Reinhold Messner e il Jova Beach Party: il diritto sulla natura di una tribù che fattura

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“Non è necessario.” Queste le 3 granitiche parole che Reinhold Messner pronuncia a proposito dell’eventualità di realizzare un episodio del Jova Beach Party anche sulle montagne, a fare festa sulle ultime riserve di ossigeno del Pianeta Terra, impedendone il respiro.

È il principio di Aprile 2019 quando esplode una delle drammaturgie mediatiche più dense di significati dell’era contemporanea: a un angolo del ring, la voce del silenzio, del non fare, ridotto in agonia; all’altro angolo, il diritto incontrovertibile di fare, in supremazia assoluta. 

Le due maschere, oltre ad incarnarsi perfettamente in opposizione -il burbero silenzio montano di Messner espresso nella sintesi: “Non è necessario”; contro il prolisso profluvio di Jovanotti in oltre tre mesi di post, azioni medianiche e strategie di comunicazione, debolissimi- aprono una via alta sulle contraddizioni tra coolness del capitalismo e senso del limite. Tra anarchia della psiche e legge della natura. 

Il perentorio quanto inaspettato parere del sommo alpinista ed ecologista sud-tirolese non deve essere risuonato esattamente come una buona notizia presso il quartier generale del Jova Beach Party che, proprio su ecologia e necessità, andava concentrando già dall’autunno il lancio del rivoluzionario ed ipertecnologico evento musicale, previsto per l’estate italiana.

L’ematoma preso in piena faccia dall’ambizioso ragazzo fortunato, il nervo scoperto che è stato più o meno consapevolmente urtato con quelle 3 semplici parole “sovversive”, si mostra nitido nello sgranarsi di reazioni schizofreniche conseguentemente prodotte, che è utile ripercorrere ora brevemente. 

Jovanotti fa trascorrere pochissimi giorni e, dopo un confuso post dal sapore vagamente giuridico: “…Noi facciamo le cose per bene, rispettiamo le leggi…”, viene preparata la controffensiva, l’apologia del Jova Beach Party, finalizzata a  reprimere qualunque ulteriore accusa di non rispetto verso la natura del progetto, (certificato addirittura dal WWF).

Se non è discutibile l’efficacia mediatica delle operazioni propagandistico/difensive congetturate dalla psiche del Jova Beach Party, che culmineranno in giugno con Jovanotti in persona sul Naviglio di Milano, in combutta con il brand Corona, ad inaugurare a favore di camera una gigantesca onda di plastica recante la scritta: “La plastica non va in Paradiso”; risulta invece altamente discutibile il senso stesso del Jova Beach Party, che proprio da aprile, dal terribile: “Non è necessario” di Messner, comincia a mostrarsi finalmente strutturato e chiaro al pubblico. 

Già perché nella cura comunicativa atta a ribadire i cardini di pensiero positivo, bontà assoluta nonché amore incondizionato per la natura, Jovanotti e team sono costretti ad alzare il sipario sul Jova Beach Party, a svelarlo, giorno dopo giorno, dettaglio su dettaglio, scendendo dalla dimensione onirica, alla nuda concretezza -non solo dei camion che lo monteranno o dei decibel di gioia che verranno effusi- ma anche del suo verbo interno, ovvero: cosa significhi essere “un portatore sano e modernissimo di divertimento”, almeno secondo loro, per l’estate 2019. 

In tal senso, il Jova Beach Party rappresenta in pieno la matrice spirituale/feudale tipica del capitalismo. Nulla di originale. Tutto ruota intorno a un dio/demiurgo buono, giusto e totalizzante che dispensa tutto per una giornata: festa, cibo biologico, spazi per i figli piccoli, amore (in particolare, l’autore della hit Ti sposerò, sceglie di giocarsi la simpatica carta dell’estrazione live delle fortunatissime coppie che saranno da lui sposate, come primissima azione dopo la muta valanga di Messner), all’interno di un vero e proprio villaggio chiuso da un recinto, che viene issato a forza sulle spiagge. 

Se tale geniale idea a metà tra Gardaland San Siro ed Expo sarebbe potuta sembrare pura avanguardia per un’Italia anni Novanta, per la terra e l’aria italiana di quell’estate 2019, spogliata di ossigeno e vita, è invece un impianto dal retrogusto più sinistro, un ulteriore veleno, tradizionalmente travestito da eclettico antidoto, che non convince, che non sembra risolvere del tutto la propria ingerenza, certificando che lasceranno “la spiaggia migliore di come l’abbiamo trovata”, come dichiarato dallo stesso comunicato ufficiale. 

Il problema purtroppo non sono soltanto CO2 o decibel, è molto più dentro l’inquinamento di cui anche Jova Beach Party è alfiere duro. 

Si tratta proprio del dettaglio che Jovanotti non vuole ascoltare, il dettaglio che sembra spaventarlo al punto di tentare di coprilo con un profluvi assordanti di discorsi, ed azioni medianiche: il dettaglio del silenzio. 

Sempre in lettura drammaturgica, la tensione tra silenzio e rumore proposta da Messner contro Jovanotti, diventa uno sguardo di conoscenza contemporanea sul Paese. Improvvisamente si fa manifesto a tutti che in Italia, come forse nel mondo intero, non esiste più un luogo che ospiti ancora silenzio e vuoto. Dal dopoguerra, in due generazioni, tutto è stato lastricato di coolness. A livello di sistema, tutto è stato riempito di pieno, tutto è tracciato, tutto è la metafora del rumore, tutto è fare, fare, fare, fare, e non fermarsi mai. Il produrre ha superato la Chiesa in termini di trascendenza. Fare fare e non fermarsi mai è l’Ave maria di stampo americano da recitare, fino a non avere più respiro. Fino a non sapere più di cosa sia fatto il respiro umano. 

Messner contro Jovanotti mostra dunque in filigrana lo squilibrio cruciale tra un fare giunto al suo culmine estremo proprio nell’estate 2019, e un non fare, o meglio: un fare silenzio, un lasciare un vuoto, che invece non ha più luogo. Esattamente come non ha più luogo il sacro nel mondo, come non ha più luogo l’off rispetto all’on, nel Belpaese. 

Jovanotti però sceglie di non ascoltare e massacrare quell’ultimo brandello simbolico di silenzio proposto da Messner, e non conta nulla se Plan de Corones sulle Dolimiti sia già sede di squallido intrattenimento turistico, il Jova Beach Party rappresenta in pieno il diritto di portare le proprie casse ecofriendly persino sull’ultimo bordo possibile, prima del precipizio, della catastrofe, dell’eventuale risposta della natura. Legittimando l’azione -oggettivamente sconsiderata e criminale, almeno nell’ultima estate edonista del mondo: The summe 2019- sempre con la stessa sgualcita bandiera di bontà, necessità ecologica e progresso. Che sventola però non più solo positiva come un tempo, bensì sinistra, sopra il grido inascoltato della natura. 

* * *

Che fin dai tempi biblici gli umani, fuoriuscendo dall’equilibrio di cielo e terra, per via dello schizzare fuori della mente in Kaliuga, abbiano sempre avuto un problema con il senso del limite, è abbastanza ovvio. 

Tuttavia la querelle sul Jova Beach Party è emblematica e rilevante. Pur posizionandosi come ecologico, ed essendolo assolutamente da un punto di vista legale, il rivoluzionario live è violenza pura contro la natura. La soffoca. Non ne ascolta il respiro, il soffio, non ne considera l’affanno che è il medesimo affanno umano, determinato proprio dalla mancanza di vuoto, dal complotto ordito contro il vuoto. Se il sistema ha costruito quindi piramidi soltanto sul +, che si traduce in una parte chiara di soverchiante propaganda attiva, è sulla conoscenza del – che qualunque forma di ecologia avrebbe dovuto operare. Poiché la natura è fatta di attivo e di passivo, di on ed off, alfabeto  che deriva da cielo e terra, e che si mostra come un mantra da ricordare nell’atto del respiro. Silenzio e rumore, esattamente come pieno e vuoto, come maschio e femmina, come Pantalone e Colombina, come Messner e Jovanotti, derivano da cielo e terra, dal fiore di loto; e sono gli utensili cosmici che gli umani impararono per fare l’equilibrio. Di ciò è fatto forse l’universo intero: un diaframma che per essere in qualunque campo, deve aprirsi ed anche chiudersi, come una vela che per navigare deve radicarsi nella terra. Come lo Yin e lo Yang. 

Alla natura a rischio soffocamento -e tutta Yang- che chiede in carità un po’ di Yin, e dunque implora teatralmente di fermarsi, attraverso le dure rughe himalayane di Messner, Jovanotti reagisce con caparbio capriccio cieco, senza alcuna pietà. 

Perché l’ecologista Jovanotti non si è domandato se Yin e Yang fossero in equilibrio in quella maledetta estate 2019, l’ultima a perdifiato verso il farsi dei, verso l’immagine, senza più radici? In quale stato versavano i due emblemi del Pianeta Terra quando Jovanotti pretese di spargere ovunque la propria immagine plastica? Quale dei due emblemi fa l’olocausto all’altro: La natura alla psiche o lo psiche alla natura?

In un’Italia sradicata, devastata dalla legge psichica dello Yang, del fare incontrovertibile, del pieno applaudito dai potenti, dell’espirare esternamente fabbriche ed eventi; proprio l’eventualità di non farlo il Jova Beach Party, sarebbe stato il clemente concedere al Pianeta di riprendere fiato, di insipirare anche, di ricordare la sacralità dell’energia quando si apre orizzontalmente verso l’interno, lo Yin, il perduto radicamento che la Terra osò chiedere in carità a un dio: Rinuncia a fare la tua baracca lunare almeno qui, ti prego!

Nella sua incapacità analfabetica di dare un limite al proprio personale verbo di dio anni Novanta, per quanto condiviso con entusiasmo dal popolo, si sente la frattura definitiva con la natura, coperta per sempre con la scritta Jova Beach Party, fosforescente al pari dei veli che si usano per coprire i cadaveri. 

E non respira più infatti il Pianeta. Coperta è proprio la conoscenza dell’insiprare,  dello Yin, del ricaricarsi, in un sistema fatto solo di espirare di Yang. Alienata è proprio la conoscenza del diaframma sottile, di lei, della natura (madre e padre insieme) e della sacra conoscenza che dalla natura deriva: ovvero come si muove, su quali binari danza (o un tempo liberamente danzò) la sua energia, il suo grande spettacolo fatto di mutamento, di vita e morte, di aprire e chiudere, di universo, di Big bang deliberatamente bestemmiato dall’ennesimo evento ecologista, che ardì porsi a un livello di superiorità rispetto al cosmo e alla vita e alla morte; e per una serata in allegria e due spiccioli in più condannò l’umanità intera all’infelicità, al l’esilio dal respiro, al morire infine per polmonite virale. 

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