L’isola di Jersey: la storia e le attrazioni di un luogo conteso tra Francia e Gran Bretagna

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L’isola di Jersey, non inserita nei circuiti del turismo di massa, è un luogo dal fascino sobrio ed elegante, con alcune particolarità che la rendono di incantevole bellezza.

Essa si trova nel Canale della Manica, più vicino alle coste francesi che a quelle inglesi, anche se dal punto di vista politico il Baliato di Jersey dipende direttamente dalla Corona britannica.

Storia

Già in epoca preistorica, i primi abitanti dell’isola furono favoriti dalla vicinanza delle coste francesi, anche se i primi insediamenti stabili si ebbero soltanto nel neolitico, epoca in cui si svilupparono le prime abitazioni a forma di dolmen e si diffusero le prime sepolture rituali, segno della progressiva civilizzazione del continente europeo. Gli archeologi hanno ritrovato numerosi resti sparsi nell’isola, in particolare nell’area di La Hougue Bie, riscontrando importanti indizi che attestano come l’isola di Jersey fosse già in contatto con i villaggi della costa francese settentrionale e di quella inglese meridionale.

Dei primi secoli di storia, fino ad arrivare all’XI secolo, sappiamo ben poco dell’isola. Si tramanda che Jersey fosse già conosciuta dai Romani e da essi chiamata Caesarea, anche se non si menzionano importanti insediamenti urbani o militari.

All’inizio del Medioevo, comunque, tutte le isole del Canale, denominate Lenur, furono invase dai Bretoni, nel corso dei loro spostamenti dalla Bretagna verso l’Inghilterra. Dal punto di vista socio-culturale si ebbe una svolta con l’avvento del Cristianesimo nelle isole del Canale. Secondo la tradizione, la nuova dottrina religiosa, così estranea ai rituali celtici, dai quali pure attingerà numerosi elementi, fu portata a Jersey da Saint Helier, originario della città di Tongeren, al giorno d’oggi compresa nello stato belga. Non a caso la città principale dell’isola porta proprio il nome di quel santo.

Durante il periodo dell’effimera riunificazione dell’Europa occidentale ad opera di Carlo Magno, all’inizio del nono secolo, lo stesso imperatore del Sacro Romano Impero mandò alcuni suoi ambasciatori nell’isola, in quel tempo chiamata Anga o Angia, così come riportato in diversi manoscritti.

L’attuale denominazione della maggiore tra le isole del Canale della Manica, secondo gli studiosi, si diffuse dopo le scorribande vichinghe tra il X e l’XI secolo.

Il termine Jer o Jerri derivamolto probabilmente da un’antica parola norrena, aro, traducibile come “terra”, oppure, secondo una minoranza di esperti, da jarl che significa “contea”, a cui si aggiunge il suffisso ey indicante “isola”.

Sotto il profilo politico, Jersey e tutte le altre isole del Canale rimasero legate alle sorti del ducato di Normandia a partire dal 933, quando il duca Guglielmo I attaccò con le sue truppe la vicina penisola di Cotentin. Più di un secolo dopo, nel 1066, dopo la celebratissima e famosa battaglia di Hastings, Guglielmo II di Normandia diventò anche re di Inghilterra, anche se continuò a goverrnare i territori francesi tramite vassalli in maniera autonoma. All’inizio del tredicesimo secolo iniziò per Jersey un periodo molto confuso e fluido, in quanto l’isola diventò teatro di continue contese tra l’Inghilterra e la Francia, rappresentando un punto d’approdo strategico per la risoluzione dei frequenti conflitti. Con il Trattato di Parigi del 1256 il re di Francia fu costretto a rinunciare alle proprie pretese sulle isole del Canale, mentre il re d’Inghilterra rinunciò ai suoi diritti sulla Normandia, mantenendo, tuttavia, il titolo di Luogotenente/Governatore e Balivo sulle isole del Canale. In pratica il sovrano inglese estese il proprio dominio de facto alle isole. Nei secoli successivi l’isola di Jersey fu ancora al centro di sanguinose battaglie tra Inglesi e Francesi, venendo occupata da questi ultimi in varie occasioni, anche per lunghi periodi, come nel corso della Guerra dei Cent’anni e della Guerra della Due Rose.

Nel XVI secolo, con lo sviluppo della polvere da sparo, per gli abitanti di Jersey, ormai convertiti alla religione Protestante, fu necessario dotarsi di fortificazioni sempre più consistenti, come l’Elizabeth Castle che, come vedremo in seguito, costituisce una delle attrazioni più importanti dell’isola. Dopo il periodo di guerra civile che divise l’Inghilterra, i cui effetti si fecero sentire anche nelle isole del Canale, fu proprio nella Royal Square della località più importante di Jersey, la già menzionata St Helier, che nel 1649 Carlo II fu proclamato re d’Inghilterra.

In segno della sua fedeltà, Carlo II attribuì al balivo e governatore di Jersey estesi possedimenti nelle nuove colonie americane, nel territorio che poi diventerà uno degli Stati Uniti, denominato per le sue origini New Jersey. E proprio tra il XVII ed il XVIII secolo molti abitanti delle isole del Canale migrarono nell’America settentrionale, fondando importanti empori commerciali, soprattutto nell’ambito della vendita del pesce.

Nel 1771 il balivato di Jersey ottenne prerogative particolari nell’ambito del Commonwealth che gli garantivano una certa indipendenza dal punto di vista legislativo ed amministrativo. Durante gli ultimi decenni del Settecento a Jersey si diffuse la setta dei Metodisti, con la conseguenza che insorsero forti contrasti con le autorità, in quanto la loro credenza religiosa precludeva la contemporanea appartenenza alla milizia locale.

Nell’Ottocento l’isola di Jersey si distinse come importante porto di produzione di imbarcazioni, arrivando ad essere il quarto per ordine di fatturato nell’ambito delle isole britanniche. Gli orrori della seconda guerra mondiale non risparmiarono neanche le isole del Canale che furono occupate dai Tedeschi tra il 1940 ed il 1945.

Si stima che in tale periodo furono evacuati circa 8000 cittadini dell’isola, mentre più di 1000 furono deportati nei campi di concentramento in Germania, di cui un certo numero fu giustiziato, perchè cercò inutilmente di opporsi al dominio nazista.

Politica e organizzazione

L’organizzazione attuale del balivato di Jersey presenta alcune particolarità strutturali che lo distinguono dal resto dell’amministrazione vigente nel Regno Unito.

La legislatura è retta dal cosiddetto “States of Jersey”, una sorta di parlamento composto da 51 membri, a composizione mista e ad elezione differenziata (10 senatori, 12 conestabili e 29 deputati, a cui si aggiungono cinque membri, senza diritto di voto, nominati direttamente dalla Corona (il Balivo, il Luogotenente governatore, il decano, l’avvocato ed il comandante della milizia locale).

Il potere esecutivo è retto dal Capo dei Ministri. Vi è una curiosità storica assolutamente interessante: per tradizione consolidata, il sovrano britannico ha dominio sull’isola per il suo antico titolo di Duca di Normandia, anche se nell’uso comune è scarsamente usato, in quanto richiamerebbe un territorio compreso nella giurisdizione di un altro Paese, la Francia, potendo comportare non poche frizioni nazionalistiche e diplomatiche.

Nell’isola di Jersey si parla sia l’inglese che il francese, anzi per tradizione consolidata nell’idioma gallico si usa ancora redarre alcuni documenti, come i testamenti ed altri atti notarili.

Un altro aspetto singolare di Jersey è la sua suddivisione amministrativa in dodici “parrocchie”, ciascuna con competenza su un tratto di costa e con nomi che richiamano antichi santi o venerabili cristiani.

Le attrazioni

La prima volta che appresi dell’esistenza dell’isola di Jersey ero bambino e chi me ne parlò mi descrisse con entusiasmo le bellezze naturali del posto, il clima mitigato dalla Corrente del Golfo, il gioco delle maree e la straordinaria fioritura in quasi tutte le stagioni. Mi ripromisi di andarci. Dopo tanti anni ho visitato l’isola per due volte e devo dire che ha superato ogni aspettativa. E dalle informazioni acquisite, mi resi conto che la verde isola di Jersey vantava ancora altri primati: è la più estesa e più meridionale delle isole del Canale, nonché possiede più spiagge ed ore di sole che in ogni altro posto dell’arcipelago britannico. La vicinanza alla costa della Normandia, ed in particolare alla suggestiva città di Saint Malò ed alla favolosa Mont Saint Michel, ne rende facile il raggiungimento con un comodo aliscafo. In realtà se volessimo disegnare l’isola, ne ricaveremmo un ridente altopiano che declina verso gole e baie sabbiose nella parte meridionale e verso ripide scogliere nella zona settentrionale. Le valli che si estendono all’interno sono popolate da numerose fattorie, in cui spicca una peculiare razza di bovini sviluppatasi fuori dall’isola a partire dai primi decenni del secolo scorso.

La razza di bovini, chiamata proprio Jersey, si diffuse rapidamente soprattutto nei Paesi del nord Europa e negli Stati Uniti, fino a diventare al giorno d’oggi la seconda razza produttrice di latte naturale a livello mondiale, potendo contare sulla proliferazione di circa sei milioni capi di bestiame.

Le modeste dimensioni dell’isola, che si estende 14 chilometri in larghezza e soltanto 8 in lunghezza, consentono di visitarla pressochè interamente in qualche giorno.

Come già anticipato, il fulcro di Jersey è la sua capitale St Helier, di cui colpisce soprattutto l’anima bilingue, con alcuni luoghi indicati in inglese ed altri in francese, in una commistione culturale apparentemente armonica che, invece, testimonia la secolare rivalità tra le due nazioni. Il porto turistico è accogliente e pieno di placide barche, dove un tempo era fiorente un non troppo nascosto commercio di contrabbando. Proprio davanti al porto di St Helier, su un’isoletta, sorge l’Elizabeth Castle, fondato alla fine del sedicesimo secolo per scopi difensivi. Nei giorni di bassa marea sarebbe possibile raggiungere il castello a piedi, perchè l’acqua può arrivare a ritirarsi completamente, consentendo ai visitatori di godersi una bella passeggiata sul terreno brullo e roccioso. Ma il fenomeno delle maree, come accade su tutta la costa della Normandia, può cambiare velocemente e da suggestivo può perfino diventare pericoloso. Ecco perchè ci sono due imbarcazioni pronte ad ogni evenienza, affettuosamente denominate Charming Betty e Charming Nancy, sulle quali sono collocati piccoli veicoli a motore, per trasportare i turisti quando la marea è troppo bassa.

Con i suoi circa 28.000 abitanti, St Helier si presenta come un grande villaggio.

La sua strada principale, King Street, è tipica della provincia britannica con case basse colorate e vetrine a bovindo che conservano un aspetto vagamente retrò. Quando si arriva nella già citata Royal Square, dove gli Inglesi domarono le ultime velleità dei Francesi di impadronirsi dell’isola, i fori dei proiettili ancora visibili, lasciati a bella posta sulle pareti del Pub Pierson, ci riportano indietro nel tempo.

Ad est della capitale si scopre un posto davvero delizioso, indicato come Havre des Pas. Si tratta di una zona residenziale, con una schiera di ville colorate affacciate sul mare ed una spiaggia estesa che dirada verso un’acqua cristallina. Gli ingegnosi isolani vi hanno costruito un pontile che conduce ad una piattaforma situata in mezzo al mare, provvista di un’area attrezzata per prendere il sole e di un certo numero di scalette per scendere nell’acqua.

La costa occidentale dell’isola è occupata dalla Riserva Naturale Les Mielles, un paradiso per gli amanti del bird watching, in considerazione delle numerose specie di uccelli che ospita, nonché famosa per i suoi percorsi panoramici. La baia di St.Queen, con le sue spoglie dune di sabbia esposte ai venti del nord, è conosciuta soprattutto nell’ambiente dei surfisti e di coloro che praticano il kitesurf.

Ho trovato molto suggestiva anche la costa settentrionale con le sue aspre scogliere, tra cui una particolarmente imponente, quella di Greve de Lecq ed i suoi pittoreschi villaggi di pescatori come Bonne Nuit Bay e Rozel, con le loro tipiche trattorie dove si possono gustare ottimi piatti a base di pesce, soprattutto di crostacei e di frutti di mare.

Ma uno dei posti più belli di Jersey è senza dubbio il faro di La Corbiere, sull’estremità sud-occidentale dell’isola,dove prima del buio della sera è possibile ammirare fantastici tramonti. E’ di certo un luogo impervio e selvaggio, dove la navigazione è decisamente indisiosa a causa della presenza di rocce e dell’estrema variabilità del gioco delle maree. Si narra, infatti, che su quel tratto di costa siano avvenuti tantissimi naufragi. Sul piccolo promontorio al di sopra del faro, è collocato un piccolo monumento dell’artista  Derek Tristram, in commemorazione di un salvataggio a favore di un catamarano francese avvenuto nel 1995 in quelle acque.

La Corbiere significa “posto dove si riuniscono i corvi”, anche se i corvi si erano spostati dai loro luoghi naturali di riproduzione litoranei, a causa degli invadenti e sempre più numerosi gruppi di gabbiani. Il faro de La Corbiere era stato illuminato per la prima volta nella primavera del 1874 e fu il primo faro delle coste britanniche ad essere costruito con calcestruzzo di rinforzo. Esso è situato su un’isoletta rocciosa a prova di repentini ed inaspettati cambi di marea, Infatti, un caseway collega il faro per controllare lo stato della marea ed un allarme avverte gli ospiti di eliminarlo, quando la marea tende ad aumentare.

Proseguendo sulla costa si incontra il castello che sorge sul Mount Orgueil, in una località chiamata Gorey, ancora in una disordinata e simpatica sovrapposizione di termini inglesi e francesi. In questo luogo, che visitai nelle prime ore del mattino, credo di aver ammirato una delle più belle albe della mia vita, con il paesaggio quasi lunare dove i colori arancio, rosa e perlacei del cielo si riflettevano nell’acqua del mare.

Sulla costa sud-ovest dell’isola si visita la baia di St. Brelade, dove si estende una spiaggia in lungo ed in largo, ben curata e pulita. Avvicinandomi alla riva notai in maniera evidente i segni dell’alta e della bassa marea, osservando i lunghi tratti di sabbia bagnata prima di raggiungere la riva. Il gioiello della baia è, a mio avviso, La Chapelle es Pescheurs o Fishermen Chapel (ancora rigorosamente con indicazioni bilingue), una piccola cappella situata su una collina modesta, risalente ai primi decenni di diffusione della religione cristiana. L’etimologia del nome, secondo gli esperti, potrebbe derivare dalle corporazioni di pescatori esistenti fin dall’epoca medievale nell’isola, anche se non si esclude che il termine pecheurs (pescatori in lingua francese) possa essere l’alterazione fonetica di peches (peccatori), influenzando di conseguenza anche la relativa traduzione in lingua inglese.

Come già anticipato, la costa settentrionale dell’isola di Jersey è fortemente battuta dai venti e presenta una morfologia irregolare e frastagliata, con imponenti scogliere che si ergono a picco sul mare. Anche questa zona può costituire un paradiso per gli amanti del bird watching, poiché negli anfratti vi nidificano numerose specie di uccelli, soprattutto nel periodo dell’anno compreso tra aprile e luglio.

All’estrema punta nord-ovest dell’isola si trovano i resti di un antico castello, in una località chiamata  Grosnez Point. In realtà si tratta di un arco e delle rovine di una cinta muraria che, comunque, rendono il luogo più pittoresco ed accattivante.

Ci sono anche delle scalinate mediante cui si arriva nella parte posteriore del vecchio castello, costruito nei primi decenni del quattordicesimo secolo, al fine di proteggere gli agricoltori dell’isola dai ripetuti attacchi dei marinai francesi. Nei pressi delle rovine del castello, all’inizio dell’Ottocento, fu costruita una piccola stazione di segnalazione automatica, allo scopo di mandare segnalazioni alla molto vicina isola di Guernsey. Attualmente la piattaforma della stazione è utilizzata principalmente dai turisti perchè regala meravigliosi scorci panoramici.

L’isola di Jersey è anche un’esplosione di molteplici tipi di fiori in tutte le stagioni dell’anno. Alla Shell House, nei pressi della cittadina di St Aubin, si trova uno dei più rigogliosi giardini di Europa, completamente costruito con conchiglie provenienti da ogni parte del mondo. Ancora più spettacolare appare la Battle of flowers, una sensazionale esibizione di carri del tutto ricoperti da fiori di diverso colore che accompagna una festa tradizionale, ricca di musica, danze e fuochi d’artificio.

Ma anche la deliziosa isola di Jersey ha le sue ombre e le sue storie drammatiche.

Basti pensare ad Edward Paisnel che, in un periodo di undici anni, tra il 1960 ed il 1971, seminò il panico dando la caccia a bambini innocenti. L’uomo era conosciuto come The beast of Jersey (la bestia di Jersey) e cambiava numerosi orribili travestimenti. Alcuni testimoni riportano che andasse in giro acconciato con una parrucca da donna collocata sopra una maschera di gomma sfigurata in maniera mostruosa, dando origine alle più svariate leggende sull’origine del male da cui era pervaso. Per i fanatici religiosi Edward non era altro che una pedina di Satana, per altri una sorta di lupo mannaro che impazziva sotto gli influssi della luna piena.

Sta di fatto che nel corso di uno spettacolare processo, molti giurarono che Paisnel passava con disinvoltura da uno stato di apparente normalità ad una follia da bestia incarnata. Di giorno appariva come un professionista esemplare, stimato pilastro della comunità locale, mentre la notte si trasformava in un abominevole seviziatore di bambini. Lo spregevole Edward, in più occasioni, aveva supplicato la polizia locale di catturare il terribile mostro, recitando una commedia per fortuna destinata ad essere scoperta. Negli interrogatori venne fuori che Paisnel, nella sua orrenda attività, si era ispirato al fantomatico Gilles De Rais, un famoso nobile occultista francese del quindicesimo secolo che, secondo alcuni esperti, avrebbe ispirato la mitica vicenda, poi divenuta fiabesca, di Barbablù.

Contesa tra Francia e Gran Bretagna

Nel breve excursus storico iniziale abbiamo sottolineato come le isole del Canale della Manica siano state per secoli al centro delle contese tra Francia ed Inghilterra.

Ebbene, possiamo dire che in un certo senso la situazione non è affatto cambiata.

Prima di tutto occorre delineare alcune precisazioni che riguardano, in particolare, l’isola di cui ci stiamo occupando. Jersey, infatti, costituisce un vero e proprio “paradiso fiscale”, improntato ad una policy lassista che rende l’isola il più imponente centro globale finanziario offshore esistente al mondo. Si stima che a Jersey siano controllati circa 400 fondi di investimento, per un valore complessivo di più di 400 miliardi di euro, nonché che le 24 banche presenti nell’isola comprendano depositi per oltre 150 miliardi di euro di utenti stranieri. Ciò è dovuto al fatto che l’imposta sulle società sia pari a zero, tranne che per quelle che offrano servizi finanziari, alle quali è richiesto il 10% dei profitti. In più aggiungo una considerazione di carattere politico. Le isole del Canale, come già detto, dipendendo direttamente dalla Corona e non facendo parte “integrante” del Regno Unito, non hanno mai fatto parte dell’Unione Europea, pur beneficiando di alcune disposizioni comuni.

L’uscita della Gran Bretagna dal mercato comune, dopo la cosiddetta Brexit, per la quale gli abitanti delle isole del Canale non hanno votato al referendum del 2016, ha creato i presupposti per l’insorgenza di notevoli problematiche di carattere commerciale e logistico, in particolare per quanto riguarda la giurisdizione dei pescherecci e la fornitura dell’energia elettrica (l’isola di Jersey attinge al servizio elettrico francese).

Il ricordo più vivo che mi lega a Jersey è un’escursione all’interno dell’isola in un pomeriggio di fine settembre, non molto lontano del Saint Peter’s Village.

L’autunno ha sempre portato con sé un fascino esclusivo e delicato: è una stagione capace di toccare l’anima di artisti, scrittori e poeti. I colori vibranti della vegetazione dell’isola mi trasmisero tante emozioni, abbagliando con giochi di luce e calde immagini, in perfetta sintonia con le sfumature delle tonalità della terra.

Mi addentrai una zona ancora più fitta di arbusti, dove il sole del pomeriggio riusciva a filtrare solo a tratti.

In parte coperto da un felceto, mi parve di scorgere un piccolo dolmen, sul quale credetti di intravedere alcuni caratteri runici, o forse erano soltanto i segni del tempo. Nell’assoluta silenziosa solitudine di quell’istante, alcune immagini del mio passato presero forma, come forgiate da un’antica sapienza druidica, trasfigurandosi in un incerto e nebuloso futuro.

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