuttosto che l’agonia avanguardistica di un’entità che il supposto abito, l’ha già acquistato e tuttavia non è umano in quel dolce e sfacciato canto chiuso a chiave dentro un effetto artificiale. Anche azzerando quasi del tutto il canto, come in Young Signorino o la Dogo Gang: la trap dialoga e mostra, nelle più diverse sfumature, l’estrema solitudine di oggi, la causa psicologica del capitalismo. E ne mostra in atto l’effimera felicità che dura solo il tempo della strisciata di una carta di credito, prima di ritornare nel buio. Alla fame. Perché i trapper hanno fame e sono sazi.

Questa particolare condizione è più che mai la manifestazione del presente: l’amara prospettiva di un tempo in cui non sembra più possibile sottrarsi alla corsa all’oro priva di pietà, alla corsa al consumismo e all’auto-idolatria, che rappresenta  il regime del sistema economico Italia, e di cui la trap è lo sputo di catrame colorato che esce fuori dalla terra arida. 

A disarmare gli umani e renderli soli ed infelici è quindi: i fantasmi fosforescenti della trap che vagano su una Mazda, o un sistema che schiaccia gli umani generando fantasmi fosforescenti che devono vagare sulla Mazda? 

Qual è il vero motore di corruzione morale? 

In questa ottica che vede la trap come reazione di un sistema cool e disumano, come quello aziendale italiano, la trap, più che mostrare il lato demoniaco dell’uomo Capitalista, mostra il lato demoniaco del Capitalismo sull’uomo. 

Tutti gli oggetti brandizzati, la venerazione del denaro come paradiso nonché le azioni orgiastiche che vengono nominate poeticamente, sono paradossalmente la dimostrazione più viscerale della funesta tormenta corruttiva, che il sistema dolcemente impone. Sfera Ebbasta, in questi termini, può essere paragonato a Cristo quando va nel tempio occupato dai mercanti. Il tempio dell’umano, l’anima, è abitata oggi dalla plastica, in questi termini oggi canta Sfera Ebbasta. Egli è costretto a vomitare davanti ai mercanti la nausea di avercela fatta con i soldi. E tuttavia egli è dentro il deserto che gli stessi mercanti hanno creato con la positività unidirezionale del vendere. Mostra appunto ai mercanti, il sangue delle loro campagne autunno inverno.

Pertanto la musica trap, proprio nella sua frattura dal compimento umano, la più alta via di conoscenza, mostra il presente. E proprio mostrandosi nella morsa narcotizzante e pecuniaria che divora sushi, vuole salvare. Senza nominare la parola “salvezza”, o mostrandosi iconograficamente come un Salvatore, poeticamente rappresentando il deserto morale in cui ogni vita è costretta oggi a causa di un’infame autotune eterno che schiaccia l’anima, persino l’anima degli idoli. Young Signorino ha la nausea, è la nausea il suo racconto tartagliato come un Palazzeschi in overdose.

In questo senso di “progressiva desertificazione” (che metaforicamente apre anche una breccia sull’anti-ecologia del Capitalismo), è da intendere il passaggio stilistico tra rap e trap, costituito, tra i tanti elementi, anche dal mutamento dell’uso della ritmica. Il ritmo, l’interna pulsazione cardiaca che genera l’incedere della canzone rap, nella trap si fa molto più sinistro. Rispetto a una qualunque opera rap degli anni Novanta, la quadratura ritmica -intesa come presenza sonora, manifestazione che apre e chiude le melodie elettroniche, il cuore della canzone, le sue melodie semplici, archetipiche dell’eterna forma canzone che è la trap- il nuovo concetto di base crea sulla scena in atto spazi mai stati così ampi. Anche su basi fatte di sedicesimi tanto fuori sui piattini come usano. Disegna molto vuoto, molto deserto. Nelle interviste Charlie Charles non parla dice il vuoto. Tutto tende alla voce chiusa dentro lo studio, dentro la gabbia dell’autotune, anche leggerissimo ma sempre, tutto sembra giungere da un film desertico. Si vede il grande archetipo ereditato dall’America del ghetto, che diventa il macro tema della periferia.

Cologno, la periferia da cui si scappa, dagli anni Novanta, mostra l’eternità della perifeiria. Già nel primo Fabri Fibra quando viene a Milano. Anche nel raggiungimento del centro dorato, anche Los Angeles, permane sempre la periferia, poiché potente metafora di periferia dall’umano. Il rap in Italia si consacra nel segno di una lotta interiore sul concetto di periferia. Tra legge e corruzione. 

E tale origine si tramanda, filtra negli anni Novanta con l’hip hop italiano, ed è in parte ancora ciò ancora oggi: energia devastata di uno schiavo, di un esilio babilonese o africano, che continua a tentare di sfuggire al faraone  infame, facendosi però faraone. Mettendosi i suoi drappi. O, ancora meglio, in senso mistico/ebraico,  la tensione tra faraone e schiavo che tormenta nello stesso istante, ogni cuore perduto nel deserto del centro illuminato di Milano. Gucci contro solitudine. Una lotta psichica che, oltre a mostrare l’assenza intorno e dentro sé di appigli spirituali, che non siano il suicidio, ovvero continuare nel vortice della perdizione rappresentata, rivela il lato infernale del paradiso in vendita. 

Sotto le aguzze zuccherose e crudeli parole del trapper, c’è un’anima umana che sembra domandare: “dove posso andare, dove posso nascondermi ora che pur avendo stuprato e comprato, non sono felice? Dove c’è un riparo per noi in un mondo totalmente invaso da Capitalismo e Teologia, che non vuole mostrare il deserto che ha provocato, l’inferno che ha provocato?” 

Questi gli interrogativi non pronunciati, energetici, espressi tra i grandi vuoti lasciati in ogni singola cellula che costituisce un’opera trap, questo il campo spirituale che giunge oltre le parole: un vero e proprio attentato terroristico al Capitalismo, ovvero a ciò che è considerato il bene, e che da sempre è un bene molto ambiguo. Infatti è esattamente contro quel bene rassicurante militarizzante idolatrante istituzionale che si scagliò Cristo (mos maiorum), come ogni forma di arte vera, nel tentativo di “dire” di “ricordare” anche la necessaria parte oscura di ogni presente. In modo nuovo, in modo vero. Ed osceno come la morte a turbare a salvare. 

Mostrare il presente dentro il sentimento umano ferito, questo è il valore della trap,  lo stesso valore dirompente di ogni avanguardia. Come i fauves, come Kafka, come chiunque abbia avuto il coraggio di riportare alla luce linguisticamente l’umano, urgentemente, poiché minacciato e represso in fondo, da una forza piatta, non più tollerabile. Chiarissima. 

Anche se da un punto di vista di ortodossia non è esattamente trap, ad oggi forse il massimo esempio di tale manifestazione di conoscenza del contemporaneo, è portato dalle altissime parole del potentissimo singolo Soldi di Mahmood.

Mahmood - Soldi (Prod. Dardust & Charlie Charles)

Beve champagne sotto Ramadan 
Alla TV danno Jackie Chan

Come non considerare sacra scrittura il canto di una famiglia distrutta da elementi capitalistici in cui nulla, nemmeno le proprie radici, Ramadan, possono più creare unione, amore; un umano dunque ubriacato dallo champagne e dall’ambigua ingerenza cinese, cos’è, è forse l’ oggi? Arabi, cinesi, TV, alcol, periferie, famiglie spaccate. Non è questa l’Italia?

Reprimere, o peggio condannare a morte -da qualunque pulpito, laico o religioso- questa nuova immensa ispirazione nonché innovativa scrittura, è negare la possibilità rivoluzionaria di combattere la verticalità indiscutibile di qualunque forma di regime. Anche il nostro italiano. Il nutrimento spirituale e la rivoluzione anticapitalistica che la musica trap suggerisce, sta proprio nella sua forza di non rassicurare, di creare deserto eterno in linguaggi nuovi, di creare insomma l’inferno la solitudine: esso, per quanto orrendo, è il campo in cui può avvenire la catarsi, la presa di coscienza. La prospettiva per una giovane mente di essere quell’amore umano reciso, di essere la prospettiva dolorosa della via verso Beatrice e amare. 

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