I tre padri ciechi del Blues

“Multi dicunt Homerum caecum fuisse”, “Molti dicono che Omero fosse cieco”. Dagli arpisti alla corte dei faraoni a Omero, la cultura classica prima e quella popolare poi, hanno sempre attribuito alla cecità lo sviluppo parallelo di virtù compensatorie, spesso la capacità di contatto col divino. Un saper leggere, un saper ascoltare laddove chi non fosse privo della vista non poteva arrivare.

Da Omero al 1865 le cose non sembravano essere cambiate e il marchio della cecità divenne autentico sigillo di qualità dopo la fine della Guerra civile americana, una garanzia di eccellenza sonora. Tanto che nelle capitali musicali veniva spessissimo falsificato. A Dallas soprattutto giravano molti finti ciechi in cerca di un obolo aggiuntivo per le loro esibizioni.

A confermare questa teoria e consapevole di omettere nomi e fatti importanti, dalla prima incisione di Arizona Dranes a figure quali il Reverendo Gary Davis o l’armonicista Sonny Terry, vogliamo qui tratteggiare tre artisti il cui marchio “Blind” fu una condanna di emarginazione ed esilio attraverso la quale arrivarono a divenire capitoli dell’enciclopedia musicale e culturale occidentale .

Blind Willie Johnson - Dark Was The Night Cold Was The Ground

Durante una lite domestica la sua matrigna gli gettò in faccia involontariamente della lisciva che lo rese cieco e da allora Blind Willie Johnson (1897-1845) sviluppò forse l’espressione più veritiera e intensa del blues, usando il suo coltellino portatile al posto del classico bottleneck: Dark is the Night, Cold is the Ground venne spedita nello spazio nel 1977 dal Voyager 1 e lui, credetemi, non avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere.

La sua voce baritonale e rauca era di una espressività viscerale, la profondità dei testi e l’abbinamento con un playing intenso ed essenziale, incredibilmente “moderno”, influenzò pesantemente la musica occidentale (Its Nobody’s Fault but mine).

Già per un nero americano, ex schiavo, non era facile sbarcare il lunario lavorando “sun to sun”. Ma avere un handicap era diventare emarginato tra gli emarginati; senza assistenza sanitaria l’unica risorsa possibile era elemosinare e potendo, diventare musicista di strada nei centri più frequentati. E la sconfinata, terribile e terribilmente musicale terra del Sud degli States, accomuna la storia di tre grandi “bluesmen”, non così casualmente “blind”.

Infatti se Blind Willie Johnson divenne subito cantante da marciapiede girovagando per lo stato della stella solitaria, Blind Lemon Jefferson cieco dalla nascita, si spinse nel suo vagabondare fino a Dallas già in giovanissima età.

La loro “fortuna” coincise coi famigerati “Race Record”. Termine coniato dalla Okeh Records, ma diffuso soprattutto da Paramount. Le case discografiche capirono che il pubblico di colore aveva esigenze specifiche, una grande voglia di musica e un grande repertorio già “tradizionale” da chiudere tutto in 78 giri che comprendevano gospel, blues, jazz nelle forme originali. Nacquero innumerevoli etichette (Victor, Emerson, Vocalion) creando un patrimonio culturale vastissimo, fondamentale.

Dal 1925 Blind Lemon Jefferson si trasferì fino a Chicago per incidere per Paramount canzoni di grande diffusione, tra cui Match Box Blues e Black Snake Moan, fino a quella See that my Grave is Kept Clean ripresa da Dylan e The Band nei famigerati “Basemen Tapes” del 1967, nella edizione Bootleg Series del 2014, col titolo di One Kind Favor.

Divenne un’autentica star negli anni 20 influenzando artisti come Robert Johnson, Leadbelly con cui suonò nei bar di Dallas, T-Bone Walker, Sam “Lightnin'” Hopkins e BB King. Considerato il “Padre del Texas Blues” raggiunse il sogno di ogni nuovo americano, un grande benessere economico che una normale vita di lavoro non gli avrebbe mai concesso. Si muoveva con auto personale e autista.

Pirotecnico rispetto a Blind Willie Johnson, sviluppò uno stile di arpeggio quasi contrappuntistico alla sua agile vocalità che andava a riprendere i canti di schiavitù ponendoli in piano quasi polifonico, introducendo numerosi elementi “onomatopeici”. Per i tempi e per i mezzi a disposizione era operazione stupefacente. Purtroppo la pessima qualità delle incisioni Paramount non permette di poterne godere appieno, nonostante vi siano seconde incisioni migliori e importanti operazioni di recupero.

Se Willie Johnson praticava un blues più etimologico, legato agli spiritual e Lemon Jefferson si dedicava all’evoluzione in chiave “southern” o addirittura “rock’n’roll” (Matchbox Blues) fu Blind Willie Mc Tell (1901-1959) a completare il quadro della musica Americana, riprendendo gli elementi del Country tramite la pratica del caratteristico fingerpicking sulla 12 corde.

Georgiano di nascita, dopo la morte della madre e l’abbandono della famiglia da parte del padre anche lui fu costretto dalla cecità a un crudele girovagare che lo portò finalmente nel 1927 ad Atlanta ad incidere per Victor, ancora un “Race Record”. Mischiando il Delta Blues di origine col Country e uno stile raffinato dalla vicinanza della East Coast e dal Rag Time delle sale da ballo, Mc Tell registrò per diverse etichette (Decca, Columbia, Okeh) fino a metà degli anni 50, a tre anni dalla sua morte, lasciando un’imponente traccia, approdando alla neonata Atlantic Records nel 1949.

Il documento più significativo sono le incisioni della Library Congress di Washington del 1940, le John Lomax Sessions, tra cui Will Fox e l’epica I Got Cross the River Jordan.

Blind Willie McTell-I Got To Cross The River Jordan

La sua vocalità languida e profetica ha ispirato generazioni.

Ce lo ricorda ancora Bob Dylan, testimoni le The Bootleg Series, vol 1-3… (Columbia, 1991), con una canzone misteriosa dal titolo Blind Willie Mc Tell:

Well, God is in heaven
And we all want what’s his
But power and greed and corruptible seed
Seem to be all that there is
I’m gazing out the window
Of the St. James Hotel
And I know no one can sing the blues
Like Blind Willie McTell

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