The Vatican Girl: il misterioso caso Emanuela Orlandi

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Sulla nota piattaforma televisiva Netflix, è uscita di recente la docu-serie, intitolata “The Vatican girl”, che ha raccolto testimonianze datate ed inedite sul rapimento di Emanuela Orlandi, avvenuto nel lontano 22 giugno del 1983. Con un titolo che sembra introdurre uno dei romanzi fantasiosi di Dan Brown, la produzione inglese RAW, affidata all’occhio esperto di Mark Lewis, cerca di ripercorrere tutte le piste battute dagli inquirenti e dai giornalisti per risolvere il caso del rapimento della giovane cittadina di Città del Vaticano che tuttora costituisce uno dei misteri più controversi della storia della repubblica italiana.

È una torrida giornata d’inizio estate, quel 22 giugno del 1983, quando la quindicenne Emanuela Orlandi sparisce senza lasciare alcuna traccia visibile. Più volte, nel corso dei quattro episodi della serie, si rievocano gli annunci meteorologici relativi al caldo infernale di quel periodo, ai quali ci saremmo abituati con maggiore frequenza nei decenni successivi. 

Emanuela fa parte di una famiglia che risiede già da molto tempo all’interno di Città del Vaticano, per l’impiego del padre. Le immagini ricordano che la ragazza, in quel pomeriggio di giugno, aveva un appuntamento con la sorella nei pressi proprio del Vaticano, ma all’incontro convenuto non si presenta, non fornendo alcuna notizia di sé. Nelle prime ore dalla scomparsa non è ancora chiaro se la ragazza, appassionata studiosa di musica e conosciuta per le pacate abitudini, sia scomparsa di sua volontà o sia stata rapita. Le stesse testimonianze dei primi inquirenti attestano questo clima di incertezza, dovuto anche alla constatazione che in quegli anni molti ragazzi, per motivi imprecisati, abbandonavano la propria famiglia senza una ragione apparente. In un crescendo quasi romanzato e cinematografico, progressivamente, mentre le strade della capitale italiana vengono tappezzate della foto di Emanuela ritratta con la famosa “fascetta”, la percezione del suo caso passa da semplice scomparsa all’inquietante quanto misterioso rango di complotto internazionale.

La docu-serie “The Vatican girl” ha due meriti principali: il primo, a mio avviso, è quello di dare spazio ai familiari della ragazza ed il secondo, non meno importante, di inserire testimonianze inedite alle quali in precedenza non era stata data la giusta attenzione. Il caso di Emanuela Orlandi riaccende l’interesse su una fitta rete di misteri dell’Italia repubblicana che, nei primi anni Ottanta, stava faticosamente uscendo dal decennio precedente, dilaniato dalle azioni delle opposte e variegate fazioni terroristiche.

Le immagini ben congegnate di fatti e di reportage evidenziano come il rapimento di Emanuela Orlandi sia stato legato indissolubilmente alla sua appartenenza allo Stato Vaticano, anche se le esatte motivazioni rimangono ancora non del tutto chiarite. Emerge, inoltre, come vi sia stata una costante omertà da parte dei vertici ecclesiastici che, con ogni ragionevole probabilità, erano al corrente di quanto fosse successo alla giovane fin dalla sera del 22 giugno del 1983. Questo almeno è ciò che è venuto a galla, dopo la recente testimonianza di Mons. Viganò, alto prelato molto discusso e criticato, nell’ambito della sua stessa organizzazione, per le posizioni spesso discordanti rispetto all’ortodossia tradizionale ed alle manifestazioni pubbliche della Chiesa. Secondo Viganò, infatti, la prima telefonata per rivendicare il rapimento sarebbe stata indirizzata alla sala stampa del Vaticano la sera stessa del fatto e non ai familiari della giovane.

Tra le piste seguite, a seguito di alcune telefonate ricevute dalla famiglia, la vicenda di Emanuela andrebbe ricollegata addirittura all’attentato del papa ad opera di Alì Agca, avvenuto poco più di due anni prima. I rapitori avrebbero sequestrato la giovane cittadina vaticana, per utilizzarla come merce di scambio allo scopo di ottenere il rilascio dell’attentatore di papa Giovanni Paolo II. Seguendo tale pista, il rapimento di Emanuela andrebbe inserito nello scenario internazionale della guerra fredda: Alì Agca doveva tornare libero, affinché non cedesse alle pressioni di rivelare i veri mandanti del suo gesto scellerato. Lo stesso Alì Agca, peraltro, avrebbe affermato, nel corso della prigionia, di non aver agito per conto dei “Lupi grigi”, l’organizzazione turca a cui sembrava essere affiliato, ma di essere stato addestrato dai “Bulgari” e dal KGB, i potenti servizi segreti russi.

L’Unione Sovietica non vedeva di buon occhio un polacco sul trono di Pietro, la cui principale missione era quella di combattere l’ateismo ed il materialismo ideologico e politico, sostenendo in ogni modo i movimenti di resistenza dell’Europa dell’est, in particolar modo “Solidarnosc” che operava in Polonia. Non può nemmeno passare inosservato il fatto che Emanuela Orlandi sia scomparsa, proprio quando il papa era tornato trionfalmente nella sua patria e veniva acclamato quasi come un liberatore. All’attento osservatore non sfugge neanche la considerazione che l’attentato al papa, da parte di Alì Agca, sia stato ricollegato al terzo segreto di Fatima, anche se tale interpretazione, per i motivi che ho illustrato in altri scritti, non può convincere del tutto. Tale orientamento potrebbe apparire quasi strumentale alla causa religiosa, politica ed ideologica che inseguiva il pontefice nel voler abbattere il regime sovietico, cioè  il voler subordinare la salvezza dell’umanità, al momento “in cui la Russia si sarebbe convertita al cuore immacolato di Maria”, così come riportato dalla testimonianza di Suor Lucia, dopo le apparizioni di Fatima.

Dai fatti proposti nella docu-serie, poi, emerge un’ulteriore pista inquietante: i legami del Vaticano con Roberto Calvi e la banda criminale della Magliana. L’attenzione è ancora una volta focalizzata sull’operato di Giovanni Paolo II che, grazie all’abile collaborazione di Monsignor Marcinkus, l’arcivescovo statunitense allora a capo dello IOR, il facoltoso Istituto per le Opere di Religione, avrebbe dirottato ingenti somme di denaro verso Solidarnosc per liberare la Polonia dal regime comunista. Secondo gli autori che, peraltro, ripercorrono alcuni scandali noti che hanno travolto la barca di Pietro negli ultimi decenni, il dirottamento del denaro sarebbe avvenuto con il riciclaggio di soldi provenienti dai profitti illeciti della mafia, in stretta connessione con il “banchiere di dio”, cioè con colui che guidava il Banco Ambrosiano, il già citato Roberto Calvi.

Il ritrovamento del suo cadavere, legato ed impiccato sotto il ponte Blackfriars di Londra, con notevoli e diversificate valute nelle tasche, non sarebbe altro che un regolamento di conti, a causa della gestione di elevatissime somme di denaro non restituite alla malavita organizzata. La stessa scenografia dell’evento nasconderebbe un messaggio diretto al Vaticano: il luogo, il ponte appunto denominato Blackfriars, frati neri, dal nome di una congregazione religiosa, alluderebbe al volto oscuro della Chiesa; le molteplici valute ritrovate nelle tasche indicherebbero, in maniera inequivocabile, la motivazione finanziaria dell’omicidio del banchiere.

La pista che conduce alla banda della Magliana, tuttavia, è stata avvalorata dalla testimonianza di Sabrina Minardi, l’amante di Renatino De Pedis, boss dell’organizzazione criminale al tempo della scomparsa di Emanuela Orlandi, che ha rilasciato le proprie dichiarazioni molti anni dopo il rapimento della ragazza. La donna sostiene di aver lei stessa partecipato al prelievo ed alla custodia di Emanuela e di aver, poi, ricevuto l’incarico di consegnarla ad un prete (descritto nei particolari) all’interno delle mura vaticane. Le dichiarazioni della Minardi, seppure non ritenute completamente affidabili dagli inquirenti, in quanto era emerso che la donna in passato aveva fatto largo uso di sostanze stupefacenti, hanno acquisito maggiore credito, quando nell’agosto del 2008 è stata ritrovata la BMV indicata da lei stessa come mezzo utilizzato per rapire la giovane Orlandi. L’autovettura era risultata prima di proprietà di un tal Flavio Carboni, imprenditore indagato e poi assolto nel processo per determinare le cause della morte di Roberto Calvi e di seguito appartenuta ad uno dei componenti della banda della Magliana. Questi dettagli non appaiono per niente casuali e sembrano confermare la dinamica degli eventi così come descritti, in linea di massima, da Sabrina Minardi.

Un altro elemento che sembrerebbe confermare l’ipotesi ricattatoria da parte della banda della Magliana, allo scopo di ottenere la restituzione delle somme cedute al Vaticano, sarebbe il ritrovamento di un dossier contenente la documentazione delle spese sostenute dalla Chiesa per il mantenimento della giovane dal momento del rapimento fino all’anno 1997. Se questa raccolta di atti fosse originale e veritiera, il ruolo della Chiesa e dello stesso pontefice pro-tempore, non solo apparirebbe omertoso, ma addirittura consapevolmente criminale. La vita di Emanuela sarebbe stata sacrificata per proteggere una serie di segreti inconfessabili che avrebbero potuto minare definitivamente la credibilità dell’istituzione religiosa più longeva della storia. Secondo tale filone, la ragazza sarebbe vissuta, tra il 1983 ed il 1997 a Londra, presso un ostello gestito da un ordine cattolico molto vicino al Vaticano. Tra la fine del 1997 e l’inizio del 1998, Emanuela sarebbe deceduta e la sua salma sarebbe stata riportata a Roma per la sepoltura, come farebbe intendere una delle annotazioni comprese nella precitata raccolta.

Ma se lo scopo della banda della Magliana era quello di ricattare i vertici della Chiesa per motivi legati al denaro, perché sequestrare un’adolescente di 15 anni e non un alto funzionario religioso o laico cittadino dell’unica monarchia assoluta attualmente esistente sulla terra? (Il papa, infatti, anche formalmente detiene, allo stesso tempo, il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sui suoi sottoposti).

Una risposta a tale interrogativo potrebbe derivare dalla testimonianza, forse ancora più scioccante, della migliore amica di Emanuela che, dopo molti anni, appellandosi all’anonimato, si è decisa a rendere. L’amica riferisce di una confidenza sconvolgente di Emanuela che, qualche giorno prima del rapimento, le aveva rivelato di “essere stata infastidita” da una persona di rango elevato, molto vicina al papa. Questa ipotesi potrebbe far pensare ad un ricatto che avrebbe potuto creare un danno gravissimo all’immagine della Chiesa, in un periodo in cui gli scandali per pedofilia ad opera di sacerdoti non erano così noti all’opinione pubblica come, purtroppo, avverrà nei decenni successivi. Ricordiamo, inoltre, che sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, proclamato santo, le segnalazioni di abusi sessuali, provenienti da più parti del mondo, erano state ignorate ed, in certi casi, addirittura coperte, come i dossier raccolti in seguito hanno rivelato. Secondo il noto demonologo Padre Amorth, Emanuela sarebbe stata drogata e poi uccisa in un’orgia di pedofili tenutasi in Vaticano, ma l’ipotesi è troppo debole e sembra quasi frutto dell’ossessione maniacale del religioso nei confronti del diavolo, come si evince dai suoi scritti e soprattutto dal suo libro “L’ultimo esorcista” che cita appunto l’orribile sorte di Emanuela. Tale ipotesi è stata ripetuta nel 2014 dal collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, boss mafioso pentito che, in un’intervista alla trasmissione “Chi l’ha visto”, ha affermato che la Orlandi era morta durante un festino a base di sesso e di droga, a cui avrebbe partecipato addirittura il mago della finanza vaticana, nonché uomo di fiducia di Giovanni Paolo II, monsignor Paul Marcinkus.

Vatican Girl: The Disappearance of Emanuela Orlandi | Official Trailer | Netflix

Una quarta pista, definibile anche seconda bis, perché in fondo appare come una variante della seconda sul tema degli scandali finanziari, farebbe riferimento ad una presunta “banda del Ganglio”, nata da una serie di contrasti interni al Vaticano e dominata da una fazione ambiziosa e potente. Sul tema la pellicola televisiva si dilunga sulle interviste all’eclettico e stravagante super-testimone Marco Accetti, auto-accusatosi del rapimento di Emanuela, dopo molti anni dall’evento, le cui dichiarazioni si sono mostrate in gran parte fallaci, o quanto meno una via di mezzo tra la verità e la menzogna. Accetti, tacciato di turbe narcisistiche e mitomani, ha dichiarato di essere l’“Americano”, cioè l’autore di due telefonate di rivendicazione del rapimento, all’indomani della scomparsa. Gli esperti fonici, però, hanno accertato che soltanto una delle due voci registrate poteva essere attribuita all’uomo. Il reportage di Netflix si sofferma, nel contesto delle dichiarazioni dell’Accetti, al collegamento tra la scomparsa di Emanuela e quella di un’altra adolescente, Mirella Gregori, scomparsa il 7 maggio dello stesso anno e anch’ella mai più ritrovata.                    

Se la prima pista, quella che riconduce la vicenda ad Alì Agca, può considerarsi un abile diversivo, per le troppe incongruenze e per l’inserimento di patologici mitomani, come mette in luce la docu-serie Netflix, a ben guardare le restanti due non sembrano escludersi a vicenda. La banda della Magliana, così vicina al Vaticano, potrebbe aver ricevuto l’incarico di tenere sotto custodia la ragazza per un certo periodo di tempo, affinché non parlasse, prima di restituirla ai mandanti. Fa molto riflettere la frase, più volte riproposta dagli autori di “The Vatican girl”, pronunciata dalla testimone-chiave Sabrina Minardi: “Mi diceva Renatino: è tutto un gioco di poteri”, riferendosi alle veloci spiegazioni che le forniva il suo amante boss, quando lei chiedeva la ragione per cui la ragazza fosse stata rapita.

La docu-serie, tuttavia, presenta alcune lacune piuttosto grossolane. Innanzitutto non si preoccupa troppo di ricostruire i movimenti della ragazza il giorno della sua scomparsa. Poi trascura un altro importante elemento, cioè il fatto che, nei mesi precedenti al rapimento di Emanuela, anche altri ragazzi che vivevano tra le mura del Vaticano erano stati avvicinati da sconosciuti, tra cui perfino una delle sorelle. L’analisi dei nastri registrati scorre forse un po’ troppo rapidamente, né si fa riferimento alla scomparsa di Alessia Rosati e nemmeno si cita un luogo sul quale, per un certo periodo di tempo, gli inquirenti puntarono i riflettori: il ristorante “Pippo l’Abruzzese” situato a Torvajanica, località peraltro ricorrente nelle non sempre lucide narrazioni della super-testimone Sabrina Minardi.

Come si diceva in precedenza, l’annotazione delle spese attribuita al Vaticano è stata considerata un falso clamoroso, tanto che tutte le persone citate, comprese quelle della pista inglese, si sono completamente dichiarate estranee al caso. È stato rilevato che come in quei “cinque fogli” manchino firme, intestazioni ufficiali ed il linguaggio utilizzato sia completamente estraneo alla burocrazia curiale. Non c’è da stupirsi, comunque, se anche quel filone sia stato scandagliato a fondo. In virtù di tale documentazione, infatti, si è proceduto ad aprire le tombe di alcune nobili tedesche seppellite nel Cimitero Teutonico. Le sorprese non sono mancate: nel luogo indicato non è stato trovano alcun corpo, neanche quello delle principesse, ma in compenso è stata scoperta un’antica cripta da tutti prima ignorata.

Non tutti gli analisti, però, sono d’accordo sulla falsità della precitata documentazione che attesterebbe il mantenimento all’estero di Emanuela. Nell’autunno del 2017, il giornalista Emiliano Fittipaldi ha pubblicato il testo Gli Impostori. Inchiesta sul potere, inserendo nel testo la “nota-spese” riguardante Emanuela tra le prove attendibili della corruzione vaticana. Il documento sarebbe stato sottratto alla fine del marzo 2014 dalla cassaforte in un armadio della “Prefettura degli affari economici”, allora sotto la responsabilità del segretario monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, arrestato poi nel 2015 nell’ambito dello scandalo denominato “Vatileaks 2”. L’alto prelato avrebbe, infatti, fornito informazioni riservate al noto giornalista, conduttore della trasmissione “Quarto grado”, in onda su Retequattro, per la pubblicazione del fortunato e controverso libro “Via Crucis”. Ad avvalorare maggiormente questa tesi, la scrittrice Francesca Chaouqui, nel suo testo “Nel nome di Pietro”, ha sostenuto la tesi che nell’armadio violato fossero custoditi altri dossier “scottanti”, tra cui quello su Michele Sindona, sullo IOR e sulle spese politiche di Giovanni Paolo II a favore di Solidarnosc, adombrando l’ipotesi che il furto sia stato simulato dallo stesso monsignor Balda.

Nella triste vicenda di Emanuela Orlandi ci sono tanti elementi che destano meraviglia, forse troppi! Come è possibile che il boss Renatino De Pedis sia stato seppellito nella basilica di S. Apollinare, tra tanti personaggi illustri, in un luogo sacro dove possono essere deposti soltanto corpi con il permesso prestigioso del Vaticano? Secondo alcune ricostruzioni, si potrebbe delineare un quadro davvero a tinte fosche. L’innocente ragazza sarebbe stata rapita per sollecitare il Vaticano a restituire il denaro investito nello IOR attraverso il Banco Ambrosiano, come ipotizzato da uno degli inquirenti, il giudice Rosario Priore. Si parla di una cifra intono ai venti miliardi di lire, ma alcuni ritengono che la somma fosse sotto-stimata e che si trattasse di una quantità di denaro ancora più considerevole. Lo stesso De Pedis avrebbe di seguito fatto cessare gli attacchi contro il Vaticano, nonostante il denaro non fosse stato restituito, ottenendo, fra altri benefici, proprio il privilegio di essere seppellito nel sottosuolo della chiesa di Sant’Apollinare. È inutile aggiungere che i resti delle due ragazze, della Orlandi e della Gregori, sono stati cercati senza successo anche nella tomba del criminale. Il 4 maggio 2012 all’interno della tomba è stata ritrovata soltanto la salma del defunto, poi cremata per disposizione dei familiari. Gli scavi più in profondità hanno fatto emergere resti di ossa del periodo napoleonico, ma nessuna traccia del DNA di Emanuela e di Mirella.

La drammatica vicenda di Emanuela Orlandi, che si può paragonare ad un intricato labirinto, continua a far discutere e a riservare ulteriori sorprese. Risale a pochi giorni fa la notizia apparsa sulla carta stampata nazionale, in merito alla presenza di tre faldoni, classificati come “top secret” dal SISMI (i servizi segreti militari), in merito ai casi delle scomparse di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori. Si tratterebbe di corposi carteggi acquisiti agli atti dalla Procura di Roma, ma mai divulgati o consegnati alle famiglie delle due ragazze. I faldoni erano stati richiesti dal già citato magistrato, Rosario Priore, al quale non sarebbero stati consegnati direttamente, bensì messi a disposizione in una stanza del SISMI. Un alto funzionario dei Servizi avrebbe informato il giudice che quei documenti “rivestivano carattere di riservatezza e dovevano, pertanto, essere considerati soggetti al vincolo della vietata divulgazione, in particolare per quanto riguardava i rapporti con taluni servizi esteri collegati”. Dietro il linguaggio formale, si intuisce la necessità di precludere la conoscenza del contenuto di quei dossier. È stato ipotizzato, inoltre, che gli stessi magistrati, che indagavano sui due casi, avessero ricevuto pressioni dal vertice politico dello stato a non divulgare quanto raccolto in quella documentazione esplosiva.

Nella parte in cui abbiamo fatto riferimento alle rivelazioni di Marco Accetti, è stato introdotto il legame tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e quella di Mirella Gregori, avvenuta quarantasei giorni prima. Ma come mai questi due cold cases sono stati considerati così intrecciati? Entrambe le ragazze sembrano sparite nel nulla, dopo aver raccontato una bugia ai familiari: la prima di aver ricevuto un’offerta di lavoro per rappresentare prodotti Avon, l’altra per incontrare l’amico Alessandro, poi rivelatasi una scusa. In entrambi i casi sembra che le due ragazze debbano incontrare persone che le avevano blandite in precedenza. Alcuni vogliono vedere nel marchio dei cosmetici Avon l’anagramma di “Nova”, ossia l’acronimo di una fondazione pontificia che gestiva alcuni oboli della Chiesa. Alcune frange complottiste si sono chieste se ciò si potesse interpretare come semplice suggestione o addirittura come un messaggio da parte dei rapitori diretto agli alti funzionari della curia. Mentre nel caso di Emanuela, il legame con il Vaticano si presentava forte ed evidente, per quanto riguarda Mirella era molto più debole: una semplice foto scattata insieme a Carol  Woytila o il fatto che qualche alto esponente della gendarmeria frequentasse un bar di Via Nomentana, in prossimità dell’abitazione della ragazza.

In conclusione, si potrebbe obiettare che cercare di ricomporre il difficile e tuttora irrisolto puzzle della scomparsa di Emanuela Orlandi sia un esercizio quanto mai sterile ed inutile, teso ad alimentare la curiosità dei non addetti ai lavori e le speranze dei familiari, forse ingannati dagli stessi individui prodighi di appelli e di benedizioni. Tuttavia, a mio avviso, la drammaticità della vicenda si impone nel suo panorama complessivo dove la ragazza, assunta quasi al ruolo di eroina tragica di una narrazione letteraria o di una rappresentazione cinematografica, diventa la protagonista di una trama più grande di lei, dove come vorticosi gironi infernali si avviluppano scandali finanziari, terrorismo internazionale, malavita organizzata e torbidi segreti sessuali. Per queste ragioni, il voler ricordare e rievocare i fatti della scomparsa di Emanuela Orlandi, che ormai appartengono alla storia recente, possono servire a non cadere negli errori del passato, evitando quei ricorrenti “giochi di potere” corrotti, subdoli e malsani.