In bancarotta la compagnia che possiede Beatport: cosa significa e quanto siamo coinvolti

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È rimbalzata lunedì su tutti i magazine, sia quelli di business che quelli musicali, la notizia della dichiarata bancarotta di SFX Entertainment, la giovane compagnia americana organizzatrice di festival EDM come Tomorrowland ed Electric Zoo, in possesso tra l’altro della piattaforma online di compravendita di uscite discografiche digitali che conosciamo tutti, Beatport. Ed è una notizia che ha suscitato emozioni contrastanti e cariche (forse troppo) di significato, da quelli che la interpretano come “la prova ufficiale che l’EDM economicamente è morta(la SFX ha sempre voluto identificarsi con quel sound e in effetti il suo momento di massima salute è coincisa con gli anni di maggior successo dell’elettronica commerciale) o “l’amara conferma che con la musica nessuno fa più soldi“. La cosa in realtà è un tantino diversa, soprattutto se analizzata in termini puramente economici.

Da quando è nata, SFX Entertainment ha avuto ogni anno ricavi negativi. Il che significa che ogni anno i costi erano superiori ai guadagni e che l’azienda stava “perdendo soldi” ogni giorno. Il che all’uomo comune suona come la prova schiacciante di un prodotto fallimentare, per cui viene immediata la conclusione che “il prodotto” (sia esso Beatport, Tomorrowland o tutta l’EDM) sia da considerarsi un fallimento. In realtà, nel mondo del business le cose sono un tantino più articolate. Il ricavo negativo non è sempre, per forza, sintomo di un modello di business fallimentare. È semplicemente un modello di business, in cui si sceglie di affrontare dei costi maggiori delle entrate attuali nell’ottica di aumentare la qualità dello stesso business nel futuro. È una cosa parecchio comune in realtà, soprattutto tra le aziende che non vendono prodotti materiali come quelle manifatturiere. Molte grosse compagnie, riconosciute unanimemente come modelli di business di successo, hanno avuto o hanno ricavi negativi. Amazon ha registrato ricavi negativi nel 2014, e questo ha convinto tutti del valore dell’azienda al punto che l’anno dopo il suo valore di mercato è raddoppiato. Netflix ce li ha avuti nel 2012 ed è stata a lungo vicina al pareggio costi/guadagni, nel periodo in cui ha iniziato a espandersi nel mondo affrontando i costi di ingresso in nuove nazioni. Sono solo un paio di esempi su nomi noti a tutti.

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In sé, il fatto che la compagnia detentrice dei guadagni di Beatport e Tomorrowland sia in perdita non significa che Beatport o Tomorrowland sono realtà fallimentari. Anche perché non sappiamo in che misura essi abbiano contribuito al bilancio aziendale complessivo. La SFX aveva un modello di business che la aveva portata ad avere quel tipo di bilancio. Tutto qui. Quel che è accaduto è che il respiro a lungo termine è venuto meno e lo stato di salute complessivo dell’azienda non gli ha offerto la confidenza necessaria a garantire la copertura dei debiti nel breve termine. Da qui la bancarotta.

Cosa comporta questo per le singole realtà come Beatport? Lo vedremo, ma probabilmente molto poco. Anzi, qualcuno vede addirittura ciò come una svolta positiva per la piattaforma online, che adesso probabilmente si farà valere come prodotto singolo capace di vantare un proprio bilancio di successo. Nel breve termine, la dichiarazione di Beatport è stata chiara: “il business continua come sempre, il sito è pienamente operativo, le release continuano ad arrivare e i pagamenti restano evasi con regolarità“. Se la domanda è “Beatport è un prodotto di successo?“, la risposta è: sì. Perché si è affermato come realtà di riferimento nel commercio delle dj tracks e lo resta ancora. Se invece la domanda è: “Beatport è un prodotto economicamente sostenibile a lungo termine?“, la risposta la avremo nei prossimi tempi, quando capiremo se il portale è in grado di produrre profitti in grado di autolegittimare la propria esistenza. Risposta che non avevamo finché il suo bilancio restava affogato in quello più grande della SFX. Ma risposta che, sinceramente, dubitiamo essere negativa.

Che invece l’EDM sia morta e il Tomorrowland non sia economicamente sostenibile, beh, questa è un’altra storia tutta da capire. Perché, in quanto uno dei simboli più plateali del festival elettronico contemporaneo, il Tomorrowland difficilmente farà fatica a coprire i propri costi. Mentre che l’EDM come marchio stia andando a morire… beh, ce ne stiamo accorgendo da tempo, e lo riconosciamo soprattutto da quanti dei protagonisti del picco EDM del 2012 ora iniziano a parlare sempre più spesso delle proprie produzioni recenti come “deep” (Martin Garrix, Valentino Khan e la OWSLA, insomma se seguite Aural Crave non vi sarà sfuggito), proprio a rilevare da tempo l’esigenza di superare la definizione di EDM per le varie accezioni negative che si è attirata negli anni. Ma è tutta questione di etichette. Il concetto di musica elettronica tagliata per le vendite sarà dura a morire ancora per parecchio tempo.

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