La discografia dei Pink Floyd e la poetica di William Blake

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Era il 1967 quando il razzo targato Pink Floyd attraversò la costellazione del rock, mutandone per sempre le sorti. Cinque giovani ragazzi di Cambridge affascinati dalla musica Blues e dai viaggi lisergici uniti nell’intenzione di sondare i luoghi inesplorati della musica: è così che nacque il loro primo album, Piper at the Gate of Down, undici tracce che costituiscono un mosaico di suoni strabilianti ed atmosfere incantate. Passeggiate nello spazio e nei boschi incantati, tra gatti insani e gnomi spensierati, per poi giungere alla fine della corsa con una bici ed una dichiarazione di amore (quella di Barrett) verso una ragazza graziosa, alla quale vuole mostrare il suo mondo colorato e spensierato. Suoni e versi di animali concludono la seconda facciata dell’album, riportandoci alla, anche essa stravagante, realtà quotidiana.

È un mondo nuovo ed affascinante quello dei Pink Floyd e del loro album, che venne accolto positivamente dalla critica, per poi essere ribattezzato come una delle pietre miliari del rock psichedelico. Una peculiarità dell’album, che si concatena alla sperimentazione sonora, è lo stile dei testi: semplice e diretto, in esso permane uno sguardo innocente verso il mondo, legato all’infanzia ed all’esplorazione delle realtà astratte slegate dal mondo concreto. Si tratta di una caratteristica che permarrà negli album successivi, sia nel più canonico A Saurceful of Secrets che nel più sperimentale UmmaGumma, fino a giungere ad Obscured by Clouds. È con The dark Side of the Moon che si assiste ad un mutamento radicale e deciso nello stile: ai brani di carattere idiliaco e sperimentale si contrappone la forma del concept album, che aggiunge maggiore continuità tra le tracce, dando l’idea di un corpus unico, sia dal punto di vista sonoro che scritto.

Tema Centrale dell’album è la follia insita nell’essere umano, che nella società moderna si manifesta attraverso il consumo (Money), la guerra (con Us and Them) e la frenesia (Time), fino a giungere al totale annichilimento con Eclipse. Seguono Wish You Were Here, una sinfonia sul tema dell’amicizia e della perdita di una persona cara (ovvero l’allontanamento di Barrett dal gruppo) ed Animals, album influenzato dalla Fattoria degli Animali di George Orwell, che ripercorre la condizione politica dell’Inghilterrra degli anni ’80 (nella traccia Pigs la Thatcher viene appellata come “fucked up old hag”).

È nel 1979 che i Pink Floyd raggiungono l’apice del successo con il loro capolavoro The Wall. Ben due album, una struttura musicale e metaforica complessa, in cui i mattoni diventano il peso di una società opprimente (la stessa criticata in Animals), ma c’è anche un ritorno alle origini. Il protagonista delle vicende si chiama Pink Floyd, e le sue vicende ci ricordano tanto quelle di Syd Barrett (al quale era morto anche il padre, come al protagonista dell’album), che nonostante l’abbandono era rimasto un punto di riferimento per il gruppo.

Nel 1979 erano trascorsi ben 12 anni dal primo album e la band si era allontanata molto dalle composizioni psichedeliche fiabesche ed innocenti, per spaziarsi verso una critica musicale e sociale più solida. È una discografia, quella dei Floyd, che può essere divisa, seppur in maniera molto stilizzata, in ben due fasi, ed il cui perno resta The Dark Side of The Moon. Sono due fasi ben distinte, come sottolineato prima, che vanno dall’innocenza all’esperienza. Divisione che fa balenare subito in mente due opere molto celebri nel panorama letterario inglese, ovvero Song of innocence e Song of experience del poeta settecentesco William Blake (lo stesso che aveva ispirato il leader dei Doors, Jim Morrison).

Il parallelismo tra le opere del poeta e gli album dei Pink risulta abbastanza interessante ed inusuale, data le differenze temporali. Eppure, entrambi nella fase “dell’innocenza” hanno cantato la bellezza dell’infanzia, della spensieratezza che essa ci ha donato, e della possibilità di fantasticare verso infinite direzioni. Anche nella fase “dell’esperienza” ci sono molti punti di contatto: nella poesia London Blake denuncia le misere condizioni della città di Londra, oppressa dal male e dal potere; allo stesso modo i Pink Floyd denunciano le condizioni dell’Inghilterra degli anni ’80 in Animals (ed in maniera simile in The Wall).

I wander thro’ each charter’d street,
Near where the charter’d Thames does flow,
And mark in every face I meet,
Marks of weakness, marks of woe.

In every cry of every Man,
In every Infant’s cry of fear,
In every voice: in every ban,
The mind-forg’d manacles I hear.

How the Chimney-sweeper’s cry
Every black’ning Church appalls,
And the hapless Soldier’s sigh
Runs in blood down Palace walls.

But most, thro’ midnight streets I hear
How the youthful Harlot’s curse
Blasts the new born Infant’s tear,
And blights with plagues the Marriage hearse.

Io vago attraverso le strade monopolizzate,
Vicino a dove scorre il Tamigi monopolizzato,
E noto in ogni faccia che incontro
I Segni della debolezza, i segni del dolore.

In ogni pianto di ogni uomo,
In ogni pianto infantile di paura,
In ogni voce: in ogni divieto,
Sento le manette forgiate dalla mente.

Come il pianto dello spazzacamino
Atterrito dalla Chiesa annerita,
E il sospiro del soldato sfortunato
Scorre in sangue lungo i muri del palazzo.

Ma attraverso la maggior parte delle strade a mezzanotte sento
Come la maledizione della giovane prostituta
Distrugge la lacrima dell’infante neonato,
E rovina con piaghe il carro funebre del matrimonio.

William Blake – London

È possibile trovare ulteriori parallelismi tra i due artisti. E chissà, magari fantasticare sull’effettiva influenza delle opere di Blake sui componenti della band. Del resto, tutto questo è un altro mattone nel muro della musica.

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