Il cinema Off Hollywood: cosa è cambiato dagli anni ’60

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Anni ’60. Il mondo del cinema sta vivendo una trasformazione, a Hollywood e non solo. Il successo in ambito francese di film destinati a un pubblico giovane e metropolitano, spesso accompagnati da colonne sonore pop, fu uno spunto per il resto dell’Europa e, con l’allentarsi della censura, anche per la produzione statunitense. Gli esperimenti della Nouvelle Vague, con le atmosfere rarefatte e la musica pop diedero luogo a un modo del tutto inedito di intendere il rapporto tra schermo e sonoro.

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Fino All’Ultimo Respiro, 1960, Jean-Luc Godard

I giovani registi statunitensi si cimentarono nella realizzazione di corti e lungometraggi che, accomunati da alcune caratteristiche, contribuirono alla nascita dello stile indipendente arrivato, con i cambiamenti che vedremo, sino a oggi. I primi film “controcorrente” si avvalevano di espedienti che consentivano loro di costituire un netto distacco dall’estetica del cinema hollywoodiano classico. Nel 1960 nacque il New American Cinema Group, il cui manifesto dichiarava un’opposizione all’industria delle major e la volontà di creare un percorso di distribuzione alternativo.

Le immagini di scarsa qualità, con la grana visibile, l’uso di attori non professionisti e una recitazione programmaticamente anticonvenzionale sono alcune delle “regole”.

La caratteristica che rendeva questo cinema così diverso da quello tradizionale era, oltre alla totale libertà di espressione nei mezzi e nelle tematiche portate sullo schermo, il confine sempre più labile tra la settima arte e le altre arti performative e figurative. Esempi di una ricerca quasi spasmodica della contaminazione si vedono nei controversi lavori di videoarte diretti da Andy Warhol come Eat (1963), o l’estremo Blowjob. Tra i pionieri dello stile off, John Cassavetes fu il primo a realizzare un vero e proprio film jazz. Nel suo Ombre (1959) ai titoli di coda segue la scritta: “il film che avete appena visto è un’improvvisazione”. Questo stile “simil-documentario” deve molto all’interazione spontanea tra gli attori e all’idea musicale che sta alla base delle jam session tanto in voga in quegli anni: lo “scambio” tra musicisti, che in questo caso è scambio tra attori, o, come in Ombre, un botta e risposta continuo tra attori e musicisti.

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Ombre, 1959, John Cassavetes

Una riflessione sul “cambiamento di look” del cinema indipendente americano tra ieri e oggi è quantomeno necessaria. La fotografia volutamente dimessa, ancora utilizzata da Jim Jarmusch in Stranger Than Paradise (1987) o Coffee and Cigarettes (2003) lascia spazio a una prevalenza di tinte tenui e pastello non senza manierismi, quasi in contrapposizione con gli intenti che erano quelli dei cineasti degli anni Sessanta. I registi ad oggi considerati del settore, come Sofia Coppola, Wes Anderson, Spike Yonze realizzano film visivamente molto ricchi – basti pensare a Gran Budapest Hotel, Gran premio della giuria a Berlino 2014 – con trame che spaziano dalla fiaba romantica o visionaria all’adattamento letterario di romanzi.

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Grand Budapest Hotel, Wes Anderson, 2014

I registi raramente scelgono di portare sullo schermo tematiche sociali scottanti, o se lo fanno, questo avviene con misura. Il cinema indipendente è necessariamente diventato più un fattore stilistico che una scelta politica, e, per quanto questa sia comunque intravedibile, la patina di estetismo sembra ereditare elementi più dalla Nouvelle Vague francese che dalle opere dei connazionali.

Un esempio su tutti è il recente Solo gli amanti sopravvivono (2013) di Jarmusch, che, forse più fedele dei colleghi alla tradizione americana per le tematiche esplorate (Ghost Dog, Stranger Than Paradise), si affaccia invece, con questa sua ultima opera, sul mondo decadente di una borghese coppia di vampiri.

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Solo Gli Amanti Sopravvivono, 2013, Jim Jarmush

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