Nel Marzo del 2020, l’immagine di papa Francesco che celebra la Messa in una Piazza San Pietro vuota, sul sagrato della basilica, in un drammatico momento di preghiera in tempo di coronavirus, ha destato angoscia e stupore in tutto il mondo. A rendere ancora più significativo e cinematografico lo scenario, è stata la collocazione in vista dell’icona della salus populi Romani ed il Crocifisso di San Marcello, considerato dispensatore di miracoli. Mai prima dei giorni scorsi, la benedizione “urbi et orbi”, in una piazza anche bagnata dalla pioggia, aveva unito i destini del Vaticano e della città di Roma a quelli di tutto il mondo. E le parole iniziali del pontefice hanno testimoniato gli eventi che stiamo vivendo, come se si trattasse di un incubo tratto da un’opera letteraria o da una fiction figurativa:
“Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante…”.
Come è ben noto, Città del Vaticano forma una città-stato al centro di Roma, cuore della Chiesa Cattolica Romana. Dal punto di vista giuridico, si tratta dell’ultimo fra gli stati a conservare un regime anche formalmente “assolutista”, in quanto il papa, considerato vicario di Cristo sulla terra, detiene la massima autorità nei tre principali poteri individuati da Montesquieu a garanzia dei principi democratici: legislativo, esecutivo e giudiziario. Il piccolo stato di Città del Vaticano è stato istituito nel 1929, a seguito dei Patti Lateranensi che chiusero definitivamente la delicata Questione Romana tra la Chiesa Cattolica ed il nuovo stato italiano
Il Vaticano ospita la residenza dei papi dal 1377, anche se nei secoli successivi vi sono stati periodi di soggiorno presso il Quirinale. Prima che la corte pontificia si trasferisse ad Avignone (1309-1377), per i disordini sociali scoppiati nella Roma del tardo medioevo, la sede del papato era il Laterano. Dall’ultimo scorcio del quattordicesimo secolo, ogni papa, con modalità diverse, a secondo del periodo storico contingente, ha contribuito ad abbellire la propria residenza, per renderla sempre più adeguata a simboleggiare l’esercizio del potere divino.
La scelta del colle vaticano non fu casuale, in quanto la leggenda vuole che, nel periodo dell’imperatore Nerone, più o meno tra il 64 ed il 67 d.C., in questo luogo sia stato crocifisso, a testa in giù, per non eguagliare il Maestro, San Pietro, colui al quale era stata affidata la missione di fondare la Chiesa, come corpo mistico di Cristo. Alcune fonti raccontano che il suo corpo sia stato sepolto in tale area, sulla cui tomba Costantino fece innalzare una magnifica basilica, destinata ad impressionare tutto il mondo allora conosciuto, come simbolo della rinnovata autorità imperiale, nel nome della religione cristiana. Nel corso del periodo avignonese, la basilica, già in parte in rovina, subì un degrado tale da non poter essere più restaurata. Verso la metà del quindicesimo secolo, Niccolò V, il papa umanista proveniente dalla Lunigiana, famoso per aver ideato la famosa Biblioteca, ne commissionò la ricostruzione al Rossellino, ma a causa della sua morte, l’opera rimase sospesa. Fu, poi, il discusso ed irascibile Giulio II, amante delle arti e nemico/amico di Michelangelo, all’inizio del sedicesimo secolo che affidò al Bramante l’incarico di disegnare la nuova basilica. L’imponente impresa si realizzò, a fasi alterne, per ben 176 anni. Ad essa parteciparono grandissimi artisti, come Raffaello, Antonio da Sangallo il giovane, fino al momento in cui il geniale Michelangelo, sulla soglia dei settant’anni, non cominciò ad edificare la mirabile cupola. Alla sua morte, i lavori furono condotti seguendo il suo progetto, con la ripresa della pianta a croce come aveva già concepito il Bramante. Il Maderno, tuttavia, all’inizio del Seicento, in sintonia con papa Paolo V, adottò definitivamente il piano a croce latina per la basilica.
Il nome ufficiale del maggiore tempio della cristianità è Papale Arcibasilica Maggiore di san Pietro in Vaticano, sede delle principali manifestazioni del culto cattolico e citata come la più grande chiesa del mondo, ma non è, tuttavia, la cattedrale della diocesi romana, dignità che spetta alla basilica di San Giovanni in Laterano.

Per un breve viaggio nella basilica di San Pietro, possiamo cominciare dalla meraviglia che ci avvolge quando ammiriamo la grandiosa cupola ideata da Michelangelo, uno dei capolavori dell’arte rinascimentale. La volta si impone sullo sfondo del cielo, come una sinfonia armonica, con il suo colore dalle sfumature grigie ed azzurre. Come si è detto in precedenza, il grande artista concepì la sua opera in età molto avanzata, con la consapevolezza che il suo genio avrebbe fatto breccia nei cuori dei fedeli di tutte le epoche successive. Nonostante le dovizie del suo progetto, alla sua morte era stato completato solo il tamburo, mentre il resto fu ultimato da Giacomo della Porta e da Domenico Fontana. Nell’immensa piazza, il cui effetto ottico ci dà l’idea di un anfiteatro, nella migliore tradizione classica, si distingue il Colonnato, capolavoro del Bernini che ideò le due grandi ali laterali, come fossero braccia protese per accogliere in seno l’intera umanità. Il genio creativo del Bernini cercava di descrivere l’idea della “Chiesa” non come “luogo di culto”, ma come corpo vivo e pulsante, manifestazione terrena della divinità. Lo stesso architetto adornò il colonnato con una ricca collezione di santi (ben 140) che sovrastano l’ampio portico. Inoltre, è stato evidenziato, come Piazza San Pietro riproporrebbe uno schema coincidente con l’ellisse tracciata dai pianeti intorno al Sole, cosi come abilmente sintetizzato nella prima legge di Keplero: l’obelisco, legato anche all’antico culto del sole, sarebbe il punto centrale dell’ellisse, mentre la fontana del Maderno coinciderebbe con uno dei due fuochi. Questa visione ci porterebbe ad una serie di interrogativi sul perché gli intellettuali dell’epoca non si siano accorti di questa straordinaria coincidenza, in un periodo storico, peraltro, in cui le teorie eliocentriche erano ancora fortemente avversate.
Roma, comprendendo anche Città del Vaticano, è la città con più obelischi al mondo, al cui tema sarebbe interessante dedicare una trattazione ad hoc. Al centro di piazza San Pietro, si innalza un obelisco di 25 metri, trasportato ivi dal vicino Circo Neroniano in decadenza. L’operazione, che fu eseguita sotto la direzione di Domenico Fontana tra il 1585 ed il 1590, su disposizione di Sisto V, all’epoca fu assai difficile e complessa, suscitando una grande meraviglia nel popolo. La Roma papalina, nel periodo medioevale ed all’inizio dell’età moderna ben lontana dai fasti imperiali, si avviava a diventare una delle più importanti metropoli europee all’inizio del diciassettesimo secolo. L’obelisco, simbolo fallico di prosperità e di potere, era tipico della civiltà egizia, dai cui territori furono trasportati tanti esemplari per volontà degli imperatori romani. L’obelisco fu anche usato come “gnomone”, in quanto il prolungamento della sua ombra, proiettata a mezzogiorno nei diversi periodi dell’anno su lastre di marmo bianco, servì come indicatore delle diverse posizioni astronomiche della Terra nei confronti del Sole.
L’effetto scenico di Piazza san Pietro è reso più armonico dalla presenza di due fonti simmetriche, alle estremità dei due lati del colonnato, quella a destra disegnata dal Maderno nel 1613, mentre quella di sinistra da Carlo Fontana nel 1675. La facciata della basilica, opera del Maderno, è sontuosa ed imponente, espressione della volontà di affermare la grandiosità della Chiesa cattolica nell’epoca della Controriforma: essa presenta un chiaro esempio di trabeazione a lettere cubitali, dove si legge il nome ed il titolo del committente dell’opera, Paolo V Borghese.
L’ingresso centrale è sovrastato dalla cosiddetta “loggia delle benedizioni”, ulteriore opera del Maderno, sulla quale avviene un’importante ricorrenza del mondo cattolico: la proclamazione dell’elezione del nuovo papa e la sua prima benedizione “urbi et orbi” (alla città e al mondo). Anche il portico di fattura monumentale richiama sentimenti di misticismo e di spiritualità, evidenziando come primo colpo d’occhio la cosiddetta “Navicella”, concepita per la vecchia basilica di Giotto durante il primo Giubileo del 1300, di seguito ampiamente restaurata. Sul portico si distinguono ben cinque porte che hanno una simbologia ben precisa, volendo rafforzare i sentimenti di fede degli avventori, sospesi tra i problemi umani della quotidianità e la ricerca della trascendenza. La prima porta a sinistra prende il nome di “Porta della Morte”, una suggestiva opera moderna scolpita dal Manzù alla metà del secolo scorso, con immagini tratte dall’inconscio collettivo, come la compianta morte di Giovanni XXIII o la morte nello spazio, unite ad icone classiche come la morte di Gesù o quella della Madonna. La porta di bronzo, in posizione centrale, progettata dal Filarete nel XV secolo, rievoca lo stile di quella del Ghiberti presente a Firenze. All’estrema destra vi è la Porta Santa, che si apre ogni 25 anni, in occasione dell’anno santo. Le altre due porte sono di età contemporanea, disegnate rispettivamente dal Minguzzi e dal Crocetti, la Porta del bene e del male, nonché la Porta dei sacramenti (la scelta etica ed i rimedi medicinali offerti da Dio, tramite la sua Chiesa).
Quando si entra nella basilica di San Pietro, siamo invasi quasi da un senso di vertigine per l’impressione di grandiosità che suscita la sua architettura. Se diamo una veloce scorsa alle cifre, ci rendiamo subito conto che siamo di fronte a qualcosa di colossale, di unico nel suo genere. La lunghezza dell’interno, come del resto testimonia una scritta sul pavimento presso la porta di bronzo, misura metri 186, 36, mentre la lunghezza esterna, comprendendo anche il portico, raggiunge i 211,5 metri. Vi sono altre cifre impressionanti: la volta arriva a 44 metri, la cupola all’interno ben 119, mentre la lanterna supera i 17. L’atmosfera tardorinascimentale e barocca è arricchita da qualche elemento dell’antica basilica di Costantino, come il disco di porfido collocato all’inizio della navata centrale, dove Carlo Magno si inginocchiò la notte di Natale dell’800 per essere consacrato imperatore del Sacro Romano Impero da papa Leone III. La navata centrale ci porta ad ammirare un’altra opera mirabile: la statua di bronzo di San Pietro, elaborata nel XIII secolo, non a caso appoggiata ad uno degli imponenti pilastri posti alla base della cupola di Michelangelo.

Per convenzione, si ritiene che l’altare maggiore sia stato eretto proprio sopra la tomba di San Pietro, secondo alcuni identificata verso la metà del secolo scorso, per altri non ancora ben individuata. Si tratta di un argomento molto controverso, da affrontare separatamente. Ciò che deve importare al fedele è la genuinità del culto e di ciò che simboleggia, come le novantanove lampade che ardono davanti alla tomba del santo, di giorno e di notte, ad indicare la veglia della fede che non deve mai spegnersi, così come indicato nella parabola evangelica.
Quasi ad interrompere la maestosità dei pilastri e delle strutture tendenti al sovrumano, si impone sull’altare, il meraviglioso baldacchino terminato dal Bernini nel 1633, sostenuto da quattro colonne a spirale, ricavate con il bronzo del Pantheon.
Il povero pescatore di Galilea viene trasfigurato dalla celestiale cupola, come se si trattasse dello specchio del cielo e la Tribuna, dove quattro dottori della Chiesa sostengono la cattedra di Pietro, è l’emblema del Magistero ecclesiastico che rivendica la propria origine divina, a dispetto degli scismi e della Riforma protestante del secolo precedente. Le cappelle della Basilica di san Pietro costituiscono esse stesse piccole chiese autonome, ciascuna con la propria peculiare configurazione. Nella prima cappella della navata destra, troviamo la Pietà di Michelangelo, una delle sculture più famose di tutti i tempi, con il nome dell’artista inciso sulla parte che attraversa il busto della vergine, frutto del suo orgoglio giovanile. Nella successiva, la cappella di San Sebastiano, si ammira uno splendido mosaico che raffigura l’efferato martirio del santo, ispirato ad una pala d’altare del Domenichino e resa famosa dal fatto che ospita la tomba di San Giovanni Paolo II, ivi tumulato dopo la sua beatificazione avvenuta nel 2011. E la basilica presenta innumerevoli monumenti di pregio, come quello dedicato alla regina Cristina di Svezia, quello in onore di Matilde di Canossa, quello eretto per ricordare “gli ultimi Stuart” o il magnifico tabernacolo, opera del Bernini, presente nella cappella del Sacramento.
Come tutti i luoghi sotterranei, anche il sottosuolo dell’attuale basilica di San Pietro pone molte domande sulle sue origini e sulle eventuali scoperte ancora da fare. Gli esperti ritengono che esso corrisponda al livello della primitiva costruzione voluta da Costantino e ancora oggi, come ho accennato in precedenza, si discute sulla veridicità del ritrovamento della tomba di San Pietro. Dopo alcuni importanti scavi, Paolo VI nel 1968 annunciò che: le reliquie di San Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente. Le parole pronunciate dal papa furono volutamente equilibrate e misurate, non essendovi strumenti per averne la certezza assoluta. Del resto da una mente brillante e fine come Montini non ci si poteva aspettare affermazioni improvvide ed azzardate. In ogni caso, la “tomba di San Pietro” rappresenta il fulcro spirituale delle cosiddette “Grotte Nuove”. La denominazione non deve trarre in inganno, in quanto si tratta della parte più antica del sottosuolo della basilica, ma risistemata in epoca successiva. Nella misteriosa penombra della galleria a tre navate, di diversa altezza, sono più o meno allineati i monumenti funebri dei papi, tra i quali il più sontuoso è quello in onore di Bonifacio VIII, opera di Arnolfo da Cambio. A pensare che si tratta di uno dei papi più nefandi della storia della Chiesa, per stessa ammissione degli esperti cattolici. Oltre che dei papi, vi sono tombe di nobili, sovrani, cardinali e vescovi. L’ambiente è arricchito da alcune opere artistiche della vecchia chiesa costantiniana, fino ad arrivare allo spazio dove si trovano le cosiddette “grotte vecchie”, posizionate sotto la navata principale della basilica superiore, create da Antonio da Sangallo come intercapedine per evitare l’espandersi dell’umidità del pavimento del nuovo edificio.
Sui sotterranei della basilica di San Pietro sono fiorite molteplici leggende, a causa del notevole numero di reperti archeologici di diverse epoche e del mistero che ha sempre circondato l’autorità papale, soprattutto dopo la dimostrazione della falsità del documento della cosiddetta “donazione di Costantino”, di cui si sarebbero serviti i papi per secoli per dimostrare la legittimità del proprio potere temporale, da parte di Lorenzo Valla. La stessa origine del termine “vaticano” è abbastanza controversa. Essa potrebbe derivare dal termine latino “vates” od essere ricollegato ad una divinità minore che assisteva il neonato al momento della nascita (da vagitus, deriverebbe vagitanus, per usura fonetica vaticanus). Qualche studioso ha voluto individuare il legame del toponimo con un termine di radice etrusca, traducibile con “oscuro”, considerando il colle adatto a rituali che rimandano al mondo dell’occulto. I più fantasiosi ritengono che, sotto la basilica di San Pietro, sia ancora nascosto il mitico scettro di Porsenna, importante simbolo esoterico e religioso degli antichi Etruschi. Lo stesso filone interpretativo crede che dal sottosuolo della basilica di San Pietro si estenda una fitta rete di cunicoli fino ad arrivare in Etruria. Non bisogna, tuttavia, meravigliarsi troppo di queste storie, in considerazione del gran numero di tracce di rituali pagani riscontrati nei sotterranei, come le celebrazioni in onore di Cibele o di Mitra.
Sappiamo con certezza che Michelangelo, prima di cominciare il progetto della cupola di San Pietro, studiò a fondo le simmetrie della cupola del Duomo di Firenze, opera del Brunelleschi, considerata all’epoca, una delle massime espressioni dell’ingegno umano.
Sono stato tante volte nella basilica di San Pietro, ma sono salito sulla cupola solo una mattina di primavera, alcunianni fa. Come si può osservare dalle lunghe file di visitatori, l’ingresso per la salita si trova sulla destra del portico. Il percorso è abbastanza variegato, in quanto la prima parte di esso, fino ad arrivare alla grande terrazza sovrastante la navata centrale della chiesa, può essere compiuto sia in ascensore che a piedi, lungo una sinuosa cordonata a spirale. Quando mi sono fermato sul ballatoio, sono rimasto colpito dalla bellezza del panorama: il complesso berniniano che si specchiava nelle acque del Tevere, con la “città eterna” sullo sfondo. Arrivato all’interno della cupola, mi sono affacciato da una galleria che si estende lungo il tamburo, a ben 53 metri dal pavimento della basilica. Non soffro di vertigini, ma la bellezza del luogo, insieme al susseguirsi di scalate “rotatorie”, mi provocò un leggero affanno: le pareti, infatti, diventavano sempre più curve, man mano chi mi avvicinavo all’apice della cupola. Giungere sulla sommità di essa mi riservò un’esperienza indimenticabile, potendo ammirare dalla balconata circolare uno skyline inedito e a 360 gradi della capitale italiana.
Città del Vaticano comprende anche Palazzi e collezioni di grandissima importanza storica ed artistica, dove sono riuniti capolavori esposti in ambienti sontuosi e non tutti aperti al pubblico. I Palazzi Vaticani sono formati da un complesso di edifici con numerosissime stanze, saloni, esposizioni museali, gallerie, biblioteche, cortili e giardini che testimoniano un periodo di potere temporale della Chiesa, forse un po’ anacronistico se rapportato ai nostri tempi. Uno dei musei più ricchi di opere d’arte, è il “Museo Chiaromonti”, fondato da Pio VII (prende il nome dal suo cognome) all’inizio del diciannovesimo secolo, composto da tre aree ben distinte, il Corridoio, la Galleria Lapidaria ed il Braccio Nuovo, ispirate allo stile neoclassico.

Il Museo è ricco di opere greco-romane: nel Corridoio si possono ammirare circa ottocento opere, tra busti, statue, sarcofaghi e bassorilievi, mentre nella Galleria Lapidaria, come lo stesso nome indica, sono presenti oltre 5000 iscrizioni sia di ambiente pagano che cristiano, rivelando come la Roma papalina del Rinascimento, con la riscoperta del gusto classico, intendesse continuare la grandezza e la magnificenza della Roma imperiale. Nell’ambito dell’area denominata del “Braccio Nuovo” si impone la Statua di Augusto, collocata da Pio IX nel 1863, dopo un ritrovamento più o meno casuale della stessa sulla via Flaminia. Anche il Museo Clementino è molto ricco di opere pregevoli, raccolte soprattutto da due pontefici vissuti tra il Settecento e l’Ottocento, Clemente XIV e Pio VI. L’ambiente è ispirato all’ideale della bellezza della Grecia classica, come già si percepisce in maniera tangibile attraversando un luminoso vestibolo per giungere al cosiddetto “Gabinetto dell’Apoxyomenos”, al centro del quale sorge appunto l’omonimo atleta scolpito da Lisippo, che costituisce una copia in marmo dell’originale in bronzo che Agrippa portò dalla Grecia. È significativo notare come l’arte paleocristiana fosse povera di scultura, quasi imbarazzata dalle forme di bellezza maschile riprodotte dall’arte figurativa classica, mentre il Rinascimento cristiano riscopre e rielabora le sagome classiche del mondo greco-romano, trovando in Michelangelo il suo interprete più illustre.
Dopo aver ammirato la statua di Lisippo, è possibile accedere al Cortile ottagono del Belvedere, dove le opere sono esposte in quattro distinti settori: il “gabinetto di Lacoonte”, scoperto tra le rovine delle Terme di Tito nel 1506, che riproduce il famoso gruppo scultoreo mitologico di Lacoonte; il “gabinetto di Apollo”, statua acquistata da Giulio II, discutibile nelle sue scelte etiche, ma impeccabile come umanista; il “gabinetto del Perseo”, un’eccezione del museo, in quanto contiene tre opere di fattura più moderna (Perseo con la testa di Medusa ed i due pugili Kreugante e Damosseno), elaborate dal grande Antonio Canova alla fine del diciottesimo secolo; il “gabinetto di Hermes”, che raffigura il dio, messaggero dell’Olimpo, copia di un originale scolpito da Prassitele nel IV secolo a.C.. Del Museo Pio Clementino, ho trovato impressionante e suggestiva la “sala degli animali”, dove si possono ammirare numerose riproduzioni di animali in marmo e in alabastro, di cui alcune in una posa così plastica da sembrare reali, in particolare la statua di Meleagro. L’esposizione prosegue “a tema”, consentendo al visitatore di immergersi in un’atmosfera suggestiva e variegata, percorrendo la Galleria dei busti, tra cui emerge il calco del giovane Augusto, il Gabinetto delle Maschere, impreziosita da una delle più belle statue del mondo ellenico, la Venere di Cnido o la Sala delle Muse, decorata con colonne corinzie, busti antichi e statue di personaggi della mitologia, al centro della quale si erge la famosa statua del Torsolo, scolpita dall’ateniese Apollonio nel I secolo d.C.. Tra queste gallerie e sale, l’ambiente più sontuoso è forse la “Sala Rotonda”, dove è collocata la magnifica tazza di porfidio, che misura ben 4 metri di diametro, nonchè lo stupendo mosaico del pavimento ritrovato ad Otricoli e l’imponente statua di Antinoo proveniente da Palestrina.
La Biblioteca Vaticana è considerata la prima in Europa, per quanto riguarda l’antichità dei manoscritti e la rarità della bibliografia, fondata per volere del già citato papa umanista Niccolò V nella seconda metà del quindicesimo secolo. Nella splendida “sala Sistina” sono esposti in bella vista esemplari introvabili, come il codice della Bibbia del IV secolo; una copia del Vangelo di Matteo risalente al VI secolo; un antichissimo palinsesto che racchiude la maggior parte del “De Republica” di Cicerone del V, raschiato il secolo successivo per incidervi un commentario di Sant’Agostino e riportato alla luce solo nel IX, un compendio di letteratura e di storia, nonché un autentico testimone delle sovrapposizioni di scrittura tipiche dell’Alto Medioevo. Nella parte finale della preziosissima Biblioteca, si incontra una mirabile raccolta di antichi affreschi, tra cui il più significativo, a mio avviso, è quello delle “Nozze Aldobrandini”, che vuole evocare le immagini dei preparativi al matrimonio di Alessandro Magno e Rossana.
Una recente visita mi ha quasi portato in un mondo onirico parallelo, quando per la prima volta sono entrato nelle cosiddette “stanze di Raffaello”. Il celebre artista, introdotto alla corte pontificia dal Bramante, era subito entrato nelle grazie del complicato ed autoritario Giulio II. Già alcune camere sovrastanti l’appartamento “Borgia” erano state impreziosite con affreschi del Perugino e di altri famosi personaggi, ma l’indomito Giulio II decise di farli raschiare, in modo che il giovane Raffaello potesse sbizzarrirsi con il suo genio creativo. Vi è da dire che non tutti gli affreschi furono dipinti da Raffaello, ma alcuni furono eseguiti dopo la sua morte, ispirandosi ai suoi disegni.
La prima stanza, quella legata alla leggenda della conversione di Costantino, fu eseguita, infatti, da Giulio Romano, sulle indicazioni del Maestro. La stanza di Eliodoro, la seconda in ordine di percorso, chiamata così perché raffigurante il mitico “Castigo di Eliodoro”, intende esaltare il prestigio del papato. Tutti gli elementi artistici contenuti in essa vogliono suscitare nei visitatori stupore ed ammirazione di fronte al potere del Vicario di Cristo in terra, ponte tra l’umano ed il divino. La scena del Miracolo di Bolsena, rievocante un racconto medioevale, a proposito della rivelazione da parte di Gesù ad un sacerdote dubbioso della sua reale presenza nel Sacramento dell’Eucaristia, sembra un monito nei confronti delle sette protestanti e scismatiche, poco propense a credere nell’effettivo miracolo della transustanziazione (trasformazione effettiva del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo). La rappresentazione della liberazione di San Pietro dal carcere, collocata con grande sapienza artistica intorno al vano della finestra, presentando tre diverse qualità di luce, quella lunare, quella promanante dalla gloria dell’angelo e quella delle torce delle sentinelle, appare come un tripudio di colori e di simbologia della grandezza del ministero del pescatore di Galilea. Nella terza stanza ci accoglie la prima opera di Raffaello, compiuta nel 1509: la Disputa del Santissimo Sacramento, mentre nella parete opposta vi è forse l’opera da lui stesso più amata, la Scuola di Atene, un felice incontro tra l’esaltazione della Fede e la celebrazione della Ragione, con l’immagine sullo sfondo del Parnaso, il mitologico monte di ellenica memoria. Raffaello esprime, attraverso l’arte, l’ideale di continuità tra la religione cristiana e la filosofia classica, non messe in contrapposizione, ma la prima quale divina rivelazione e compimento delle riflessioni maturate dalla seconda.
Meritano un cenno gli Archivi vaticani, di cui negli ultimi anni abbiamo sentito spesso parlare, alcune volte con descrizioni troppo fantastiche e sensazionalistiche. Prima di tutto, è necessario cosa vuol dire “archivium apostolicum vaticanum”. Esso rappresenta l’archivio centrale della Santa Sede che comprende tutti gli atti ed i documenti afferenti al governo ed all’attività pastorale del Pontefice e degli Uffici dipendenti. Il nome attuale è stato cambiato da papa Francesco motu proprio molto di recente, in data 22 ottobre 2019, al posto di “archivium secretum vaticanum”. L’eliminazione dell’aggettivo “segreto” e la sostituzione con “apostolico” ha chiarito bene che le intenzioni, almeno ufficiali, del papa siano state quelle di offrire maggiore trasparenza ed eliminare un termine che potesse rievocare gli aspetti oscuri della gestione ecclesiastica, tra scandali finanziari e sessuali. Bisogna, comunque, sottolineare che l’aggettivo secretum, non doveva essere inteso nell’accezione deteriore, ma soprattutto nel latino medioevale indicava qualcosa di “personale” o di “privato”, tanto è vero che erano chiamati così anche gli archivi delle cancellerie degli stati preunitari.
La consultazione dei documenti dell’archivio vaticano è consentita solo per i documenti antecedenti alla morte di Pio XII (ottobre 1958) da parte di ricercatori in possesso di determinati titoli e previa lettera di presentazione di istituti di ricerca storica o scientifica ben accreditati. La scelta appare in linea con le esigenze di controllo e di tutela proprie di ogni organismo di valenza culturale. L’apertura ai documenti del pontificato di Pio XII avrebbe dovuto avere inizio il 2 marzo 2020 riscuotendo un enorme numero di richieste, in quanto comprendente i carteggi del periodo della Seconda guerra mondiale, in particolare alcuni in grado di far luce sulla controversa posizione del papa pro-tempore di fronte al dilagare dell’ideologia nazista, ma l’emergenza covid-19 ha ritardato quell’iniziativa. L’estensione dell’archivio è colossale: si parla di circa 80 km di documentazione, misurando in maniera lineare i singoli pacchetti e gli scaffali. Il maggior numero dei documenti parte dall’ XI secolo, mentre quelli antecedenti sono abbastanza rari; una parte dell’archivio subì perdite, al momento della confisca da parte di Napoleone. Se davvero gli archivi vaticani dovessero contenere “piani segreti” o altro, come una certa cinematografia o letteratura vuole far intendere (cfr. Angeli e Demoni di Dan Brown), bisognerà pensare a qualcosa di più sofisticato o di veramente diabolico, piuttosto che a complotti scontati e sfruttati all’inverosimile.
Sarà una triste Pasqua inedita quella del 2020. La domenica del primo novilunio di primavera vedrà una messa della Resurrezione senza fedeli. Tutti i riti della settimana santa sono stati ovviamente annullati per l’emergenza da corona virus: l’annuncio, scontato per la verità, a causa delle situazione ancora altamente drammatica, è stato dato in maniera ufficiale dalla Prefettura della Casa Pontificia. Le celebrazioni saranno trasmesse via streaming in mondovisione a tutte le popolazioni del mondo, unite dall’angoscia e dall’incertezza per il futuro. Il silenzio di Piazza San Pietro farà un rumore assordante, mentre l’abbraccio del semicircolare colonnato del Bernini si protenderà verso l’umanità sofferente, sia nel suo significato cristiano che in quello laico ed ermetico di consapevolezza spirituale, dove ciò che è in terra è specchio di ciò che è in cielo.