Sono molte le storie degne di essere raccontate. Spesso – seguaci che siamo delle abitudini e di quello che si presta solo allo sguardo più superficiale – rischiano di sfuggirne di importanti e rare; un mondo che merita di essere introdotto certo è quello di Salvatore Frega, il quale – bisogna pur dirlo – il suo contributo alla musica lo sta dando da tempo, e non senza buoni frutti. Questo articolo vuole fornire un biglietto d’ingresso all’ ascolto (almeno un po’) consapevole di un genere musicale non inflazionato e di uno dei suoi più giovani esponenti. Procediamo a cornice: diciamo chi è Salvatore; poi approfondiamo il tema ‘musica contemporanea’; infine proponiamo un accennato esercizio all’ascolto.
Salvatore nasce a Cosenza nel 1989, si avvicina al pianoforte all’ età di quattro anni: di lì una climax ascendente che lo porterà nel Settembre 2018 ad un brillante traguardo, ossia all’ottenimento della Medaglia d’ Argento ai GLOBAL MUSIC AWARDS in California, grazie alla sua composizione unAnimes. Cercando su internet, inoltrandosi fra le tante tappe del suo percorso formativo ed artistico, ci si può fare un’ idea della sua caratura, che certo non si è modellata entro una strada facilmente percorribile: le sue composizioni si muovono nel terreno della classica contemporanea, un genere che per certi aspetti sfugge alla sensibilità di molti – com’è normale che sia –, visto e considerato che per inquadrarne il senso estetico e storico serve una visione d’ assieme di quello che è stato il percorso vitale della musica colta occidentale, ovvero della musica classica.
Apriamo dunque una parentesi e chiediamoci innanzitutto: qual è il rapporto fra generi odierni e musica classica? Perché questa impressione che oggi sussistano innumerabili modi di far musica differenti fra loro, ma che, al contrario, per tutto il II millennio d.C. – fino alla metà del ‘900 – sia possibile parlare nei termini di unico macro-genere racchiuso nello stesso nome o quasi? Cosa accomuna tutta quella serie di branche artistiche fra loro vistosamente differenti? Dopotutto la musica da chiesa quattrocentesca richiede artefici melodici, armonici, ritmici totalmente differenti da quella ottocentesca, così come la musica da camera del Settecento non ha molto a che vedere con l’Opera del Novecento: le diversità sono notevoli, paragonabili a quelle che sussistono, per esempio, fra rap e rock o blues e jazz.
Se consideriamo che senza mondializzazione e poi globalizzazione anche la varietà degli stili etnici e nazionali ha avuto in passato maggior possibilità di esprimersi ad ali spiegate, a chi mai è venuto in mente, ad un certo punto, di dire: ‘adesso basta, la musica classica è finita, andate in pace‘? E ancora, perché definirla ‘musica colta’? Per chiarire tutte queste domande può essere utile partire proprio da questo attributo di ‘colta’. ‘Colto’ è colui che ha coltivato un’ ampia conoscenza, e dunque tale da portare con sé un bagaglio di acquisizioni ed esperienze cognitive di cui si è fatto scrupolosamente carico. Paragoniamo la musica al linguaggio verbale di cui ci serviamo quotidianamente: le varietà di scelte ritmiche, melodiche ed armoniche corrispondono ai nomi, ai verbi, agli aggettivi, insomma al contenuto stesso dell’ espressione tramite loquela. Una lingua è ricca e – appunto – colta se fa tesoro del lessico e dei costrutti grammaticali passati, senza che venga a disperdersi totalmente poi molto di quanto progressivamente accumulato (questo processo non prescinde da naturali evoluzioni e mutamenti, naturalmente); allo stesso modo un’arte colta è un’arte ricca di tradizione, autorevole in quanto costituita sulle spalle di moltissimi individui (il che a livello statistico implica che non pochi fra essi rappresentino eccellenze di intelligenza e dedizione) i quali hanno apportato miglioramenti e novità sulla base del lavoro dei predecessori.
La musica classica ha un po’ vissuto questo processo, dal momento che ha osservato una lunga fase di sviluppo e maturazione (il periodo che va da inizio XI a metà VIII secolo, entro cui si sviluppano i nuclei fondamentali di questo sistema comunicativo, ossia il sistema temperato equabile, la disciplina dell’armonia e il sistema tonale), e successivamente un progressivo invecchiamento (il periodo che va da metà VIII a metà XX) del proprio vocabolario, entro un lasso di tempo in cui sono andate esaurendosi le possibilità comunicative che potenzialmente erano intrinseche al linguaggio stesso. Da chi sono state esaurite le possibilità morfologiche e sintattiche della musica occidentale? Da quei compositori considerati geniali proprio per l’ aver avuto il merito di tirare fuori qualcosa che ancora era rimasto inespresso: Bach, Mozart, Beethoven, Brahms, Liszt non sono soltanto stati abili a tirar fuori motivi cantabili e piacevoli, ma anche e soprattutto ad imprimere l’indelebile marchio della loro personalità sui loro lavori, legando ai propri nomi formule e vocabolari musicali da quel momento per sempre ad essi associati. Quel che dunque è accaduto è che nessuno, da un certo punto in poi, riuscisse a inventarsi qualcosa di davvero innovativo senza finire per rispolverare idee già attuate in tutta la loro efficacia.
Che fare dunque, se non si vuole finire per essere semplicemente bravi imitatori di qualcun altro? Le soluzioni plausibili sono due: o si semplifica il linguaggio, o lo si deforma. Le correnti musicali oggi oggettivamente più in voga derivano dall’adozione del primo espediente (perciò fanno uso di un‘armonia e di un sistema tonale semplificati) ed ereditano in qualche misura il ruolo che nei secoli scorsi era spettato alla musica popolare, pur raggiungendo in certi casi livelli di richiesta tecnica – sia esecutiva che compositiva – affatto indifferente, specie nei casi in cui la ripresa delle norme classiche abbia avuto un peso specifico non indifferente (vedasi il jazz o il metal); al contrario, la deformazione dell’ armonia e del sistema tonale classico – il che quindi equivale non a produrre un’ idea di tonalità facilitata, bensì al cercare di non farne percepire alcuna – ha condotto al genere della musica contemporanea.
I fondamenti di questa nuova idea di musica colta furono posti da Arnold Schoenberg, che per primo, con la sua idea di dodecafonia, si poneva un nuovo obiettivo: non già quello di gestire il rapporto secolare fra tensione e distensione tonale (in sostanza il motore della musica tonale, semplificata e non: avete presente quella sensazione di tensione del Tanti Auguri che si avverte al ‘tanti auguri a Luigi’ – per dire – e poi invece quella di rilassamento al finale ‘tanti auguri a te’? Proprio di questo si parla), bensì di utilizzare tutte e dodici le note prima di poterne riproporre una già utilizzata. Lo scopo cambia, e con esso lo fanno gli effetti, ma per nulla scontato rimane far convergere questa nuova funzione in un prodotto efficace e artisticamente valevole.
Ebbene, tornando al punto di partenza, non molti nel corso del tempo hanno deciso di immergersi nella corrente di uno stile difficile e talvolta non apprezzato, uno stile i cui epigoni sono conosciuti prevalentemente dagli appassionati del settore (pensiamo ai vari Berg, Webern, Berio, fino a Salvatore Sciarrino e a Salvatore Frega – tra l’altro allievo anche dello stesso Sciarrino). Frega rappresenta una giovane promessa di cui già è possibile intravedere i caratteri stilistici rappresentativi; e quando un prodotto musicale offre all’ascoltatore la possibilità di familiarizzare con la personalità del compositore, già adempie ad uno dei principali obiettivi – se non il principale – dell’ arte, quello di fungere da canale comunicativo ed espressivo fra individui, di cui almeno uno abbia la funzione di mittente e almeno uno di destinatario.
Prendiamo ad esempio della sua inventiva Alla valle del fiume Crati; questo poema sinfonico si propone un intento programmatico, quello di raccontare un luogo importante per l’ infanzia di Salvatore, che così si esprime al riguardo: ‘”Alla Valle del fiume Crati” [N.d.R. il principale fiume calabrese, il cui nome ha a che fare con Kràtos, la ‘personificazione della potenza’] racconta in musica i ricordi, le emozioni, le speranze che ho potuto vivere negli anni più importanti della mia vita’, e ancora: ‘emozione continua durante la stesura della composizione, un momento intimo che ho vissuto con passione e con tanta gioia.’ Una composizione in cui emerge un vivido amore verso la propria terra natia. Se ad un primo ascolto le qualità che l’orecchio attribuirebbe alla composizione sono legate ad asprezza e dissonanza, prestando più attenzione è possibile rendersi conto della strutturata tridimensionalità di quello che è un vero e proprio paesaggio sonoro, carico di luci, odori e suoni; l’esperienza della musica a programma è tanto più efficace quanto meglio riesce ad innescare un profondo processo sinestetico all’interno del fruitore: se il paesaggio è conosciuto l’esperienza avrà una sua propria valenza, ma la stessa carica visionaria può essere trasmessa anche pensando ad uno spazio immaginario che va delineandosi a poco a poco nella mente.
Si inizia. Entrano gli archi, accompagnati quasi subito da flauti e clarinetti; una tromba, che immediatamente cattura l’ attenzione e fa voltare lo sguardo; i timpani! Cosa sta succedendo? In poche battute si delinea un quadretto ben chiaro. Il fiume scorre rapido, il vento si alza, l’ aria è calda. Entrano anche corni ed arpa, fagotti e tromboni. Stiamo camminando. Avvertiamo una languida fatica, è stato arduo giungere fino ad un’ area così incontaminata, priva di tracce di civiltà. I pensieri si affollano, mentre il sole batte sulla testa e a distanza cogliamo i tratti dei paesi circostanti. Questi scompaiono però dietro gli alberi, avanziamo, ci sentiamo immersi nella natura. Sopraggiungono i piatti. Silenzio. Gli archi si rianimano in un crescente pizzicato, percepiamo sottili odori che in un atto di ritmo quasi tribale ci portano ad immaginare le tradizioni di queste aree. Sentiamo i versi delle cicale, gli uccelli cantano e accompagnano il nostro balzare fra sassi, erba e talora fango, immersi in un caldo che è alleviato dai freddi schizzi del fiume che ci sfiorano le gambe. Adesso il fiume è più ripido, prestiamo attenzione: i ciottoli sono scivolosi, è meglio non avvicinarsi. Al nostro lato destro questo pericolo, al lato sinistro una selva più fitta e tanti suoni, innumerevoli profumi che si mescolano. Tutto si farà sempre più etereo, come in un sogno vissuto in prima persona, e sopraggiungeranno nuove variopinte fantasie, mentre noi acquisiremo crescente familiarità con l’ orchestrazione: proseguendo così nei minuti che scorrono, a poco a poco ogni strumento, ogni formula ritmica e ogni melodia ci descriverà un qualche elemento che gli abbiamo arbitrariamente assegnato: vi sarà un tema per il sole, uno per le cicale, uno per l’ acqua del fiume. Ma proprio quando saremo ormai del tutto immersi, stop. Tutto si concluderà sul più bello, e sperimenteremo nostalgia.
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