Midnight’s Children: un’allegoria dell’India tra doppi, alter ego e controparti

Posted by

Midnight’s Children (I figli della Mezzanotte), vincitore del Booker Prize nel 1981, fu il primo successo letterario di Salman Rushdie, dopo il meno fortunato Grimus. Generalmente definito come un esempio di realismo magico, contiene già molti degli elementi ricorrenti nella poetica di Rushdie: l’India attraverso il ventesimo secolo, la visione distaccata dell’islam e delle religioni in generale, e soprattutto una sorta di manicheismo, un equilibrio tra bene e male vagamente definibili, il cui scontro viene incarnato dal protagonista e dal suo avversario, o da due protagonisti (esempi topici sono Gibreel Farishta e Saladin Chamcha in The Satanic Verses, o Umeed Merchant e Ormus Cama in The Ground Beneath Her Feet).

L’equilibrio degli opposti

In un misto di finzione e storia, verosimile ed immaginario, Midnight’s Children è narrato in prima persona da Saleem Sinai, uno dei 1000 nati subito dopo la mezzanotte del 15 agosto 1947, giorno dell’indipendenza dell’India dall’Impero Britannico, i quali possiedono tutti una sorta di potere magico o sovrannaturale. Il perfetto equilibrio tipico delle opere di Rushdie si presenta qui anche in questa veste, essendo il giorno dell’indipendenza indiana l’esatto centro cronologico dell’opera: Saleem racconta infatti la storia della sua famiglia, partendo dal nonno Aadam Aziz nel 1915, 32 anni prima della fatidica notte, fino ad arrivare alla fine degli anni ’70, cioè 32 anni dopo. D’altra parte, posizionare l’evento al centro cronologico degli eventi non fa che rafforzarne l’importanza ideale all’interno della narrazione.

Lungo tutto il romanzo, coppie di personaggi vengono presentate in opposizione più o meno diretta tra loro. Essendo la storia di Saleem, come vedremo più avanti, un’allegoria della storia dell’India, anche questi scontri acquistano dei precisi significati allegorici: tradizione ed innovazione (il barcaiolo Tai ed Aziz, nonno di Saleem); musulmani ed indú (Saleem e Shiva); visioni diverse dell’islam (ancora Aziz e la moglie Naseem). In un certo senso, il contrasto è il rapporto più comune tra i personaggi e, così come gli eventi nella vita di Saleem hanno il loro riflesso nella storia dell’India, così queste frizioni si rispecchiano nella sua società: un continuo succedersi di lotte tra differenti etnie, credi o partiti politici.

Aadam Aziz e Tai

All’inizio della storia, Aadam Aziz è appena tornato nel Kashmir dall’Europa, dove si è laureato in medicina. Ne viene subito presentato il rapporto con Tai, un vecchio barcaiolo, che conosceva già prima di lasciare l’India. Al suo ritorno, la loro amicizia si rompe, in apparenza senza motivo: Tai sembra arrabbiato con Aadam per la sua borsa “di pelle di maiale che ti rende sporco solo a guardarla”. La contrapposizione  tra i due viene poi dichiarata dal narratore:

“[Tai] was the living antithesis of Oskar-Ilse-Ingrid’s beliefs in the inevitability of change… a quirky, enduring familiar spirit of the valley. A watery Caliban, rather too fond of cheap Kashmiri brandy”.

Oskar, Ilse ed Ingrid erano degli anarchici amici di Aadam in Germania. Lo scontro tra lui e Tai può così essere visto in due modi: prima di tutto, possono rappresentare il vecchio  ed il nuovo. A parte la loro età, Tai sa tutto sulla storia e le tradizioni indiane, mentre Aadam porta nuovi modelli di pensiero. Tai è l’India del passato, che cerca di preservare l’antico sapere e lo stile di vita dal cambiamento; Aadam ne è l’antitesi, il nuovo, il giovane che si lascia le tradizioni alle spalle (il romanzo si apre con Aadam che decide di smettere di pregare dopo essersi fatto male al naso sbattendo contro il suolo). Di nuovo, il narratore dice apertamente:

“I have Tai-for-changelessness opposed to Aadam-for-progress”.

L’altra ottica in qui inquadrare ciò che Tai prova verso Aadam è il rapporto con l’Occidente, ancora più evidente dopo il matrimonio tra Aziz e Naseem, la quale “prosegue” lo scontro. In un’occasione, i due litigano dopo che Aadam licenzia il tutore musulmano dei loro figli; in un’altra, nel letto coniugale, lui si aspetta che lei “si muova come una donna”.

Saleem e Shiva: doppi e controparti

“…but two of us were born on the stroke of midnight. Saleem and Shiva, Shiva and Saleem, nose and knees and knees and nose…”.

Shiva è un altro bambino della mezzanotte, nato nello stesso ospedale di  Saleem. È il bambino con cui l’infermiera Maria Pereira aveva scambiato Saleem, per cui diventa il figlio del cantante indú Wee Willie Winkie. Anni dopo, diventerà un soldato e darà la caccia agli altri Figli della Mezzanotte per conto di Indira Gandhi.

Anche l’opposizione tra Saleem e Shiva è espressa esplicitamente, fin dall’inizio – o meglio, ancor prima – della loro vita: era stato predetto ad Amina Sinai, madre di Saleem (o di Shiva?), che avrebbe avuto un figlio con due teste, seppure ne avrebbe vista solo una, e che “ci saranno ginocchia e naso, naso e ginocchia”. I due hanno specularmente gli stessi genitori: l’educazione di Saleem corrisponde al sangue di Shiva, e viceversa.

La profezia parlava di entrambi: il naso enorme è una caratteristica di Saleem, mentre le ginocchia, anch’esse sproporzionatamente grandi, appartengono a Shiva. D’altro lato,

“to Shiva, the hour had given the gifts of war (of Rama, who could draw the undrawable bow; of Arjuna and Bhima; the ancient prowess of Kurus and Pandavas united, unstoppably, in him!)… and to me, the greatest talent of all – the ability to look into the hearts and minds of men”.

Shiva è tutto ciò che Saleem non è: è un indú; usa la forza fisica (che le ginocchia simbolizzano); è straordinariamente fertile e genera figli con ogni donna che incontra. Al contrario, Saleem è musulmano; usa le sue facoltà “psichiche” (pur dopo averle perse, sarà comunque in grado di “annusare” le emozioni); a causa di sua sorella, non può avere rapporti con altre donne (e viene comunque sterilizzato dagli uomini di Indira Gandhi). Saleem e Shiva sono chiaramente complementari. A proposito della loro fertilità, i due sono l’inverso dell’altro anche su un piano più astratto: Saleem considera come propri padri e madri più persone; così, mentre Shiva è prolifico in discendenti, lui lo è in antenati.

Infine, i due hanno anche un figlio “in comune”: dopo la morte di Parvati, Saleem adotta il figlio di lei e Shiva. In un certo senso, le cose “vanno al loro posto”:

“He was the true great-grandson of his great-grandfather…”

In questo senso, l’identità di Shiva può generare vari dubbi: Saleem e Shiva sono due personaggi diversi? Sono nati lo stesso giorno alla stessa ora, hanno gli stessi antenati e la stessa discendenza e, soprattutto, erano stati profetizzati come un’unica persona e sono complementari. Potrebbero quasi essere considerati come due lati dello stesso personaggio.

Il significato più evidente della loro opposizione è religioso: Shiva rappresenta gli indú e Saleem i musulmani. Ma Shiva rappresenta anche le fazioni violente, gli estremisti (sia indú, sia musulmani), mentre Saleem è un’immagine dei moderati: questa è forse la più rilevante allegoria del loro essere due diversi, ed opposti, lati dell’India.

Tuttavia, c’è un livello ancora più profondo nella loro dualità. Sappiamo che senza lo scambio di Mary, Saleem sarebbe stato Shiva e Shiva sarebbe stato Saleem. In altre parole, Saleem sarebbe stato indú e Shiva musulmano; pertanto, i due sono ciò che sono unicamente come conseguenza di ciò che altri fanno e sono: ha davvero senso, quindi, combattere a causa della religione o delle idee politiche? Questa è probabilmente la critica più forte alla situazione indiana (e forse, in un’ottica più ampia, uno sguardo sulla condizione umana in generale) in tutta l’opera.

La molteplicità di Saleem

“There will be two heads – but you shall see only one…”

Saleem e l’India sono nati esattamente nello stesso momento ed a volte, lui quasi scambia il Paese per se stesso:

“…newspapers celebrated my arrival, politics ratified my authenticity”

Il legame tra Saleem e l’India è anticipato dalla lettera che riceve dal primo ministro Nehru in quanto “Bambino della Mezzanotte”:

“We shall be watching your life with the closest attention; it will be, in a sense, the mirror of our own”.

Come detto in precedenza, molti eventi nella storia indiana hanno un equivalente in quella di Saleem. Perfino la sua faccia sembra una mappa dell’India, come gli dice Zagallo, il maestro di geografia:

“In the face of this ugly ape you don’t see the whole map of India? […] See here – the Deccan peninsula hanging down! […] These stains […] are Pakistan! These birthmark on the right ear is the East Wing; and these horrible stained left cheek, the West!”

La profezia di Amina (“ci saranno due teste”) potrebbe riferirsi anche a questa duplicità. Saleem è una metafora dell’India, la rappresenta. Così come i cambiamenti nella sua vita sono cambiamenti nella storia indiana, anche la loro ascendenza coincide: è stato cresciuto da una famiglia musulmana; senza l’intervento di Mary Pereira, sarebbe stato il figlio degli indú Willie Winkie e Vanita; il suo vero padre è in realtà Methwold, un ricco inglese. Il ruolo di Mary Pereira è particolarmente interessante:

“Of course I have forgiven Mary her crime; I need mothers as well as fathers, and a mother is beyond blame”.

Mary non è madre di Saleem solo perché è lui a dirlo, ma perché senza il suo intervento, lui non sarebbe mai stato cresciuto dalla famiglia Sinai: Mary è sua madre perché lo ha reso chi è.

Riassumendo: Saleem è culturalmente musulmano, ha sangue indú ed inglese, ma deve tutto ciò che è all’azione di una donna cattolica.

Ecco la vera essenza della molteplicità di Saleem: figlio di molte persone, lui è molte persone. le “due teste” della profezia non vanno quindi viste come due in senso letterale, ma come “più di una” – molteplici.

Un omaggio all’India

Parafrasando Borges, Saleem è se stesso e le sue circostanze:

“Who what am I? My answer: I am the sum total of everything that went before me, of all I have been seen done, of everything done-to-me. I am everyone everything whose being-in-the-world affected was affected by mine. I am anything that happens after I’ve gone which would not have happened if I had not come. Nor am I particularly exceptional in this matter; each ‘I’, every one of the now-six-hundred-million-plus of us, contains a similar multitude. […] To understand me, you’ll have to swallow a world.”

Allo stesso modo, l’India è il risultato di tutta quella moltitudine: così come lui ha bisogno del naso di Aziz, del gin di suo padre, della riga in mezzo di Methwold, delle canzoni di Wee Willie Winkie e del crimine di Mary Pereira, così l’India ha bisogno dei musulmani, degli indú, dei colonizzatori e dei cristiani per essere ciò che è. Come Saleem, anche l’India è “un mostro dalle molte teste” e, aldilà delle lotte e degli scontri tra i diversi gruppi etnici o religiosi, l’intero romanzo può essere visto come un omaggio all’India, alla sua storia, alla sua cultura; in breve: alla ricchezza dei suoi molteplici lati.

Doppi extra-testuali: Saleem e Rushdie stesso

Infine, è impossibile non menzionare il rapporto tra Rushdie stesso e Saleem, che ne è una sorta di alter ego (altra dimensione della sua molteplicità). Sono entrambi nati nel 1947 in famiglie musulmane provenienti dal Kashmir, ed entrambe le famiglie si trasferiscono in Pakistan nel 1964. Questo è l’anno in cui le due vite prendono direzioni diverse, in quanto Rushdie si trasferisce invece a Londra. Un altro importante elemento in comune è la figura paterna: come Ahmed Sinai, uomo d’affari che comincia a bere in seguito al fallimento, anche il padre di Rushdie ebbe problemi di alcolismo e ruppe i rapporti con il figlio dopo la pubblicazione di Midnight’s Children. La molteplicità di Saleem acquista così un’ulteriore dimensione, arrivando addirittura al di fuori del romanzo.

Miguel Forti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.