Un Lupo Mannaro Americano a Londra: il comic-horror di John Landis

Posted by

“Trovo che nell’horror ci sia molta più comicità di quanto si crede. Prendi Frankenstein, non è comico?”

Così ha affermato John Landis, ospite speciale all’undicesima edizione del Festival europeo del film fantasy di Strasburgo, presentando la proiezione del suo Un lupo mannaro americano a Londra (An American Werewolf in London, 1981). Effettivamente il cinema dell’orrore e quello comico condividono da sempre almeno due caratteristiche: la rottura della verosimiglianza in direzione del paradosso, e il rifiuto del realismo in funzione del grottesco.

Tuttavia il film di Landis risulta in questo ancora più indefinibile: non è solo spiccatamente comico come Per favore, non mordermi sul collo! di Roman Polanski o dichiaratamente parodico come Frankenstein Junior di Mel Brooks. La parodia punta ad ottenere nello spettatore l’effetto opposto all’opera parodiata, eppure Un lupo mannaro americano a Londra ha molte scene davvero spaventose. Inoltre, altra caratteristica ricorrente della parodia è l’annullamento della finzione filmica attraverso effetti scenici e artifici volutamente di bassa qualità, in modo da denunciarne la finzione: ebbene, se lo scopo del film fosse stato solo questo, Rick Baker, addetto agli effetti speciali, non avrebbe vinto l’Oscar al miglior trucco, e la pellicola stessa non avrebbe ricevuto il Saturn Award come miglior film horror (non commedia!) lo stesso anno.

An American Werewolf in London Trailer

John Landis, fra gli ultimi eredi di quella tradizione nata nella seconda metà degli anni ’60, nota come new Hollywood, che aveva scardinato, genere per genere, la compattezza narrativa e le pretese morali del cinema classico americano, nel 1981 aveva già in tasca due film destinati, per la loro folle genialità, a entrare nella storia: Animal House del 1978, scanzonato atto di accusa a tutte le autorità accademiche e istituzionali statunitensi nonché capostipite del college film, e il musical comico The Blues Brothers del 1980, probabilmente il film con più battute e scene cult della storia della Settima arte. L’idea di una sceneggiatura basata sulle superstizioni soprannaturali ha però per Landis radici più lontane: nel 1969, trovandosi per delle riprese in Jugoslavia come operatore di infima importanza sul set, il futuro regista assistette a un corteo funebre in cui il corpo del defunto, un criminale della zona, era agghindato di trecce d’aglio e monili religiosi allo scopo di scongiurare un suo possibile ritorno dal mondo dei morti. Landis concepì così una trama che dell’incursione dell’irrazionale nel mondo quotidiano fa il proprio argomento principale.


La trama

La trama inizia, quasi da cliché, con un giovane turista americano, David (David Naughton), impegnato in un trekking di ventura nelle nebbiose campagne dello Yorkshire assieme all’amico Jack (Griffin Dunne), che sul far della piovosa notte si imbatte in una locanda dall’invitante nome “L’agnello macellato”. Lo Yorkshire rispetto a Londra è un po’ come Tebe rispetto ad Atene nella tragedia greca o il paese di Twin Peaks per David Lynch: è lì che accadono le stranezze, è lì che il senso comune viene meno e tutto diventa possibile. Gli avventori del pub, dei campagnoli crapuloni e scontrosi assolutamente stereotipati, si mostrano infastiditi dalla presenza dei due americani e li cacciano, avvisandoli di non uscire mai dal tracciato del sentiero (dove l’abbiamo già sentita? La locanda di villici terrorizzati è presente in qualsiasi storia di vampiri da Dracula in poi e l’avviso di non perdere la strada risale addirittura a Cappuccetto Rosso).

Ovviamente i nostri si perdono dopo cinque minuti e vengono attaccati da una non meglio identificata creatura. Jack viene subito ucciso, mentre David tenta invano di fuggire, viene ferito dal mostro e tratto in salvo dall’avvento tempestivo dei paesani armati di fucile. Che si tratti di un episodio di licantropia lo spettatore lo sa fin dal titolo, eppure le forze dell’ordine e i medici di Londra presso cui David si risveglia dal coma e sono convinti che i giovani siano stati vittima dell’aggressione di un criminale e che il sopravvissuto sia sotto shock per la morte dell’amico. Fra un incubo macabro e l’altro David, convalescente e affidato alle cure del razionalissimo ma attento dottor Hirsch (John Woodvine), si innamora della bella infermiera Alex Price (Jenny Agutter). Soprattutto, riceve l’inaspettata visita del “fantasma” di Jack, lacerato e già in fase di putrefazione: questi, oltre a mostrarsi scocciato per il mancato soccorso del codardo compagno, gli rivela che entrambi sono stati attaccati da un lupo mannaro (ma che sorpresa!).

David, sopravvissuto, ha incorporato lo spirito della creatura uccisa dai paesani ed è destinato, nelle notti di luna piena, a trasformarsi in licantropo a sua volta; Jack invece è costretto a vagare in un limbo da non morto fino alla fine della maledizione: la quale può essere spezzata solo da David, togliendosi la vita. In preda ai sensi di colpa e terrorizzato dall’idea di poter mietere altre vittime, David non rinuncia tuttavia a farsi ospitare da Alex. Fra i due scocca la scintilla della passione, e come da copione lei lo lascia solo a casa, per il turno in ospedale, proprio la prima notte di luna piena.

David si muta in lupo mannaro, gira per Londra ad azzannare un buon numero di avventori e si sveglia il mattino dopo, nudo, nella gabbia dei lupi allo zoo. La trama si fa sempre più incalzante: il dottor Hirsch, insospettito dalle morti misteriose, fa visita alla locanda e prova invano a fare delle domande ai terrorizzati e sospetti paesani, che sembrano serbare un terribile segreto; Alex, convinta dell’innocenza di David, impedisce all’amato di uccidersi; questi tenta di farsi arrestare urlando, nel mezzo di Trafalgar Square, insulti rivolti al principe Carlo e si rifugia in un cinema a luci rosse. Qui incontra di nuovo Jack, sempre più putrefatto e scocciato, assieme agli altri non morti aggrediti la notte precedente, e compie la sua ultima trasformazione. Il finale è sbrigativo e abbastanza ovvio, ma gli elementi per rendere unico questo film ci sono già tutti.


L’analisi

“Ti sembra normale starsene in un cinema porno a Piccadilly Circus a parlare con un cadavere?” (David)

In primis, i diversi registri di umorismo presenti: si passa dallo slapstick di David che corre nudo per Londra coprendosi le parti intime con i palloncini rubati a un bambino, al british humor dei non morti che consigliano in tutta cordialità al protagonista come uccidersi, dal non-sense dei sogni del protagonista (in cui compaiono anche Kermit la rana e Miss Piggy, accreditati “nel ruolo di se stessi” nei titoli di coda. Frank Oz peraltro ha una piccola parte come attore), fino al black humor vero e proprio del massacro finale che avviene nel cinema, mentre sullo schermo il film pornografico, anch’esso assolutamente stereotipato, prosegue ininterrottamente. In secondo luogo, l’intelligente uso dei cliché: durante tutto il corso della storia sappiamo cosa aspettarci e soprattutto lo sa David, eppure nessuno fa nulla per impedire che ciò accada. Quando questi si trasforma per la prima volta, è intento a leggere un libro nel salotto di Alex per noia: non c’è effetto sorpresa, era ovvio fin dall’inizio che lui quella notte sarebbe diventato un licantropo, così come ovvio e naturale in modo straniante che Hirsch indaghi senza nulla ottenere e che l’infermiera si innamori del paziente.

In sottofondo si avverte anche la rappresentazione tipica e stereotipa, degli americani secondo gli inglesi e degli inglesi secondo gli americani (il film è una coproduzione): gli uni ‘naturalmente casinisti’ e bambineschi, gli altri così flemmatici e razionali da non accorgersi che qualcosa non va. Il film è una lunga sequenza di stereotipi e non-colpi di scena, eppure è proprio in questo che risiede la sua forza paradossalmente comica.

Quanto alle componenti macabre e più propriamente horror del film, oltre ad alcune sequenze di ottima fattura registica (la scena dell’aggressione in metropolitana è degna di un vero thriller), esse sono affidate alla bravura di Rick Baker e ai suoi rivoluzionari trucchi utilizzati per i non morti e per David versione licantropo. Proprio la scena della sua mutazione rimane probabilmente la più famosa e indimenticabile di tutte: nel soggiorno di Alexis, mentre una tranquillizzante Blue moon fa da sottofondo musicale, il nostro, a quattro zampe sul pavimento, si contorce e urla a squarciagola mentre si vede spuntare i peli, allungare gli arti e deformare il muso. Una sequenza che ha richiesto oltre 60 ore di lavoro, talmente surreale da meritare a pieno titolo l’appellativo di ‘horror’ e tuttavia immancabilmente divertente.

Il film, come altri di Landis, oggi è considerato un cult. Numerosi gli omaggi ricevuti nel corso del tempo, da The Walking Dead a Dylan Dog, e appena un anno l’uscita nelle sale un certo Michael Jackson reclutò proprio Landis e Baker per girare il più celebre videoclip della storia della pop music: Thriller. Di parodie di film horror, più o meno mediocri, ne abbiamo viste dal 1981 in poi: la saga di Scary movie, coi suoi (molti) bassi e i suoi (discretamente godibili) alti ne è l’esito più recente. Eppure Un lupo mannaro americano rimane unico, proprio perché riesce a imporsi nella storia non di uno, ma di ben due generi cinematografici differenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.