Climax: l’ultimo incubo di Gaspar Noé

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Una scuola abbandonata, un gruppo di ballerini, un’enorme bandiera (della Francia), musica, colori psichedelici. Forme che danzano frenetiche e si uniscono in una magnifica composizione umana, corpi seducenti che si intrecciano in numerosi, veloci, prepotenti movimenti. Il film inizia pieno di vitalità, con una coreografia ipnotica, ricca di ritmo ed energia. Sono molti i ballerini ed è impossibile poterli seguire tutti nei gesti. L’attenzione cade su uno, poi su un altro, eppure tutto è così equilibrato, c’è una connessione tra di loro.

Il provocante regista argentino Gaspar Noé (Enter the Void, Irreversible, Love) ci svela la sua ultima œuvre cinematografica, Climax, che vede una troupe di ballerini hip hop riuniti in una sala prove remota cadere in un turbine di ferocia e pazzia quando scoprono che ai loro drink è stata aggiunta della LSD. Il film è stato presentato alla Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes 2018 ed in seguito in Italia all’apertura del ToHorror Film Fest.

Climax trailer official (English) from Cannes

La pellicola fin da subito, poco dopo la danza iniziale, trasmette un lieve senso di angoscia, allerta, pericolo imminente. La presenza di un bambino rende il tutto ancora più strano. Nonostante i partecipanti siano individui unici nel loro genere, più li si guarda danzare, più il gruppo sembra un’intera massa unita e uniforme, nonostante il caos ipnotico dei movimenti. Sembrava ci fosse una connessione tra di loro all’inizio, invece c’è molto dietro le quinte che non viene raccontato. Infatti, ci troviamo al terzo ed ultimo giorno di questa specie di ritiro che ha lo scopo di insegnare la coreografia di questa danza movimentata. Si scopre presto che la storia sta diventando lentamente un incubo (allegorico) che cerca di descrivere a modo suo la parte peggiore della natura umana. Avidità, giudizio, superficialità ed inettitudine.

Una scuola abbandonata, un gruppo di ballerini, una festa, un’enorme bandiera, la droga nella sangria. L’inferno.

Ad un certo punto tutto gira. Sembra di trovarsi all’interno di un girone dell’inferno descritto da Dante, nel trambusto più totale, con inquadrature sottosopra e luci rosse intermittenti che non fanno altro che creare uno stato di confusione nello spettatore, una sorta di allucinazione ad occhi aperti, impregnata di una sensazione di pesantezza mentale e disagio. Conosciamo Gaspar Noé, ed è abile nel drogarci con le sue sequenze visive, ma non è più una sensazione piacevole. Si vuole scappare da questo senso di angoscia eppure continuiamo a fissare lo schermo, incapaci di dire basta a tanta esagerazione. I dialoghi diventano irreali, la solitudine prende il sopravvento su qualcuno mentre altri preferiscono restare in gruppo.

La musica è costantemente accesa, la musica non deve finire. Resta infatti il sottofondo costante e ritmato di musica elettronica. La gente continua a ballare, molti urlano e gridano, qualcuno sparisce. Chi ha messo la droga nella sangria?

La droga fa emergere nei protagonisti le problematiche interiori e le paure di ognuno. I pensieri più oscuri sono facili da nascondere in situazioni di normalità nella vita, per esempio dietro azioni come un ballo (un artefatto che permette a chi lo pratica di essere qualcos’altro per breve tempo), ma se lasciati liberi di nuotare in mezzo ad un lago dalla natura primordiale con la capacità di eliminare ogni inibizione, emergono liberi, selvaggi e pericolosi distruggendo ogni cosa attorno. Se si volesse dare un tema generale della pellicola, sarebbe quello di mostrare quanto sia sottile la membrana che separa la civiltà, la correttezza, la pudicizia degli esseri umani – in questa società apparentemente controllata – dall’istinto animale insito in ognuno di noi, feroce e cannibale, capace di sormontare qualunque cosa.

Questo lo si vede bene nel piano sequenze e nell’impercettibile mutare di espressione dei protagonisti in seguito all’assunzione di LSD bevendo la sangria. Questa tenue scalata all’orrore è ora un climax appunto, un climax ascendente verso la paranoia che sfocia in una estenuante ricerca di pace, tra individui e verso sé stessi. Le tematiche trattate sono molte, si va dall’aborto alla disperata ricerca di amore, dal sessismo all’omosessualità, dalla violenza verbale a quella fisica. Un mix di umori e desideri differenti.

È difficile giudicare Climax come pellicola cinematografica. È sicuramente qualcosa di nuovo, un’esperienza di disagio, al limite del masochismo visivo che reinventa il genere horror (se lì lo si vuole collocare), mutando la classicità dello splatter e della paura, dello spavento in qualche sentimento primordiale ed animale, posizionandolo in una sfera moralmente sbagliata, direzionandolo nella paranoia, ma accettato perché estremamente naturale e reale nelle sensazioni. Lo spettatore si sente coinvolto perché immagina cosa i protagonisti stanno provando, è costretto a farlo per entrare in ognuno di loro e cercare di comprenderli, cercando di salvarli dal malessere e dalle pulsioni collettive. Un film complesso nella sua originalità, che forse avrebbe avuto bisogno di rinforzi di trama data la numerosità dei caratteri, ma che alla fine di tutto convince perché ci fa provare davvero un’emozione delirante.

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