F. F. Coppola, i Doors e il Cuore di Tenebra: l’implacabile apertura di Apocalypse Now

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Buio. Rumori ovattati rimbombano in uno spazio chiuso che probabilmente è la nostra stessa testa. Gli alberi della foresta tropicale, rigogliosa eppure spenta, vista attraverso i fumi gialli della presenza umana. Poi l’esplosione, spaventosa eppure silenziosa. A parte quel rumore ricorrente dell’elica di un elicottero, che vola nella nostra scatola cranica come una farfalla impazzita dentro una lampadina, l’unico suono che si sente è la voce di Jim Morrison e The End. Un modo peculiare di rappresentare lo stato di alterazione mentale del capitano Willard, quegli occhi azzurri spiritati che fissano il vuoto di quella stanza d’albergo a Saigon. Il Vietnam. La guerra. Anche Willard ha visto l’orrore. Ma non sa che ce n’è molto più di quanto pensi.

È così che si apre Apocalypse Now, una delle rappresentazioni più affascinanti della guerra nel cinema di ogni tempo. Con una visione estetizzante che anticipa il modo in cui la guerra, l’orrore, vengono rappresentati nel film. La discesa nel Cuore di Tenebra da parte di Francis Ford Coppola non avviene tramite le urla strazianti di ferite di guerra o le sensazioni alienanti dell’essere umano quando si trova nelle condizioni più estreme possibili. La tenebra di Coppola è nei volti spenti, nella consapevolezza di non appartenere più a nessun mondo, nell’abbandono dell’individuo a sé stesso, in un contesto in cui l’azione individuale è la più insensata in assoluto. “Apocalypse Now non è un film di guerra”, dirà lo stesso Coppola a Vittorio Storaro, scettico riguardo al suo contributo in un film sul Vietnam. Alla fine fece bene a convincerlo: valse a Storaro il suo primo Oscar.

Eppure la scena di apertura di Apocalypse Now nacque per caso, frutto di un’improvvisazione in un momento di tribolazione sul montaggio del film. Chi era presente quel giorno racconta di un Coppola agitato, ubriaco, che si aggirava tra i bidoni degli scarti di pellicola girata per il film, mugugnando tra sé e sé: “ho bisogno di una scena iniziale”. Infilò la mano in uno dei bidoni e ne estrasse questa lunga panoramica astratta su un’esplosione nella foresta, la più grossa che era stata filmata su pellicola prima di quel giorno. In quel momento qualcuno citò The End, la canzone dei Doors. E la battuta venne spontanea: quanto sarebbe buffo far cominciare il film con la frase “This Is The End”?

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Apocalypse Now, la locandina originale

Invece buffo non lo fu per niente. Anzi, fu probabilmente la scelta più azzeccata del film. Partire sottosopra, esattamente come il viso di Willard sfumato davanti al napalm che brucia. Al finire degli anni ’60 il Vietnam non aveva nulla che stesse in piedi da solo. L’insensatezza del dispiego di forze militari in un conflitto avente luogo “nel buco del culo del mondo” era una sensazione che l’America avrebbe maturato quando sarebbe stato il momento, vale a dire troppo tardi. Ma non c’è niente di politico nella rappresentazione della guerra di Apocalypse Now. La questione qui era puramente esistenziale, e in fondo proveniva dalla storia di Joseph Conrad. Ciò che l’umanità era capace di fare, e ciò che il singolo essere umano era in grado di accettare di fronte all’orrore, come parte dell’orrore stesso. Una trappola mortale da cui si scampa solo nel peggiore dei modi. Fuggire da quei luoghi non risolve nulla, perché dal tuo cuore è scomparso il luogo chiamato casa che ti aspetterebbe fuori dall’inferno. Non resta che la tenebra. Da visitare rigorosamente da solo.

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