Ad invocare il termine cantautore, il pensiero è sempre, e naturalmente, rivolto al passato: questo perché si immaginano immediatamente i pionieri del genere, sicuramente una rappresentanza di nicchia, sia in termini di quantità che, soprattutto, di qualità nella storia della musica italiana. Ma una delle domande più importanti riguardo il cantautorato è se questi esista ancora. Ovvero, se questi cantautori siano dei dinosauri estinti, o esseri mitologici mai esistiti, o se riescano a persistere in un ambiente sicuramente molto diverso da quello delle proprie origini.
La risposta la si può ritrovare in alcuni esponenti che si potrebbero definire stoici: Francesco De Gregori, ad esempio, non ha mai smesso di produrre; oppure artisti come Vinicio Capossela, annoverato oramai tra i classici di genere, pur appartenendo ad una generazione successiva rispetto ai primi esponenti.
E tra i giovani, o per lo meno contemporanei, esiste un rappresentante di questo genere artistico che sembra esser stato colpito dal meteorite della musica pop?
L’immaginazione, in questo caso, è ben poca e, probabilmente, la maggior parte di voi focalizzeranno su un uomo barbuto, brizzolato, sulla quarantina, con una voce arrabbiata ma sensibile, triste eppure dolce.
Il suo nome è Dario Brunori, in arte Brunori SAS, una delle ultime speranze del moderno cantautorato, sopravvissuto e anzi colono di uno stile musicale che raccoglie i semi del passato per piantarlo poi in un terreno di novità, in grado di dare dei frutti musicali a fiori un po’ indie, a tratti folk, ma soprattutto cantautoriali, ovvero quella capacità di creare arte, lirica e strumentale, così profonda da far riflettere e indagare sui temi esistenziali e sociali, di non fermarsi alle più semplici apparenze, ma di mobilitare pensieri, idee e patemi per riuscire a sviscerarli, analizzarli, affrontarli e, spesso e volentieri, sdrammatizzarli e sdemonizzarli.
Con la sua capacità di pescare tra i ricordi dell’infanzia ed adolescenza, in mezzo alle emozioni più difficili e pesanti da indossare, e con una costante e diretta sincerità intrisa di un pizzico di ironia calabrese, Brunori SAS emerge nel mare degli artisti contemporanei come un faro da seguire nel buio della produzione musicale nostrana: il suo saggio utilizzo del passato, tra la poesia di un De Gregori, la fantasia di Lucio Dalla, la forza roca del menestrello alla Rino Gaetano, le qualità teatrali d’influenza Gaberiana, si rispecchia nel presente con una lavoro musicale sempre alla ricerca di nuovo limite da superare, partendo da una base che potrebbe anche esser definita indie, per poi maturare e sfociare in una musica che non ha per forza bisogno di un’etichetta di genere, ma che, sicuramente, si fa piacere anche da coloro che del cantautorato proprio ignorano l’esistenza e le origini.
Ed è anche per questo che il ruolo e il peso di Brunori, attualmente per gran parte sulle sue spalle, è quello di collante tra il classicismo dei grandi ed una nuova corrente, o speranza musicale, che possa andare a interpretare i tempi moderni con quell’acume, sensibilità e cultura tipica, e rara, dei grandi cantastorie.
Per conoscere meglio il suo viaggio musicale, che ha sicuramente raggiunto l’apice con l’album A casa tutto bene (2016, disco di platino), partendo dall’inizio di Vol.1 (2009, esordio a 30 anni suonati), ecco una lista di 10 canzoni (+1) che rappresentano e scoprono uno dei più attenti narratori di questa generazione.
Italian dandy (da Vol.1, 2009)
Spiega lo stesso Brunori: Italian Dandy è nata esattamente come parodia bonaria al cliché dell’artista maledetto. E’ però al contempo un tributo ad un immaginario che ha esercitato ed esercita su di me un grande fascino, pur essendone agli antipodi nel mio quotidiano. Da giovincello ero un amante appassionato di poeti quali Verlaine e Rimbaud, e riempivo i miei diari di poesie tormentate e romantiche. Quando mi capita di rileggerle mi faccio grasse risate, soprattutto se penso che magari le scrivevo con le de fonseca ai piedi o la maglia di lana ficcata negli slip. E’ la vita che sognavo a 15 anni, filtrata dall’ironia sfottente del mio sguardo dannatamente provinciale.
Amami come se fossimo ancora fra calde lenzuola nel letto dei tuoi
Guardia ’82 (da Vol.1, 2009)
Iconica, nostalgica e intima visione dell’infanzia e adolescenza, segnata dalle estati al mare, dalla spensieratezza, ma anche dal primo approccio all’altro sesso, ricordato con la stessa forza e malinconia di quei tempi così giovani e formativi, da ripescare ad ogni fine Agosto, quando ci si guarda indietro e riaffiorano i primi amori, le prime volte, i giochi più cari, in un senso di intimità che prende la forma, il colore e gli odori, di una spiaggia, una chitarra, un’antica emozione.
Il 31 d’agosto c’è una storia che nasce e un’estate che muore
Lei, lui, Firenze (da Vol.2 – Poveri Cristi, 2011)
Racconta l’artista: Lei, lui, Firenze è una canzone che avrei voluto scrivere da tempo, quindi forse tra le canzoni del disco è quella un po’ più premeditata, anche se nata in modo naturale, così come nascono tutte le mie canzoni. Completa sia un discorso “cinematografico” – una storia che non doveva avvenire solo nell’ambito del povero Cristo classico, come poteva essere Mario – ma è anche qualcosa di più, una situazione chiamiamola di “noia borghese”, abbastanza comune alla nostra generazione.
Ma stasera ho voglia di girare ancora un altro finale per noi che non ci amiamo più
Arrivederci tristezza (da Vol.3 – Il cammino di Santiago in taxi, 2014)
Dallo stesso Brunori: È la canzone madre che ha generato quasi tutte le altre. L’ho scritta in dieci minuti in preda ad una sorta di ribellione ironica verso il mio cervello razionale e la mia tendenza ad analizzare, a calcolare, a ridurre tutto a materia e numeri. La marcia finale è quasi un trionfo, seppur parziale, del sentimento sulla ragione.
Assiomi e teoremi non valgono a niente se l’occhio non vede che il cuore non sente più niente
Kurt Cobain (da Vol.3 – Il cammino di Santiago in taxi, 2014)
La spiegazione diretta del cantautore: Brano stimolato dalla visione di un documentario sugli ultimi giorni di vita del leader dei Nirvana. Una storia, la sua, che mi ha sempre colpito, al di là dell’ovvio aspetto tragico, soprattutto perché trovo sia emblematica, così come la vicenda di Marylin, di quanto Pasolini diceva circa il successo: “Il successo non è niente. Il successo è l’altra faccia della persecuzione. E poi il successo è sempre una cosa brutta per un uomo.” Il pezzo richiama la necessità di andare “dietro le quinte”, di osservare l’altalena fra profondità e superficie. Addormentarsi felici o soffrire per restare svegli?
Vivere come sognare ci si può riuscire spegnendo la luce e tornando a dormire
La verità (da A casa tutto bene, 2016)
Il cantautore si confessa così: È un brano in cui si concentrano tutte le mie paure e le ansie che in quel momento stavano aumentando proprio perché si stava avvicinando la data delle registrazioni. È una canzone sulla rimozione del dolore, sulla necessità di non identificarsi troppo con quello che si fa. Non identificarsi troppo con un ruolo perché tutto passerà. L’analisi completa del brano è qui.
Te ne sei accorto, sì che passi tutto il giorno a disegnare quella barchetta ferma in mezzo al mare e non ti butti mai
L’uomo nero (da A casa tutto bene, 2016)
Sul testo, racconta Dario Brunori: Visto il tema, era facile cadere nella retorica anacronistica del cantautore militante, in un’invettiva scontata contro il dilagare di nuove forme di intolleranza, contro le piccole e grandi derive xenofobe degli ultimi anni. In realtà non mi interessava tanto parlare del fenomeno in sé, quanto del fenomeno in me. Traccio la condizione di un uomo che si chiede cosa è giusto fare di fronte a un’apparente involuzione dell’essere umano, al ritorno di fiamma di visioni ideologiche e morali che ci piacerebbe pensare morte e sepolte. C’è una buona dose di amarezza verso il mondo intorno, ma anche la denuncia allo specchio di quell’approccio ignavo che troppo spesso tende a non occuparsi concretamente di ciò che accade fuori dal proprio cortile, a ignorare certi fenomeni, a ridicolizzarli o a non dargli eccessivo peso.
E io, io che pensavo che fosse tutta una passeggiata e che bastasse cantare canzoni
per dare al mondo una sistemata
Canzone contro la paura (da A casa tutto bene, 2016)
Canzone dentro l’idea stessa di canzone e cantautorato: non solo musica, intrattenimento, ma una costante in grado di creare l’appiglio su cui potersi rialzare dopo l’ennesima caduta, difficoltà, in un mondo che a volte, in un mezzo a un continuo disordine, dolore e rumore, necessita di una via di fuga per ritrovarsi e riabbracciare la propria natura, origine, essenza. E a volte per farlo basta davvero solo una canzone.
Canzoni che ti salvano la vita che ti fanno dire no, cazzo, non è ancora finita!
Al di là dell’amore (da Cip!, 2020)
Il testo della canzone è spiegato dall’artista: è un canto etico e poetico a tre voci che, partendo da una riflessione sociale, si interroga sulla sempiterna contesa fra ciò che pensiamo sia Bene e ciò che pensiamo sia Male. La stessa struttura del testo è costruita come alternarsi di stati d’animo in attrito, seppur armoniosi. Il primo canto, quello delle strofe, è un disincanto, un ribollire di sarcasmo spazientito, amarezza e rimpianto. Un’invettiva d’impulso contro quella parte di umanità che sembra aver perso per strada i suoi connotati fondamentali. Il secondo, quello dei ritornelli, è la voce di una saggezza antica che invita alla riflessione, al prendere distanza senza distacco, a guardare le cose da una prospettiva più ampia, panoramica, un invito a lavorare anzitutto su sé stessi piuttosto che limitarsi a scagliare ogni volta la prima pietra. L’esortazione finale “difendimi al di là dell’amore” si libra sopra i versi precedenti come una specie di preghiera laica. Il tentativo di sintetizzare in quattro parole un’etica intuitiva appannaggio di tutti, che prescinda dai torti e dalle ragioni, dalle ideologie, dai singoli punti di vista. Un comandamento d’amore espresso al di là dell’amore stesso.
Tu devi solo smetterla di gridare e raccontare il mondo con parole nuove, Supplicando chi viene dal mare di tracciare di nuovo il confine
Per due che come noi (da Cip!, 2020)
Racconto di una lunga relazione arrivata al punto interrogativo, il quale porta a guardarsi indietro, a cercarsi nei primi giorni della passione, dell’innamoramento che poi diventa amore, qualcosa di più solido e duraturo, ma anche di difficile gestione, con gli spettri di quotidianità e noia sempre più presenti. Una canzone che traccia la paura di perdersi nei meandri del tempo di un rapporto che, per sussistere ancora, ha bisogno di estrema attenzione, presenza, semplicità. Un invito alla resistenza, al raggiungere un nuovo futuro punto di incontro per potersi ancora guardare indietro, negli occhi e avanti, ancora e ancora e sapere che per non perdersi, bisogna tenersi.
E senza perdere il senso dell’orientamento quando fuori tira vento
Bonus track: Un errore di distrazione (singolo, 2020)
Colonna sonora del film “L’ospite” (2020), è una descrizione incredibilmente attenta e profonda dei meccanismi che possono portare, irreparabilmente e improvvisamente, alla fine di un amore. La paura di fare un passo falso, di smarrirsi, di commettere quell’errore di distrazione fatale. Ma è anche un invito a riflettere sulla natura umana, erronea ma non per questo sbagliata, su come sia facile e naturale la perdita e la fine, ma anche il coraggio, anzi l’attenzione, l’onestà e sincerità, di sapersi salutare.
Quel giorno capirai che la passione ha una scadenza, che è soltanto una scemenza cercare il cielo in una stanza
Ed ecco una playlist temporale per scoprire meglio, album dopo album, la bellissima maturazione artistica di Brunori SAS: