Il bombardamento di Guernica e l’inizio della guerra totale

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26 Aprile 1937: una data simbolica che cambiò la storia e il modo in cui si intende lo strumento della guerra. Uno strumento sempre da condannare, ma che da quel giorno fece ufficialmente ingresso in un nuovo sistema di distruzione di valori che avrebbe anticipato il modo in cui i conflitti sarebbero andati nel resto del secolo. A farne le spese una piccola cittadina nel Nord della Spagna, Guernica, nel mezzo di un’area calda della guerra civile spagnola. Una località senza alcun tipo di obiettivo militare, che fu presa di mira come primo esperimento di guerra totale della storia.

Cosa accadde a Guernica?

Sono gli anni della guerra civile spagnola, in cui le forze militari nazionaliste, guidate dal generale Franco, si rendono responsabili di un colpo di stato e dei successivi attacchi alle forze della Repubblica. Non c’era volontà di negoziare alcuna pace, ma l’obiettivo era far cadere la Repubblica e dare inizio a un regime dittatoriale, cosa che poi avvenne e durò fino al 1975. In quegli anni, però, le forze repubblicane resistono ancora. Il fronte più caldo è quello dell’area della Biscaglia, sulla costa settentrionale della Spagna. L’area è ancora controllata dalla Repubblica, ma l’avanzata dell’esercito nazionalista era già iniziata qualche settimana prima, a partire dalle montagne del sud-est.

Quello che accadde nel pomeriggio del lunedì 26 Aprile 1937, però, non aveva davvero a che fare con il concetto di guerra. Era qualcosa di più. Un vero e proprio esperimento, una prova di forza che voleva misurare per la prima volta nella storia che effetto avrebbe avuto un accanito bombardamento aereo su un obiettivo civile. Fu scelto il lunedi proprio per questo: era giorno di mercato a Guernica, e tipicamente la cosa attirava fino a 10mila persone dei dintorni. L’obiettivo, spietato e senza scrupoli, era di ucciderne il più possibile. Fuori da ogni logica di guerra che vorrebbe l’indebolimento delle forze militari nemiche. No, questa volta l’operazione doveva servire a dimostrare come le forze dell’aviazione tedesca ed italiana, alleate di Franco nel conflitto spagnolo, potessero strategicamente ridurre in cenere una cittadina mediamente popolata, uccidendo il maggior numero di civili possibili.

È la cosiddetta “guerra totale”, un concetto ancora nuovo all’epoca. Alla base c’era la volontà di venire meno alle limitazioni morali e umane che resistevano ancora a lasciare delle regole non scritte che non potevano essere violate. Ad esempio, quella che la popolazione civile non sarebbe mai dovuta diventare l’obiettivo di un attacco. Perché la cosa verrebbe meno alle basilari fondamenta umane su cui è basata la nostra società, oltre ad avere poco senso in termini bellici. Ma in quel momento la priorità era spezzare lo schema. E mettere alla prova la potenza dell’aviazione alleata, come ammetterà al processo di Norimberga il generale nazista Hermann Göring: “Guernica è stato un terreno di prova per l’aviazione tedesca. È stata una vicenda spiacevole, d’accordo, ma non potevamo fare altrimenti perché non avevamo un altro posto per sperimentare i nostri aeroplani.”

Il bombardamento di Guernica

E così si mise in piedi una strategia ben precisa e si diede atto alla follia. L’attacco iniziò alle 16:30 e si articolò in ondate successive. La prima fase vide l’intero gruppo di bombardamento franchista arrivare coordinato, lanciando ogni tipo di bombe su Guernica, da quelle normali a quelle incendiarie. La gente provò a proteggersi nei rifugi antiaerei ma capì presto che sarebbe stato inutile: molti rifugi erano già in preda alle fiamme e la gente stava già morendo senza via d’uscita. La popolazione allora scappò in ogni direzione, puntando le campagne e cercando di allontanarsi dal centro abitato.

Subito dopo iniziò la seconda fase, in cui apparvero gli aerei più avanzati dell’aviazione tedesca e italiana. L’obiettivo in questo caso era fermare la fuga dei civili, distruggendo definitivamente la città e bombardando gli edifici della periferia. Un anello di fuoco che avrebbe dovuto intrappolare l’intera popolazione di Guernica. Per chiudere l’attacco, una terza ondata arrivò, con una serie di attacchi incendiari orientati a dare a fuoco ogni strada della città, colpendo a vista uomini e animali che cercavano di fuggire.

L’intera operazione durò circa tre ore. Le stime parlano di 1500-2500 morti, più o meno un terzo della popolazione di Guernica.

L’attacco a Guernica fu condannato in maniera unanime dall’intera comunità nazionale. Per anni nessuno ammise pubblicamente l’intenzione esplicita di colpire un obiettivo puramente civile. Goebbels stesso si espresse dispiaciuto per quanto successo ai cittadini di Guernica e affermò che nessun aereo tedesco era stato coinvolto. L’evento fu oggetto di insabbiamenti e smentite per anni, con l’esercito franchista che diede anche la responsabilità alle compagini repubblicane comuniste. Ma tra le comunicazioni non pubbliche tutti sapevano com’era andata. Il generale italiano Pietro Pinna, in una relazione quell’anno, scrisse: “La distruzione di Guernica, compiuta dagli apparecchi tedeschi ed italiani, ha dato la misura di quanto può fare l’aviazione contro un centro abitato.”

Quasi un secolo è passato da quel primo assaggio di Seconda Guerra Mondiale che distrusse tanti tabù esistenti fino a quel momento, oltre che tante vite. Qualche anno dopo ci sarebbero state Hiroshima e Nagasaki, e la consapevolezza che nessun confine esisteva più nei possibili scrupoli di chi faceva la guerra.

Il dipinto di Pablo Picasso

Il bombardamento di Guernica diede spunto a Pablo Picasso per realizzare l’omonimo dipinto, che insieme fu il suo più grande capolavoro e il più importante esempio di opera d’arte capace di denunciare gli orrori della guerra.

Pablo Picasso, Guernica, 1937

Guernica è esposta al museo Reina Sofia di Madrid. Un arazzo che riproduce il dipinto è stato realizzato nel 1985 e offerto dalla fondazione Rockefeller all’ONU, che lo tiene esposto nel corridoio antistante alla sala del Consiglio di Sicurezza. Il dipinto non è tuttavia esposto in maniera continuativa: ad esempio, quando nel 2003 l’ONU stava discutendo la possibilità di dare inizio a una “guerra preventiva” in Iraq, i vertici decisero di coprirlo con le bandiere del Consiglio di Sicurezza. Il portavoce ONU spiegò che il dipinto avrebbe offerto alle telecamere un effetto visivo confuso sullo sfondo.