Quando Charles Bukowski scriveva per cento dollari al mese

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Quando Charles Bukowski si mette al lavoro per scrivere il suo primo romanzo, gran parte della vita se l’è già messa alle spalle. Tra lavori umilianti, nottate in bianco o ubriaco sulle panchine di un parco, la vita ha già consacrato Charles Bukowski, non ancora Henry Chinaski, suo alter ego letterario. Ci vorrà l’intervento quasi divino di John Martin, colui che diventerà l’editore di Bukowski e il suo vero uomo della provvidenza. Proviamo a raccontare questa storia di ordinaria follia. Proviamo a raccontare di quando Bukowski diventò uno scrittore per 100 dollari al mese.

È il 1965 quando John Martin formula la sua proposta: ogni mese un centone e la penna dello sconosciuto Bukowski sarebbe stata sua. A quel tempo con una cifra del genere ci potevi pagare l’affitto, si potevano versare gli alimenti a una ex-moglie, potevi comprarti del cibo e un po’ di alcool e ti rimanevano tre dollari per acquistare le sigarette. Se hai passato la vita a lavorare in un ufficio postale, se hai già visto l’inferno quasi-morto in un ospedale, se hai lavorato di notte, appiccicato manifesti sulle linee della metropolitana, se hai vissuto quasi da reietto per più di quarant’anni, allora cento dollari saranno sufficienti: saranno sufficienti per lasciarti tutto alle spalle, per cercare rifugio nell’unica cosa che sai fare, per volare via dal pianeta che ti tratta da reietto. Saranno sufficienti per giocarti la tua prima vera occasione per diventare uno scrittore.

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John Martin e Charles Bukowski

Insomma quei cento dollari nascono così: John e Hank seduti uno di fronte all’altro a fare una lista di necessità. Con il suo lavoro Martin portava a casa quattrocento dollari, un quarto dei quali era destinato a Bukowski e il resto alla sua collezione di prime edizioni. Quando decide di fondare la Black Sparrow è come se decidesse di fare un salto nel vuoto. Eppure Martin è convinto di avere le ali: in breve vende la sua collezione e con i risparmi residui fonda la casa editrice. L’intera posta è puntata su Charles Bukowski.

Diventare uno scrittore. Per quelli come Hank – non chiamatelo Charles, troppo pomposo; non chiamatelo Henry, quello è il nome con cui lo chiamava suo padre – “diventare uno scrittore” sembra una frase stonata, che suona come una forzatura. Bukowski sembra nato in una vasca, immerso nella letteratura. E sembra aver riempito quella vasca con del buon vino, con delle belle donne – o almeno donne con delle belle gambe – e delle belle storie. Charles Bukowski scrittore lo è da sempre.

“Il signor Rolls incontra il signor Royce.” John Martin ama definire così il suo incontro con Bukowski. La chiave nella toppa la inserisce Martin: decide di pubblicare cinque poesie di Bukowski e di stamparle come volantini. A Bukowski vanno trenta dollari per ogni poesia, a Martin la miglior benedizione che gli potesse provenire dal cielo. Il nome di Bukowski inizia a circolare. Quando Martin decide di pubblicare una raccolta di poesie intitolata At Terror Street and Agony Way, le settecentocinquanta copie stampate sono in breve polverizzate. È il segno inequivocabile che Martin ha scovato una pepita d’oro: in breve sia lui che Bukowski lasciano i rispettivi impieghi: il primo una ditta che produceva cancelleria per uffici; il secondo l’ufficio postale. È nata una lussuosissima automobile che porterà il rombo del suo motore sempre più lontano, sempre più in alto nell’olimpo letterario.

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Post Office, la copertina originale

Nel 1971 esce il suo primo romanzo, Post Office. Tempo di scrittura: diciannove giorni. È lo stesso Martin a raccontarlo e non deve neanche stupire più di tanto. “Studiavo Dostoevskij e ascoltavo Mahler al buio.” La vita di Bukowski seguiva più o meno inconsapevole il proprio destino. Quel primo romanzo esisteva già nel buio del suo impiego e nella luce di Mahler. In quei diciannove giorni Bukowski non fa altro che mettere nero su bianco ciò che da sempre esiste.

Nel 1971 Charles Bukowski ha 51 anni. Ha conosciuto la vita e talvolta ci ha fatto a pugni. Ha conosciuto la fame, l’umiliazione e la solitudine. E se sei Charles Bukowski – e lo sei da sempre – un torrente di parole sarà pronto a sgorgare alla prima occasione, e sarai grato nei confronti di chi quell’argine l’avrà fatto saltare. “Caro Johnny, Sei il miglior capo che abbia mai avuto.”

Il Bukowski raccontato da Martin è lontano anni luce dall’immagine dell’ubriacone che promana dal suo alter ego letterario. Quando si pensa a Bukowski, la prima immagine che viene in mente è quella dell’ubriacone perdigiorno, che al lavoro preferisce di gran lunga la bottiglia e, piuttosto che sprecare la propria vita a recitare il ruolo della pedina di una partita giocata da altri, decide di consumare il proprio tempo (e il proprio fegato) appoggiato al bancone di un bar, a scacciare mosche, provocare risse e abbordare puttane. Per John Martin, invece, Charles Bukowski è la persona più gentile cha abbia mai conosciuto. Racconta di un Bukowski preoccupato che ogni suo ospite si sentisse a suo agio, un Bukowski profondo appena sotto la sua superficie cinica, pronto a diventare poetico con l’andare della conversazione, quando le parole prendono il sopravvento e il duro Hank vi ci si abbandona.

La collaborazione tra Martin e Bukowski andrà avanti fino alla morte di Bukowski, nel 1994. Saranno anni intensi in cui Bukowski scriverà tantissimo, conoscerà la fama e diventerà ricchissimo. Riuscirà persino a vendere all’industria cinematografica i diritti per alcuni dei suoi romanzi e prenderà in giro quel mondo in Hollywood, Hollywood.

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Esistono tantissimi detrattori di Charles Bukowski, soprattutto del Bukowski misogino, alcolista e cinico. Scrive Fernanda Pivano nell’introduzione a Quello che importa è grattarmi sotto le ascelle:

“I lettori e soprattutto la critica a volte ne colgono solo l’aspetto sensazionale od “osceno” ma Bukowski sotto le sue maschere o quello che chiama il suo “fare il clown” continua a mettere a nudo le sue più sconcertanti oscenità attraverso esagerazioni a volte deformanti, a volte illuminanti nel proposito tenace di raccontare sé stesso.”

Charles Bukowski è ormai ritenuto uno degli scrittori più importanti del novecento, un’artista di culto che probabilmente non avrebbe mai conosciuto il posto che ricopre nel firmamento letterario se un uomo coraggioso come John Martin non ne avesse illuminato la stella. È giusto dunque celebrare quest’uomo che ha saputo riconoscere la fiamma che riposava, appena sopita, in un polveroso ufficio postale. Il signor Rolls incontra il signor Royce.

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