Internet: da Sant’Agostino a Marc Augé

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Se dovessi dire che cos’è internet, come S. Agostino di fronte alla questione del tempo, mi troverei in difficoltà [1] perché ciascuno di noi è calato dentro questa dimensione, che appare irriducibile e dunque Nulla a me di senso, essendo io come tutti on-life, secondo l’accezione creata da Luciano Floridi [2].

Se però mi addentro nel problema, affiancherei world wide web a un’altra parola, quasi un sinonimo, non-luogo.

Ecco che cosa dice wikipedia dei non-luoghi: “In contrapposizione ai luoghi antropologici, Marc Augé definisce i non-luoghi quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet, i campi profughi, le sale d’aspetto, gli ascensori. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso a un cambiamento (reale o simbolico).

Francesco De Grandi, 18 maledetti disegni, inchiostro e collage su carta, 18×18, 2020

Il mondo di Internet è uno spazio senza identità in cui gli individui si relazionano nell’anonimato [3], conditio sine qua non delle connessioni che vi si stabiliscono, mediante le quali si genera una sorta di sospensione del tempo e dello spazio, assimilabile, se si privilegia l’aspetto sonoro, a un rumore fastidioso di fondo, a una realtà a sé stante e onnipervadente come il brusio degli autoveicoli e dei mezzi di circolazione (auto, navi, aerei, carrozze, traini, barche, biciclette, ecc.) che si propaga durante le ore del giorno e della notte, sottofondo aggressivo del pianeta, ossessione ritmica capace di coprire le distanze con un cicaleccio e uno stridio continui, un fragore, un rombo, un ruggito echeggiante di motori e turbine che annullano la pace e il silenzio (e coprono suoni, fischi, gorgheggi, ululati) in un continuum che asseconda lo spirito di nomadismo dell’essere umano, il suo andare dovunque per essere in nessun luogo preciso, proprio come il worm, il verme del fumetto [4], che lascia la sua bava o una traccia e ogni volta muore per rinascere in una nuova striscia, sempre dentro uno spazio ben ristretto, dentro un carcere, uno spazio obbligato, la distanza necessaria di cinque caselle occupate dal blabla universale che scandisce la lunga marcia che attraversa in lungo e in largo il pianeta per morire con lo spegnersi dei computer e ricominciare da capo alla loro accensione, sfrigolio di parole e immagini nel vuoto che ci permea e ci nutre e ci attraversa con la materia nera delle onde elettromagnetiche di cui è fatta la sostanza volatile di Internet e di cui siamo sempre più “fatti” noi, ebbri drogati in attesa del nuovo modello di I phone e del 5 G, ovvero di quella sostanza che per inocularsi deve distruggere le barriere degli alberi, distruzione allegorica della Natura: finiremo anche noi per trasformarci in onde elettromagnetiche in bit o quanti di Internet, abbandoneremo ogni parvenza di materialità naturale per tramutare in artificiale onda capace di attraversare il vuoto senza corpo, noi, invisibili corpuscoli micronizzati, vuoti nel vuoto, nomadi dell’universo pronti a scomparire come monadi nel vuoto cosmico, veicoli di trasporto del messaggio di ciò che fu l’uomo nel suo passaggio sulla superficie terrestre, quando da batterio si trasformò in uomo per poi tornare pigmento e cenere del sottovuoto che tutto regge, mentre questo perpetuo girovagare, accendersi e spegnersi e fare strepito si riflette nell’Immensa Coscienza Universale?

Nicola Caredda, untitled all lined up,  acrilic on canvas, 69×84, 2020

[1] Rileggiamo per favore S. Agostino: “Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so: così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Ma in quanto ai due tempi passato e futuro, in qual modo essi sono, quando il passato, da una parte, più non è, e il futuro, dall’altra, ancora non è? In quanto poi al presente, se sempre fosse presente, e non trascorresse nel passato, non più sarebbe tempo, ma sarebbe, anzi, eternità. Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, in tanto vi riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà, una sola vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere? […]”. S. Agostino, Le confessioni, XI, 14 e 18, Bologna, Zanichelli, 1968, pp. 759.

[2]Luciano Floridi, romano, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, ha coniato il neologismo “Onlife” nel 2013 per rappresentare la nuova condizione umana nell’era del digitale,  in cui non si distingue tra online o offline”, ma neanche tra virtuale e reale, fondendosi il digitale con l’analogico.  Nasce una nuova fase definita iperstorica in cui le differenze tra umano e macchina non sono più sostenibili.

[3]Ci ha pensato lo scandalo Facebook-Cambridge Analytica a smentire questo mio dire.

[4] C’è chi mi aiuta a ricordare dove l’avevo incontrato? Nelle strisce di Linus, forse, tanto tempo fa, un fumetto di un autore straniero.