Cosa significa essere comunista a 20 anni

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– Prof, ho preso una decisione, sa?
– Che decisione?
– Sono diventato comunista.
– Ma pensa! E perché?
– Perché mi sono rotto e voglio la rivoluzione.
– Oddio…
– No prof, Dio è l’oppio dei popoli.
– Ook, ok, ok, dimmi un po’: quanti anni hai?
– Venti.
– Venti, tipico.
– Cosa è tipico?
– La tua età, il comunismo, la rabbia, tutto torna.

– Si può spiegare?
– Prima dimmi un po’ meglio perché sei diventato comunista.
– La mia nuova ragazza mi ha detto che non si sarebbe mai messa con un borghese oppressore nemico del popolo.
– E tu ti sentivi un borghese oppressore nemico del popolo?
– Beh, ripensandoci più o meno…
– Allora, senti, sediamoci e stammi a sentire. Vuoi un caffè?
– Sì.
– Bravo, lì c’è la macchinetta e qui la mia chiavetta. Ora ti spiego cosa ti succederà nei prossimi anni.
– Mi dica.

– Dunque: ora sei comunista, hai abbracciato l’ideologia politica più antica tra quelle esistenti, posto che ne esistano ancora. Probabilmente non hai nemmeno presente di cosa stai parlando. Hai in testa concetti vaghi e una voglia bruciante di rivalsa verso nemmeno tu sai cosa. Probabilmente è rivolta proprio a te stesso. Ti sei votato a una fazione che richiede una dedizione assoluta, che schifa la religione, ma che più di tutte le altre ideologie somiglia a una religione. Di sicuro c’è che la tua scelta avrà ripercussioni parecchio pesanti su di te, la tua educazione, la tua immagine e la considerazione che hanno gli altri di te.
– Sarebbe prof?

– Cominciamo dal tuo aspetto esteriore: al momento sei ancora salvo, ti vesti esattamente come il mese scorso e come quello prima ancora. Presto però scegliere cosa mettersi diventerà una vera e propria impresa: comincerai a cassare ogni griffe, considerandola un mezzo indiretto di oppressione socio-economica del Capitale; tutte le marche che delocalizzano sfruttando manodopera sottopagata e contribuendo alla semi-schiavizzazione di masse non sindacalizzate che prima o poi dovrebbero insorgere e scacciare i padroni. Andrà a finire che ti vestirai con robaccia dei grandi magazzini, solo indumenti poco costosi, prodotti in Italia, possibilmente riciclati, o di seconda mano. Da un giorno all’altro i tuoi discorsi saranno sempre infervorati e infarciti di concetti astratti e parole composte come “impegno civile”, “lotta di classe”, “plutocrazia bancaria”, “anarco-rivolta”, “fascio-capitalismo”, “dollar-dittatura”, “diktat finanziari”, “post-proletariato”, “schiavi 3.0” eccetera eccetera. Tutta roba che riempie bocca e orecchie, ma che nessuno capisce, di qui l’incazzatura perenne che ti monterà dentro di giorno in giorno, ripercuotendosi anche sulle tue scelte musicali che si faranno sempre più di nicchia: dai Beatles ai Grateful Dead, dai Ramones a GG Allin, da Calcutta ai CCCP, dagli Iron Maiden ai Mayhem, e dopo giorni e giorni di black metal norvegese ti si accenderà una lampadina nel cervello e quella lampadina avrà la forma della “A” cerchiata dell’anarchia. Perché è naturale: chi diventa comunista da giovane attraversa sempre una fase anarchica, e la tua fase anarchica inizierà dalla scoperta di Bakunin, ovviamente, e poi Max Stirner, Kropotkin, Malatesta. Intorno al tuo 22esimo compleanno passerai notti insonni a favoleggiare di utopiche società felici dove non esiste né uno Stato, né la proprietà privata, né regole morali, né tradizioni: qualcosa a metà tra un episodio di “Una mamma per amica” e una puntata di “Live: non è la D’Urso”. E leggerai Proudhon ascoltando l’anarco-punk dei Crass e dei Subhumans, cucirai toppe sulle tue giacche di pelle all’ombra dei tuoi poster di Simone Weil ed Henry David Thoreau. Per qualche tempo sarà Sodoma e Gomorra nel tuo cervellino bombato di ormoni, falci, martelli e “A” cerchiate. Litigherai con tutti quelli che conosci e attenderai con ansia spasmodica il momento di iscriverti all’università, quello che nel tuo inconscio è immediatamente associato allo scoppio della Rivoluzione. Così, dopo la maturità, passeggerai verso la facoltà di Lettere con “La locomotiva” di Guccini nelle orecchie, una copia di “Lotta comunista” sottobraccio e un fazzoletto rosso al collo, aspettando l’inverno per poterti mettere l’Eskimo che hai comprato apposta per l’occasione. Appiccicherai manifesti rivoltosi a colonne di marmo, ignorando vecchi tromboni con dodici lauree che pensano di poterti insegnare qualcosa, a te che hai capito che la vera educazione è quella civile di chi pensa alternativo e non si arrende alla cultura borghese che trasmettono nelle università. Parteciperai a manifestazioni cantando “Bella ciao” e con un testo di Marcuse nello zaino; ti ubriacherai con birre a due euro nei centri sociali più estremisti, scavando nel sottofondo della città alla ricerca di un’altra stilla di rivoluzione per alimentare la fiamma che ti brucia dentro. Col passare degli anni però capirai che quello che stai combattendo, il tuo vero nemico, non è quello Stato canaglia che si asserraglia nei palazzi del potere. Non solo almeno. Il nemico è là fuori, è la gente media, quella che non muore di fame, ma che non ha pensieri nella testa che siano stati messi da qualcun’altro. È la gente che crede alle sparate del politico trombone di turno, del pifferaio magico del momento, e mentre tu passerai anni a paragonare quel politico a Mussolini, quello pian piano declinerà in modo del tutto indipendente da te e da tutto ciò che hai fatto. Scomparirà senza che tu abbia fatto nulla per contribuire e questo ti getterà in un profondo sconforto: avrai passato i tuoi anni migliori a essere incazzato col mondo, ma senza riuscire in nulla di concreto per cambiarlo. Avrai passato anni a sognare altre epoche, battaglie lontane e ormai già vinte da qualcuno che non sei tu. A quel punto avrai più di trent’anni, i capelli lunghi ti staranno male, desidererai un lavoro, dei soldi, una utilitaria, tempo per approfondire le tue passioni; pace sostanzialmente, sostanzialmente questo, e quindi guarderai al futuro con sfiducia. Sai perché?
– Perché prof?
– Perché a sognar rivoluzioni si ha la certezza di rimaner delusi, perché le rivoluzioni son ghiotte dei propri figli, perché il mondo non ha fame di rivoluzione, il mondo ha fame di pane: la gente vuole risposte semplici a bisogni elementari.

– Quindi mi sta dicendo di lasciar perdere e non fare niente, che tanto è tutto inutile? La lotta, la volontà di cambiare, un sogno per cui combattere?
– No, tutto il contrario: ti sto dicendo di non farti fregare dalla comodità di una ideologia, dalla sua relativa sicurezza. Il compito delle ideologie è di fornire risposte, un quadro, uno schema, non a far nascere dubbi. E io è questo che vorrei da te, che fossi un dubbioso cronico, uno che riflette sempre, anche sulle apparenti verità, perché ha i mezzi per farlo. Uno che ha gli strumenti per fabbricarsi le proprie risposte. Sii l’ideologo di te stesso cercando di non canonizzare né demonizzare. Non hai bisogno di un Babau di fronte a te per sapere di essere nel giusto, e sta pur certo che alle tue spalle non ci saranno solo santi.
– Ma prof, così non c’è il rischio di farsi andare bene tutto, oppure di non capirci più niente?
– E perché, in cosa credi che consista lo stare al mondo?
– Avere un sacco di dubbi.
– Corretto.
– E cercare le risposte?
– E studiare tanto per poterle trovare.
– Mmm.

– Posso consigliarti un dubbio da cui potresti cominciare?
– Mi dica prof, mi verrebbe utile.
– Questa ragazza, sei sicuro che faccia al caso tuo?

Federico Asborno

Questo articolo è un’opera di fantasia pubblicata originariamente nella pagina Facebook di Federico Asborno e gentilmente concessa ad Auralcrave per la ripubblicazione

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