Smart working: finirà nel 2022 o resta anche dopo l’emergenza?

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La pandemia ha cambiato pesantemente il modo del lavoro. Lo ha fatto in maniera tanto capillare che la maggior parte dei luoghi lavorativi che non avevano possibilità di cambiare hanno dovuto restare inattivi durante i lockdown. A due anni di distanza dall’inizio della pandemia, la possibilità dello smart working è diventata un’opzione a cui molti lavoratori si sono abituati, e molti di essi la preferiscono anche rispetto al lavoro interamente presenziale che c’era prima. La domanda dunque nasce spontanea, soprattutto alla luce delle regole che emergono durante l’intervallo di ritorno alla normalità: lo smart working verrà terminato per tutti, o resterà un’opzione possibile anche dopo la fine della situazione di emergenza?

Il tema in realtà è discusso da esperti, aziende e lavoratori da parecchi mesi, e non esiste una risposta univoca.

La situazione corrente in Italia

Il decreto del governo italiano del 17 Marzo 2022 ha prorogato la pratica dello smart working fino al 30 Giugno 2022. Ecco quello che accade in questa fase.

  • Per i privati: i datori di lavoro possono ancora decidere di applicare lo smart working con una procedura semplificata che non richiede un accordo individuale col lavoratore (basta una mail, che ha valore anche senza il consenso stesso del lavoratore)
  • Per la pubblica amministrazione: lo smart working richiede ancora un accordo individuale e non può superare il 49% del tempo lavorativo totale

Le pratiche del periodo di emergenza restano valide fino a Giugno, dunque. L’idea è di usare la primavera 2022 per definire un piano normativo completo per regolarizzare la questione smart working nel lungo termine.

Che destino ha lo smart working?

Questo è un tema caldo a livello mondiale, ancora con opinioni contrastanti. Anche nelle altre nazioni del mondo, e nelle grandi multinazionali di oggi, esistono realtà che preferirebbero un graduale ritorno alla presenza in ufficio (in nome di una cultura d’azienda che ha vita nelle sedi ufficiali, e anche probabilmente di una necessità di contatto e vicinanza coi lavoratori) e altre realtà che sono contente di offrire ai lavoratori la flessibilità di scelta (perché consapevoli del fatto che la produttività non è cambiata e perché consapevoli dell’importanza di soddisfare le esigenze personali degli impiegati, ove possibile).

La risposta dunque è che lo smart working è arrivato in tempi di emergenza, ma è qui per restare a lungo nel mondo del lavoro. La decisione specifica, però, dipenderà dalle intenzioni individuali di aziende, lavoratori e regolatori delle pubbliche amministrazioni, e ognuno di essi può avere un’opinione differente a riguardo: alcuni tenderanno ad agire in maniera più forte e a pretendere un ritorno coatto in ufficio, cosa che potrebbe alimentare l’ondata di licenziamenti che sta già prendendo vita dal 2021 (in favore di altre realtà lavorative che invece sposeranno lo smart working e la flessibilità del luogo di lavoro come valore aziendale); altre (la maggior parte) preferiranno la strada della libera scelta, con uffici a disposizione di chi preferisce lavorare lì, e politiche di smart working per chi le trova più comode. Alcune realtà lavorative potrebbero anche decidere di incentivare la scelta dello smart working, allo scopo di ridurre i costi fissi di mantenimento delle sedi di lavoro.

Pro e contro: una questione complessa

Le realtà lavorative più competenti hanno ben presente la complessità del problema, che è ben più ampio del semplice accordo intorno a una possibile flessibilità: la pandemia ha fatto riscoprire al mondo l’importanza della sfera personale, del tempo familiare e delle aspirazioni private, anche dal punto di vista professionale. Questi sono ora diventati valori importanti per i lavoratori, al punto che molti di essi hanno già preso la decisione di abbandonare il mondo corporate in favore di realtà lavorative meno esigenti, che lascino più spazio ai bisogni personali, mentre altri restano ancora favorevoli alle dinamiche aziendali a patto che mantengano la flessibilità su questo tema (questi sono i soggetti che più probabilmente lasceranno le aziende se esse pretenderanno il ritorno in ufficio).

Dall’altra parte, alcune aziende potrebbero vedere questo spostamento di focus da parte dei lavoratori come una minaccia. Per alcune realtà la vita d’ufficio è anche garanzia che il lavoratore si senta parte di una famiglia, spendendo gran parte della sua giornata in quei luoghi e permettendo livelli di identificazione e responsabilizzazione che per alcune realtà corporate sono importanti. Queste potranno essere le realtà che più delle altre spingeranno per il ritorno in ufficio. Il rischio però per loro è grosso: nel tentativo di ricostituire un contesto aziendale di vicinanza, potranno finire per allontanare i lavoratori che hanno più a cuore la possibilità dello smart working, e che non avranno grossi problemi a trovare altre realtà (magari tra i competitor di settore) che la offrono. Il prezzo per “ricreare la famiglia” sarebbe dunque di avere una famiglia più piccola.

Queste questioni sono ormai sufficientemente note agli esperti e ai consulenti del lavoro da far sì che ogni azienda ha a propria disposizione i mezzi per gestire la cosa nel modo migliore: instaurando un dialogo coi dipendenti e restando in ascolto delle esigenze di tutti. Le aziende che non lo faranno, staranno puntando a un obiettivo futuro differente, consapevoli a grandi linee di alcuni rischi ma convinte di preferire quella direzione. Nel frattempo, sempre più individui si saranno preparati al prossimo passo, pianificando le possibili scelte in caso non si rispecchino più nella filosofia aziendale.

Lo scenario è in continua evoluzione, e lo sarà ancora lungo tutto il 2022. Ma una cosa è certa: la possibilità che lo smart working sparisca a breve è da escludere.