Nel 1998, quando uscì Velvet Goldmine, i fans dell’amato David Bowie gridarono alla meraviglia. L’hype era altissimo e l’attesa venne ripagata con un film che crea dipendenza per due motivi principali: la bravura del cast e una colonna sonora indimenticabile.
Se non conoscete Velvet Goldmine (il film, non la canzone di Bowie – quella diamo per scontato la sappiate a memoria), la nostra raccomandazione è di recuperarlo immediatamente. La pellicola racconta dell’esplosione della musica glam rock in Inghilterra, fatta di suoni, apparenza, immagini, una scena che affascinò ben presto anche la lontana America e i suoi artisti, seppur all’inizio riluttanti.
Nei mesi prima dell’uscita si vociferava che il film avrebbe raccontato la vita del buon Bowie, tant’è che in principio le canzoni inserite nella colonna sonora dovevano essere quelle del Duca Bianco. Immediatamente però Bowie prese le distanze dal progetto, affermando che quella non era affatto la sua vita, che quelle non erano le sue relazioni e inoltre non voleva che dal film si travisasse la sua esistenza.
Al che Todd Haynes, assieme ai produttori, si è rimboccato le maniche e ha fatto sì che la pellicola avesse una colonna sonora per buona parte originale, fatta di inediti suonati da una band formatasi esclusivamente per portare a termine il progetto: I Venus in Furs. Il nome del gruppo viene (che ve lo dico a fare) da una canzone dei Velvet Underground e i componenti non erano propriamente i primi 4 disgraziati presi per strada: si trattava infatti di Thom Yorke e Jonny Greenwood dei Radiohead, Bernard Butler dei Suede e Andy Mackay dei Roxy Music. Capite bene che non poteva uscire nient’altro che un capolavoro.
In qualche canzone possiamo ascoltare l’inconfondibile voce di Yorke, la cosa bella però è che la maggior parte delle volte i brani vengono cantati dai protagonisti: Jonathan Rhys-Meyers (Brian Slade), Ewan McGregor (Curt Wild) e Christian Bale (Arthur Stuart). La “leggenda” vuole che J.R.M. interpreti la parte di Bowie, E.M.G. invece quella di un Iggy Pop con delle influenze Jaggeriane. Questo perché tutt’ora si pensa che il compianto David avesse avuto una relazione omosessuale con Jagger, storia ripresa nel film, e che anche l’amicizia con Pop fosse particolare, quindi Curt Wild doveva essere un misto tra il frontman degli Stooges che quello dei Rolling Stones. Esame passato ottimamente. Una menzione onorevole va a Toni Collette, Mandy Slade, stupenda e caratterizzata eccezionalmente.
Il film si sviluppa in base alla storia di Arthur Stuart un giornalista interpretato da Bale al quale viene affidato un articolo dedicato all’artista Brian Slade e alla sua scomparsa, avvenuta anni prima quando lui era ancora un teenager. Ne approfitta così per scoprire anche che fine hanno fatto i protagonisti di quegli anni ’70 tanto amati, tanto rimpianti e con i quali era riuscito anche ad avere un rapporto seppur effimero.
Durante le sue ricerche, tramite i racconti di chi quei tempi li ha vissuti da vicino come ad esempio manager e mogli, scopre di come Slade è diventato il Re del glam rock, di quanto Curt Wild ha influito su questo e di quanta disperazione c’era dietro a tutti quei glitter. L’ascesa e la discesa del Re sono molto simili alla storia di Ziggy Stardust ma niente è come sembra, proprio come ci ha insegnato il sommo Bowie.
Un altro elemento molto importante e che si muove come filo conduttore durante tutta la trama, è una pietra preziosa inquadrata fin dall’inizio e destinata solo alle persone “speciali”, persone destinate a cambiare in un modo o nell’altro il Mondo, come, ad esempio, Oscar Wilde, ripreso indirettamente nella pellicola.
Non è un racconto complicato, non è di certo Inception, ma è sicuramente meritevole, la soundtrack fa il suo sporco lavoro, il cast è eccezionale e impersonifica alla perfezione lo stile dei personaggi dai quali la storia è stata tratta. Ovviamente non vi spoileriamo nulla, ma aspettatevi voci eccellenti, eccessi, sesso, droga e molto molto rock & roll.