Andy Warhol e l’icona: le opere e la spiegazione della sua arte

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“Supermercati coi reparti sacri
Che vendono gli incensi di Dior”

Questa è una frase di Magic Shop, una canzone di Battiato, straordinaria sintesi di un archetipo consumistico della società moderna.

Analizziamo questo fenomeno senza alcuna posizione o pretesa etica ma solo artistica, secondo quella che era l’idea di Andy Warhol.

Andiamo dapprima indietro nel tempo, quello dell’Impero Romano.

Gli imperatori posizionavano le copie delle loro statue in tutte le città e colonie. Le immagini ripetute divenivano così universali, icone, immagini divinizzate, ma soprattutto cariche di significato. Lo sono diventati successivamente il crocefisso, le bandiere nazionali, gli stemmi, gli araldi.

L’uomo in Natura ha un rapporto ancestrale con la simbologia pubblica che rappresenta significati, di senso di appartenenza, gioia, avventura, fascino.

Dalla seconda metà del 900, un nuovo fenomeno, che nei secoli precedenti non esisteva, ha modificato la nostra antropologia. La Pop Art di Andy Warhol lo mette in luce, lo incarna.

Se volessimo in futuro, fra millenni, conoscere la nostra epoca, l’opera di Andy Warhol sarebbe la più adatta, come lo furono il futurismo o il cubismo per gli inizi Novecento.

Andy Warhol, Coca Cola

In passato per secoli gli oggetti di comune impiego erano artigianali, ogni pezzo era praticamente unico, esteticamente diverso l’uno dall’altro. Con la produzione di massa e la sua serialità, i mass media, la pubblicità, gli oggetti comuni sono divenuti uguali per tutti e ripresi in immagini collettive, associando così la quotidianità ad una proiezione verso un mondo condiviso e legato all’immaginario collettivo.

Sono immagini di piacere, di erotismo, fascino, temerarietà, bellezza, avventura, pace, possesso, fino a diventare icone.

Se prima della Pop Art gli artisti dipingevano Nature Morte, alla ricerca di una forma di introspezione condivisa, l’artista moderno si è ritrovato in un ruolo più semplice, la serialità degli oggetti quotidiani, le loro immagini veicolate, concedono una immediata universalità ed un riconoscimento di significato condiviso.

Gli oggetti di consumo, in una sorta di democrazia “all’americana”, nata negli anni ’60 e ’70, superano le barriere ideologiche, coinvolti nella comunicazione con i messaggi di pace e di libertà del periodo e veicolati dai mass media in forma iconica.

“Una Coca Cola è sempre una Coca Cola e non c’è quantità di denaro che possa farti comprare una Coca Cola più buona di quella che l’ultimo dei poveracci si sta bevendo sul marciapiede sotto casa tua. Tutte le Coca Cola sono sempre uguali e tutte le Coca Cola sono buone. Lo sa Liz Taylor, lo sa il Presidente degli Stati Uniti, lo sa il barbone e lo sai anche tu.”

Resteranno così nella storia la sagoma degli occhiali di John Lennon oppure il volto rassicurante di Martin Luther King, oppure quello trasgressivo di Mick Jagger.

Andy Warhol – Campbell Soup

Così che la scatola di zuppe della Campbell’s Soup che Andy Warhol mangiava da ragazzo, le immagini di Marilyn o altri, sono icone universali ma soprattutto assumono un significato di presenza, di condivisione, di emozione, al contempo universale e personale.

Il viso di Marilyn è per questo stilizzato, colorato in mille modi diversi per far perdere ciò che Marilyn era come persona, ma esaltando la sua forma iconica di piacere, fascino, glamour, ottimismo, tenerezza e bellezza.

La ripetitività dell’immagini delle Marilyn incarna quindi l’aspetto iconico stesso e consumistico. Ed è giusto quindi che sia così.

Perché per comprendere il senso iconico pubblicitario è giusto che l’immagine di Marilyn sia ripetuta ed ogni volta in modo diverso. Il messaggio artistico di Andy Warhol è proprio nella sua ripetitività.

Andy Warhol – Marilyn Monroe

D’altra parte la tecnica utilizzata da Andy Warhol, la serigrafia, era fatta in modo che ogni copia fosse comunque leggermente diversa dall’altra

Della mostra presente a Napoli fino a Febbraio 2020 colpisce ad esempio il disegno del mafioso John Gotti.

In questo disegno il mafioso si veste “da mafioso”, con la giacca lucente a doppio petto ed il collo della camicia ridotto, per aderire e inventare, diventare lui stesso icona del mafioso.

Andy Warhol – John Gotti

Essere così partecipe alla cultura dell’immagine immaginaria moderna.

Nella società moderna tutti siamo avvolti e coinvolti nella realizzazione iconica del nostro mondo, in una sorta di comunicazione uno a molti e molti a uno.

Tutto allora è sovraimmagine.

Ma queste icone non sono per questo prive di significato personale oltreché collettivo, anzi ci connettono con gli altri.

Perché se il brand è simbolo, il simbolo è richiamo e significato, questo permette di entrare in una forma di inconscio collettivo.

Nel nostro nuovo urbanesimo, anche esso oramai stilizzato con parametri unici in ogni angolo del mondo, siamo immersi in un labirinto di simboli, brand, immagini di personaggi iconici, che si ripetono nella nostra quotidianità e ci rappresentano in mondo universale.

La nostra urbanità diventa psichedelica.

Nell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band i Beatles misero in forma di Pop Art i personaggi più influenti nella comunicazione di massa dell’epoca, aggiungendo, in modo autoironico, loro stessi. Guarda caso fu l’album più psichedelico dei Beatles.

Nella storia le immagini iconiche hanno mosso popoli ed il loro immaginario. Per il loro significato (spesso occulto ai più) si è vissuto, combattuto, creduto, addirittura ucciso. John Lennon, d’altra parte, fu ucciso per la sua icona più che per la sua persona.

Le immagini allora possono essere vuote o cariche di significato, dipende dall’epoca e da ciò che tutti noi vi riconosciamo, perché’ è il sentire comune del momento che dà loro un significato ne mondo.

“Sono una persona profondamente superficiale.”

Andy Warhol

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