“Quando faccio un film m’interesso più alla gente che lavora con me che al film in sé, al cinema. Per me la realizzazione di un film è qualcosa che coinvolge tutti coloro che vi partecipano. Non penso mai a me stesso come regista (infatti credo di essere uno dei peggiori registi esistenti): io non conto, non faccio nulla. Sono responsabile del film nella stessa misura in cui ne sono responsabili tutti gli altri che vi partecipano e vi vogliono esprimere se stessi e sentono questa loro partecipazione al film come essenziale, innanzitutto per loro. Per me i film hanno poca importanza. È la gente che è importante.”
John Cassavetes è stato senza ombra di dubbio, nonostante le sua idea di cinema, uno dei più importanti registi del secolo scorso. Grazie a lui e altri registi (oggi un po’ dimenticati) come Shirley Clarke, Lionel Rogosin ed altri, dobbiamo l’esistenza del cosiddetto cinema indipendente.
Il cinema indipendente è chiamato così perché appunto non ha legami di dipendenza con le grandi case di produzione e distribuzione di Hollywood, e cerca con le proprie forze di esprimere un’idea o un concetto slegandosi dagli stereotipi imposti dal cinema di Hollywood, non solo a livello produttivo, ma anche di regia. E John Cassavetes è stato sicuramente il pioniere e il miglior regista ad affrontare questi concetti, che hanno influenzato in futuro grandi registi di successo come Martin Scorsese, Jim Jarmusch e altri.
Cassavetes irrompe nello standard hollywoodiano sia nelle trame che sul modo di lavorare con il cast. Lui si considerava (a torto) un pessimo regista, e si era costruito una bizzarra famiglia allargata creando un sistema felice di stretta collaborazione con gli attori.
Non è un caso il clima da lui creato sul set per impressionare su pellicola il senso della vita quotidiana, e per molti i film migliori dove è riuscito in tale impresa sono Ombre (Shadows, 1959) e Volti (Faces, 1968).
Ombre è il primo film da lui girato, è ha un inizio non facile. Infatti il film del 1959 è un secondo Ombre, visto che lo aveva già girato nel 1957. Ma a Cassavetes quella versione non era mai piaciuta, quindi lo rigirò da capo due anni dopo.
È la storia di tre afroamericani che cercano di inserirsi in una società costituita da bianchi, ma che ne usciranno con esperienze dolorose e che segneranno le loro vite.
Il film viene girato a canovaccio, cioè senza sceneggiatura, quasi d’impulso per mostrare sempre più la verità dei sentimenti dei protagonisti, usando molto spesso la cinepresa a mano con il rischio di arrivare a girare un film-documentario. In realtà quello che fa Cassavetes è inserirsi nelle dinamiche intime e sociali dei fratelli senza usare sovrastrutture, senza enfasi e drammatizzazioni. Riprende l’uomo comune, e per lui che crede che il cinema è uno “strumento di conoscenza e comunicazione”, il modo migliore per rendere questa idea è proprio questo: seguire il cammino dei protagonisti senza interferire mai, come se la macchina da presa non esistesse affatto, e riuscire al tempo stesso a cogliere i più umili atteggiamenti. Non per una semplice documentarizzazione dei fatti avvenuti, ma per entrare sempre più in profondità dei protagonisti. Senza spettacolarizzare nulla, perché si racconta della vita di persone e non di personaggi. Cassavetes riesce a fare questo improvvisando tutto facendo assomigliare le nostre vite sempre più a quelle che vediamo sul grande schermo, e facendo trasparire l’umanità in tutti i suoi i lati.
Volti è idealmente il seguito di Ombre, in cui le forti connotazioni del cinema di Cassavetes escono più preponderanti degli altri suoi film.
È la storia di una coppia che non riesce a comunicare più i loro sentimenti e che si abbandoneranno in altre avventure che li porteranno a conseguenze per loro molto significative.
Anche qui c’è il discorso di Ombre: camera a mano, “inseguimento” dei protagonisti, totale improvvisazione e l’assenza anche dei controcampi, arrivare a un congiungimento con quelle persone che sembreranno “recitare” nel salotto di casa propria. Questo film è il seguito ideale di Ombre, perché anche qui Cassavetes riesce nell’intento di comunicare allo spettatore quel disagio che sopravviene nella vita intima di una persona, a dare voce a quei silenzi invadenti che opprimono le semplici vite di tutti noi, a dargli una giusta dimensione umana, con immagini scarne, ma che fanno trapelare il dramma dell’uomo comune.
In un periodo dove tutto è urlato, come una specie di sovraesposizione continua dei sentimenti, il cinema di Cassavetes è una perla del passato che oggi va rivalutata. L’abilità di Cassavetes è stata quella di dare con quei silenzi la giusta forma ai nostri sentimenti, facendo sì che i soggetti dei suoi film ci appaiano come persone, che abitano lo stesso film di cui la camera a mano è la stessa vita.
Andare alla scoperta del cinema di Cassavetes, è anche fare una ricerca di archeologia del cinema indipendente, dato che il cinema odierno, anche quello delle grandi produzioni, usa un linguaggio che è appunto nato 60 anni fa. Quando cinema indipendente significava fare film a costi bassissimi, ma con la consapevolezza di creare qualcosa di anarchico, sempre più libero da certe convenzioni e idee preconfezionate.
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