M.I.A., i rifugiati e le polemiche inconsistenti‏

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Non si capisce questa volta su che basi scatta la polemica sull’ultimo video di M.I.A., Borders, uscito pochi giorni fa e diretto dalla stessa artista, che ha voluto rappresentare con immagini amare l’odissea dei rifugiati ai giorni nostri. Polemica che, per chi non lo sapesse, è scoppiata in tempo reale e solo tra le mura di casa nostra, ovviamente, alimentata da un quantomeno coraggioso articolo su DJ Mag Italia per il quale non è possibile trovare alcun riscontro analogo tra i magazine internazionali. D’altronde cosa volete che ne capiscano, all’estero, della sottile arte della polemica iterativa?

Beh, ovvio, è opinionismo. E sembra sempre più difficile identificare la linea di confine tra l’opinione legittima che stimola riflessioni e dibattiti anche tra i lettori di opinione avversa e la retorica acrobatica che si espone per il solo scopo di aver detto la propria. Anche quando “la propria“… beh, non c’è. Tipo quando si dice che “non è certo compito dell’artista cool di turno farci sapere come va il mondo” e poi ci si ravvede imbarazzati commentando il ruolo di denuncia che l’arte ha avuto più o meno da sempre. O lamentando che è il tempismo del video che trasuda paraculaggine strumentalizzata. Siamo affetti della sindrome di Barbara D’Urso, qualcuno ha fatto il vaccino ma dev’esserci qualche effetto collaterale non ancora sotto controllo.

Anyway. Non fateci troppo caso, guardatevi il video in totale tranquillità. Qui la notizia è che M.I.A. è tornata quella di una volta, con un’immagine pubblica sensata e razionale e un sound che torna finalmente ad avere quell’equilibrio perfetto tra movimenti occidentalie e retaggi mediorientali. Equilibrio perfetto che, per inciso, in passato si era avuto esattamente qui. E visualmente non rendeva bene come adesso.

P.S.: sì, avete ragione, in questo articolo sono polemico e inconsistente contro la polemica inconsistente. Ve l’ho detto, è un virus.

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