La strage di Columbine: la storia vera dietro al film Elephant

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Nell’anno che segnava la fine del secondo millennio, precisamente il 20 aprile, gli Stati Uniti d’America avrebbero conosciuto una delle più violente stragi della sua intera storia. Un evento questo che ha permesso all’opinione pubblica – e non solo – di affrontare temi sociali complessi.

A fare da portavoce di queste tematiche, nella cultura pop, è stato il film di Gus Van Sant Elephant – uscito nel 2003 – che ha riscosso un notevole successo di pubblico e specialmente di critica, tant’è che addirittura il Festival di Cannes fece un’eccezione alla regola per consentirgli di vincere i premi per miglior regia e miglior film.

Elephant, che si ispira solamente ai fatti accennati sopra, serve da pretesto a Van Sant per analizzare – in un mondo registicamente dipinto come sospeso nella sua naturalezza e verità – i problemi che affliggono i giovani: dove vittime e carnefici sono simili e vengo equiparati sullo stesso piano: giovani assediati da problematiche di varia natura che per il regista americano sono la bulimia e la paura di dover apparire belli, la solitudine, l’isolamento, l’omosessualità.

La strage accennata sopra è quella della Columbine High School, situato a Littleton nella contea di Jefferson, in Colorado. Quanto c’è di vero nel film di Van Sant? Poco, in realtà. La sceneggiatura è infatti stata scritta durante le riprese, a mo’ di canovaccio teatrale: prendeva vita grazie al regista e agli attori, liberi di svagarsi, alla quale si deve anche l’utilizzo nella soundtrack del chiaro di luna di Beethoven.

Dunque, ripercorriamo ora quel tragico 20 aprile 1999 che cambiò per sempre la percezione delle stragi nelle scuole. I protagonisti nella vicenda sono due ragazzi Eric Harris e Dylan Klebold, nel film di Van Sant, l’unica differenza è il nome di Dylan che nel lungometraggio diventa Alex. I primi cenni di un qualcosa di negativo che sarebbe successo di lì a poco, poteva essere rintracciato già qualche anno prima: nel 1996 Eric aveva infatti aperto un blog sul noto sito AOL dove iniziarono ad apparire contenuti abbastanza stranianti, come atti di vandalismo compiuti insieme all’amico Dylan che iniziarono a etichettarsi come Reb – da Rebel, nomignolo della mascotte della Columbine – e Vodka, per la predilizione di Dylan per quella tipologia di alcolico. Nel 1997 – un anno dopo – nello stesso sito iniziano a venir fuori delle indicazioni sulla rabbia repressa dei ragazzi nei confronti della società: ecco dunque che appaiono istruzioni su come fabbricare esplosivi, pronti ad essere utilizzati da Eric nel momento e nel luogo adatto. Non solo bombe, anche minacce di morte iniziavano ad apparire sul sito, in particolare nei confronti di un compagno di classe di Eric, Brooks Brown che denunciò l’accaduto e grazie al quale il detective Michael Guerra, a cui venne affidato il caso, riuscì a scoprire le intenzioni omicide di Eric “Reb” Harris ottenendo un mandato di perquisizione. La strage sarebbe stata evitabile se solo qualcuno avesse accettato quel mandato redatto dal detective Guerra che – per oscure ragioni – non fu mai avviato verso nessun procedimento giudiziario sul killer.

Elephant (Trailer)

Dylan Klebold fu un soggetto molto meno defilato rispetto ad Eric, vera mente del duo. Nel 1998 Dylan venne arrestato insieme ad Eric per un furto ai danni di un furgone, colti in flagrante. Incensurati e minorenni, non vennero processati anche perché provenienti da un background familiare di tutto rispetto, per così dirla. Risarcimento dei danni, servizi socialmente utili e colloqui con uno specialista furono le conseguenze per i due. Proprio queste consulenze con lo specialista dell’ufficio dei servizi sociali, permisero di tracciare una mappa comportamentale dei due killer: Eric, arrabbiato con la società in maniera perenne, volgare e violento ma anche mutaforma, capace di risultare una persona in grado di fingere empatia e sentimento. Dylan invece molto più introverso, con un rendimento scolastico sempre peggiore e positività all’alcool test sempre più spesso, al contrario di Eric che sputava sul web tutta la sua cattiveria nei confronti degli altri, Dylan preferiva tenere per sé i suoi scritti in un diario iniziato a scrivere nel 1997. Eric, al contrario, questi pensieri li tenne per sé solo dopo che il suo sito venne oscurato a seguito del processo per il furto: ed è proprio durante questo periodo, l’aprile 1998, che i due iniziarono a progettare – per una sorta di rivalsa – la strage dell’anno successivo.

Questi scritti sono tanto fantasiosi quanto cupi nella loro veridicità, il “libro di dio”, così chiamato il diario di Eric, fa emergere alcuni fantasiosi particolari sull’organizzazione della strage: particolare e tetra l’idea di dirottare un aereo per schiantarlo su di un grattacielo a New York, cosa che effettivamente avvenne due anni dopo per mano dei terroristi islamici. Il piano effettivo invece prevedere la detonazione di alcune bombe nella mensa, sistemate accanto i pilastri che reggevano il piano superiore che sarebbero dovuti cedere per provocare il crollo dell’edificio così da permettere ai due di seminare ancora più panico e vittime. Nel film di Van Sant si vede benissimo come i due avessero pensato alle bombe, che per fortuna non detonarono, evitando così ulteriori morti. Un altro particolare ben espresso da Elephant è l’incondizionata ammirazione di Eric per Hitler ed il regime nazista, il ragazzo infatti esaltava i crimini del sanguinoso dittatore tedesco.

Sempre nel film ricordiamo una scena in cui i due attentori provano il fucile nel seminterrato di casa, cosa che realmente avvenne e fu addirittura registrata dai due veri assassini nei cosiddetti Basement Tapes, una serie di videocassette che filmavano i progressi fatti. I basement tapes non vennero mai mostrati in pubblico per paura che qualcuno emuli la strage, cosa che effettivamente avvenne negli anni successivi prendendo il nome di “Columbine Effect”.

Questa è la genesi della strage, ora capiamo meglio come si svolsero i fatti quel giorno. A dispetto di Elephant, che mostra i due in tuta mimetica pronti a compiere la strage, quel 20 aprile 1999 l’abbigliamento dei ragazzi fu ben diverso: indossavano infatti un impermeabile nero che simboleggia un gruppo del college a cui miravano a far parte e nel quale non sono mai riusciti a entrare: la Trenchcoat Mafia.

Elephant (School Shooting)

In Elephant la strage si svolge sul finir del giorno – simboleggiato anche dalle nubi che iniziano e chiudono il film sotto le note di Beethoven – questo perché così Van Sant riesca a mostrare anche la piattezza del giorno scolastico inframezzato dai preparativi dei killer per la strage. Il 20 aprile 1999 invece la strage inizia a compiersi nella tarda mattinata: intorno alle 11.10 Eric Harris e Dylan Klebold armati di due bombe al propano da 9kg e diversi ordigni, oltre che da due 9mm e due fucili a pompa acquistati tramite intermediari maggiorenni (in Elephant le armi arrivano tramite corriere, un po’ enfatizzato questo passaggio), fanno irruzione a scuola seguendo i piani prestabiliti. Piazzare gli ordigni, seminare il panico e aprire il fuoco. Indisturbati piazzano gli ordigni e fanno ritorno ai veicoli in attesa di aprire il fuoco. Sulla strada incontreranno Brooks Brown e lo graziano nonostante fosse proprio colui che veniva minacciato di morte da Eric sul suo famoso blog, Eric gli dirà chiaramente: “Brooks, mi sei simpatico. Ora va’ via di qui, va’ a casa”. Anche in Elephant viene mostrata una scena che rimanda a questo episodio realmente accaduto.

Le bombe non detonano, i due decidono quindi di irrompere armati a scuola ed iniziare così la loro strage: la sparatoria inizia nell’entrata ovest della scuola, nel punto più alto avevano infatti il controllo dell’entrata laterale della mensa, dell’entrata ovest a sinistra e i campi sportivi a destra. Dopo aver aperto il fuoco, molti nella scuola pensarono a uno scherzo dei più grandi come affermato dai testimoni sopravvissuti in più riprese: ma in breve tempo iniziò l’incubo. Eric e Dylan iniziarono il loro percorso di sangue, intrattenendosi in tante brevi sparatorie lungo tutto il campus: nei primi minuti si contarono 12 persone tra vittime e feriti, fin quando non raggiunsero la biblioteca che fu una vera carneficina. In Elephant – dove il simbolismo la fa da padrone – è importante notare come l’estratto di un documentario che ci fa notare le simpatie naziste dei due enfatizzi proprio il rogo dei libri per mano del nazismo, in contrapposizione alla strage di esseri umani che si compie proprio nel maggior luogo di cultura della scuola: la biblioteca.

Eric nella biblioteca fece alzare tutti quelli col cappello bianco o da baseball, che simboleggia l’appartenenza a un gruppo o ad una classe in particolare – cosa che ci fa notare come i due volessero appartenere ad un determinato gruppo sociale scolastico – e iniziò ad aprire il fuoco indistintamente. Il massacro nella biblioteca durò intorno ai 20 minuti, una carneficina concentrata in poco tempo: si diressero dunque nella zona di scienze lanciando un ordigno che alimentò il fuoco, scesero le scale ed arrivarono alla mensa dove Eric, quasi esausto come vediamo nel film, bevve una bevanda trovata tra i tavoli. Ed è qui che film e finzione procedono su binari separati: nel lungometraggio Eric spara ad Alex, la mente uccide l’inadatto, come se anche nella fratellanza creatasi durante il massacro abbia prevalso l’egoismo umano, la bestia che risiede all’interno del ragazzo. Nella scuola del Colorado invece, i due continuarono a procedere di pari passo per altri 20 minuti, in un sali scendi che li riporta in biblioteca dove decidono di porre fine alla loro vita. Sono le 12.05: l’incubo volge al termine. Eric Harris si suicida con il suo fucile a pompa con un colpo in bocca, Dylan Klebold con un colpo di pistola alla tempia, morirà in agonia qualche minuto più tardi.

Mentre in Elephant risuona Beethoven con le nuvole che si muovono all’orizzonte facendo da sfondo ai titoli di coda, alla Columbine arrivano invece le squadre SWAT con non poche polemiche, visto un intervento all’inizio molto superficiale e poco organizzato.

Questo è il triste epilogo della strage della Columbine High School, che in definitiva conterà 13 vittime e 24 feriti.

Elephant non è semplicemente un film ispirato alla strage della Columbine, è piuttosto un film che racconta un mondo: quello dei ragazzi, dei loro problemi. Lo fa rendendo lo spettatore distaccato, incapace nel partecipare, nel protrarsi per dare aiuto. Lo stesso aiuto di cui avrebbero avuto bisogno sia le vittime sia i carnefici, ragazzi come tanti che avevano disperato bisogno di urlare i loro problemi e che, non essendo saputi essere aiutati a dovere, hanno vomitato la loro rabbia tramutandola in un massacro. Dopotutto il nome Elephant non è casuale, il titolo rimanda all’omonimo film di Alan Clarke, quasi privo di dialoghi e narrante 18 omicidi, che riguarda la violenza settaria in Irlanda del Nord. L’espressione “Elephant in the room” viene infatti utilizzata dagli inglesi per descrivere un problema che tutti vedono ma che nessuno riesce a spiegare: da qui appunto “l’elefante nella stanza”.

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