Il Giovane Karl Marx: un film ambizioso sull’idea che cambiò il mondo

Pensiamo a dove è nato il concetto di Socialismo: la nostra cara Europa, dove oggigiorno si fa di tutto per contraddire questo nobile pensiero, e non a partire dai soliti “potenti”, ma da quella che una volta si sarebbe chiamata, “classe lavoratrice”. Come avrebbe detto uno dei più grandi intellettuali della storia italiana, Pierpaolo Pasolini, le uova del Capitalismo si sono instillate nelle menti, non solo del popolo italiano ma in diverse parti del mondo. Ma quanto poteva durare un sistema basato sull’indebitamento e lo sfruttamento dei paesi in via di sviluppo? Perché è ovvio che tutte le nazioni poi alla fine avrebbero voluto perseguire la strada dell’agio. E con le mega economie cinesi ed indiane in pieno decollo, a cui “saggiamente” abbiamo affidato la manodopera a basso costo, e con una crisi economica sproporzionata, ci siamo trovati assolutamente impreparati e privi anche di quella voglia di tirare la cinghia tipica dei nostri nonni.

Di questo ne hanno sicuramente giovato i grandi investitori, che hanno ancora di più esteso i loro profitti a discapito di una classe media agonizzante e priva di spunti per riemergere, erodendo sempre di più diritti acquisiti con grande sforzo come la sanità pubblica e l’istruzione. Se a questo aggiungiamo venti di un certo sapore rétro, che hanno completamente confuso le idee del popolo, e persone al comando non proprio all’altezza della situazione, ne viene fuori un’Europa che si sta tramutando in un continente senza coscienza e pieno di paura. La crisi del Capitalismo si è paventata più volte, da quella famosissima del 1929 sino a quelle degli anni ’70 e ’90, non però con questa ferocia, mietendo vittime esattamente come una guerra in armi.

Ecco perché i concetti espressi da Karl Marx sono tornati così d’attualità. In paesi supercapitalisti come gli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo, sull’onda dell’elezione di Donald Trump presidente, che ha aumentato la consapevolezza che, continuando di questo passo, oltre alle tenute delle democrazie c’è molto di più in gioco: l’esistenza stessa del Pianeta.

Il giovane Karl Marx - Trailer Italiano Ufficiale | HD

Raoul Peck, regista haitiano che con il suo L’uomo sulla banchina nei primi anni Novanta è riuscito a portare per la prima volta un lungometraggio caraibico al Festival di Cannes, si è cimentato in un’opera non semplice, per via dell’aura quasi sacra che rappresenta Marx, rischiando di dare un tocco quasi macchiettistico all’uomo che ha dato una impronta determinante a tutto il Ventesimo secolo. In realtà, ai cento anni appena compiuti dalla Rivoluzione d’Ottobre, il regista riesce a non cadere nei classici declami, rendendo il racconto fresco, entrando a testa bassa nell’intimità del giovane Karl, raccontando in modo intransigente anche l’amicizia con Friedrich Engels.

La macchina da presa di Peck si salda soprattutto ai volti dei protagonisti, tra cui spicca anche una bravissima Vicky Krieps nel ruolo di Jenny von Westphalen, nobildonna tedesca e moglie del filosofo, così da creare una sorta di ritratto dei protagonisti, ed includendo lo spettatore più che nelle idee, nella fase di sviluppo di esse. La fotografia pulita ed essenziale ci conduce al già citato Courbet, raffigurato proprio nella pellicola, mentre si appresta a realizzare il ritratto dell’anarchico francese Pierre-Joseph Proudhon.

La minuziosità nel ricostruire gli ambienti dove Marx ha vissuto, ci fa vedere in una veste inedita il filosofo da giovane, con tutte le sue insicurezze, le ristrettezze economiche, ma anche il grande senso di dignità e le idee radicali che avrebbero cercato di rendere giustizia ad una classe vessata. Il famoso “Quarto Stato”, a cui il pittore italiano Giuseppe Pellizza da Volpedo avrebbe reso omaggio nei primi del Novecento con un’opera che dovrebbe essere ancora fonte di ispirazione per tutti i movimenti operai del mondo.

L’animo e la determinazione del giovane filosofo, arriva sino alle fabbriche, unendo i destini di un intero continente, questo anche grazie all’interpretazione del protagonista, August Diehl, conosciuto ai più per il ruolo del Maggiore della Gestapo Dieter Hellstrom nella pellicola tarantiniana Bastardi senza Gloria. Il tutto avviene centosettanta anni dopo la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista, dove all’epoca fare politica non era di certo un mestiere, ma la voglia di rispondere ad alcune domande per il bene comune e la passione per le idee, dove le persone rischiavano in prima persona la galera o addirittura di rimetterci la pelle.

Il film, per la particolare epoca in cui malgrado siamo costretti a vivere, assume un significato educativo: il ritratto principale che ne esce, anche con una calibrata leggerezza, è quella di un uomo profondamente inquieto, che conosce tutti i maggiori ideologi dell’epoca, concedendosi anche di battere a scacchi Bakunin, ponderando di ribaltare l’idealismo hegeliano ma vivendo nella normalità e nei problemi della sua vita privata, sfiorando solo gli eventi storici di metà Ottocento. Peck ci racconta dell’Europa ai tempi di Marx, che per molti aspetti è simile a quella odierna: all’epoca la rivoluzione industriale, oggi quella digitale, entrambe hanno sottratto e stanno sottraendo posti di lavoro, e a questo si aggiunge la questione razziale, prima con gli immigrati irlandesi in Inghilterra (per fare un esempio, di cui Marx nei suoi scritti ha ampiamente parlato), ora con quelli che ci giungono dall’Africa.

L’opera non è certamente “militante”, come qualcuno potrebbe sospettare, ma fa capire a chi guarda l’organizzazione che Marx vuole imprimere alla classe operaia prima di ribellarsi, e chiarendo un motto che oggi si dovrebbe urlare a gran voce per le strade: “La conoscenza è quella che ci da consapevolezza, l’ignoranza non può giovare a nessuno!”. Anche questo è sintomo di una somiglianza con i tempi dell’informazione assoluta, in cui molti non sanno mai di cosa parlano, brandendo magari una qualche forma di approvazione sui social media ed incensandosi da censori e cultori di verità assolute. Con le note di Like a Rolling Stone di Bob Dylan si conclude un percorso che iniziato più di un secolo e mezzo fa, ma che ancora crea dibattiti e critiche feroci, ma di certo non si può far a meno di prenderlo in considerazione.

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