Tre Racconti: l’immagnifico trittico di Gustave Flaubert

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Scritti dieci anni dopo il processo al suo capolavoro più conosciuto e nel corso della pausa dal lavoro al mai portato a termine Bouvard e Pécuchet, i Tre racconti si stagliano come un folgorante trittico all’interno della cattedrale dell’opera di Gustave Flaubert.

Di questi, Un cuore semplice, che rappresenta forse il miglior Flaubert, è di certo il più commovente. Quella nuvola di farfalle che esce dall’armadio della bimba defunta e l’abbraccio fra serva e padrona che ne segue è tra i passaggi più ricchi di pathos di tutta la letteratura. Chi ha la fortuna di andare a Rouen e di passare per la casa-museo dello scrittore può vedere di persona il pappagallo impagliato che il papà di Emma Bovary aveva davanti agli occhi mentre scriveva questo lungo racconto: animale che Félicité – la povera, sventurata, alienata Félicité – riveste di significati mistici al limite del grottesco. In fondo anche lei, nonostante l’instabilità mentale, muore da santa – come Giuliano Ospitaliere e Giovanni Battista, personaggi su cui si imperniano gli altri due racconti del trittico.

In un altro, La leggenda di san Giuliano ospitaliere, Proust vedrà «la più perfetta delle sue opere». Rielaborazione di alcune fonti, agiografia e apparente illustrazione del soggetto delle vetrate della Cattedrale d Rouen, in esso risplende, con il suo catalogo di animali selvatici e le sue miriadi di dettagli al limite del maniacale, lo spettacolare stile flaubertiano, che si potrebbe definire “uno stile fatto di immagini”. È la storia di un pentimento, questo prorompente centro del trittico flaubertiano, e un’immaginifica agiografia intessuta di contrappunti. Dopo il peccato, il pentimento; dopo una vita piena di ripugnanze, un’oltrevita in cui risiede la salvezza.

Per lo scrittore di Rouen, dei tre pezzi della triade, San Giuliano rappresentava l’epica, Un cuore semplice il moderno e Erodiade l’antico. Ha scritto Nicola Muschitiello, a proposito di quest’ultimo, che «ha la condensazione dei sogni». Ed è senz’altro vero. Flaubert vi ha messo a frutto uno studio indefesso delle fonti fino a ricavarne una quintessenza intrisa di Arte. È una concatenazione di immagini talvolta ardua da seguire, ma che sempre suscita un grande ammirazione, sia per l’abilità nell’architettare la sostanza teatrale degli episodi, sia per il gusto squisitamente preziosistico con cui condisce l’opera, così decadente e voluttuosa, superbo frutto della Weltanschauung degli ultimi decenni dell’Ottocento. Un piccolo capolavoro che preannuncia Gustave Moreau, Joris-Karl Huysmans, Oscar Wilde… Una delle migliori realizzazioni dello “stile fatto di immagini” di Flaubert, grazie al quale un episodio evangelico si amplifica fino a diventare poema simbolista.

I Tre racconti costituiscono un trittico immaginifico in cui il furore poetico si fa inquietante e il testo formicola di realtà (una realtà ora rude ora allegorica, ma sempre ammantata di sacro), fino a renderne la lettura un’esperienza allucinatoria.

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