Il brutto pasticcio della chiusura del Fabric a Londra

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Forse è una cosa che sentite lontana da voi, come se non vi riguardasse, eppure è una vicenda che riguarda più la scena politica e culturale in cui viviamo che il caso specifico di un club a cui è stata revocata la licenza. Parliamo della chiusura decisa questa settimana di una delle location dance simboliche di Londra e del clubbing mondiale, il Fabric, uno dei club più famosi del mondo, punto di riferimento della capitale britannica e detentore anche di una delle serie mixtape migliori dei nostri giorni.

Il club era rimasto chiuso per 28 giorni a partire dal mese scorso, per la sospensione della licenza a causa di due morti per droga avvenute il 25 giugno, ma questa settimana le autorità preposte hanno finito di ascoltare le testimonianze e hanno deciso che la licenza è revocata in maniera definitiva. Scatenando il disappunto di tutti, dagli artisti e i giovani di tutto il mondo allo stesso sindaco di Londra Sadiq Khan, che vorrebbe evitare in tutti i modi di lanciare un messaggio tanto negativo al mondo punendo in maniera così severa un simbolo della sua città.

fabric

Alla base dunque ci sta un vecchio conflitto tra autorità e locali sull’uso di droghe, un tema che di tanto in tanto torna alla ribalta fin dalla nascita del clubbing moderno e che scatena polemiche da sempre, tra chi propugna la fondamentale non-responsabilità di un locale sull’uso di droghe al suo interno e chi invece è d’accordo col pugno di ferro delle leggi a riguardo. Fu un tema molto caldo negli anni ’90 proprio a Londra, con la gestione Thatcher e il Criminal Justice Act del ’94 che proibì l’organizzazione di eventi musicali caratterizzati da “beat ripetitivi“, creando di fatto l’era dei rave illegali e il periodo di proibizionismo dance nel Regno Unito. E non è un caso che il nome della Thatcher è stato ripetuto più volte in questi giorni.

Ora, entrambe le posizioni che vi dicevamo sopra possono sfociare nell’eccesso ed è giusto che non lo facciano. Da una parte non è corretto affermare che le autorità non dovrebbero preoccuparsi troppo dell’uso di droghe nella società, e soprattutto nella scena dance che da sempre con le droghe ha un legame stretto, lasciandola alla discrezione della libertà personale finché questa non incida sulla libertà altrui. Perché compito delle autorità non è solo garantire la libertà di tutti ma anche guidare la società verso i valori morali e civici che li identifica, ed è naturale identificarsi in una società in cui i locali dance non debbano esseri posti caratterizzati dall’uso sregolato e fuori controllo di stupefacenti. È responsabilità dei locali garantire controlli e monitoraggi continui, e di fatto è una cosa che fanno tutti i locali del mondo, Fabric incluso.

D’altra parte, però, va definito in maniera chiara su cosa un club è davvero responsabile. Perché se due diciottenni muoiono per l’uso sregolato di droghe durante una serata dance e il locale aveva messo in piedi un sistema di controlli sufficiente, beh, è pacifico affermare che il locale non può essere dichiarato responsabile. La responsabilità sta nella qualità dei controlli, non nel fatto che queste cose accadano e siano accadute (cosa che può capitare anche coi controlli più stretti in assoluto). Il rischio è dar l’impressione che l’amministrazione abbia intenzione di chiudere i club per provare a dare un taglio alla piaga della droga nella scena dance, e anche questo è pericoloso, perché si trasformerebbe in un chiaro messaggio al mondo (ancora una volta) di proibizionismo, per quanto riguarda un’altra di quelle cose in cui la cultura londinese si identifica: la ricchezza, la fantasia, l’unicità della sua vita notturna.

fabricinside

Evitando di cadere nelle posizioni preconcette da ultras sulla vicenda, diamo per scontato che l’udienza di questa settimana a Londra si sia concentrata sulla qualità dei controlli e abbia stabilito che tali controlli non siano stati sufficienti a garantire la sicurezza di quel locale per quanto riguarda l’uso di droghe (la sentenza di fatto dice che le ricerche all’interno del locale hanno svelato un sistema di controlli inadeguato e non compatibile con la licenza, e che “al Fabric c’è una cultura della droga che la gestione non è in grado di tenere sotto controllo“). Se così è (e non abbiamo motivi di non pensarlo, a meno che certe teorie complottistiche ventilate anche in Inghilterra si rivelassero vere), le vicende di questi giorni risultano più comprensibili e meno “schifose“, come qualcuno troppo impegnato a tenere saldo il legame con la base del clubbing vi dirà, secondo lo strano ragionamento che “in questo modo si dovrebbero chiudere tutti i locali di Londra, visto che la droga è ovunque“. Anche queste parole lette in questi giorni, che rischiano di suonare come un incitamento all’illegalità e poco giovano al raggiungimento di una soluzione accettabile per tutti.

Perché l’obiettivo è raggiungerla, la soluzione, augurandosi che non sia stata detta l’ultima parola. Consentendo al Fabric di riaprire dopo aver revisionato in maniera seria il sistema di controlli, sotto la vigilanza delle autorità e con l’intenzione dichiarata di non tollerare l’uso di droghe all’interno del locale (intenzione che peraltro è stata ribadita ieri dal comunicato dello stesso Fabric, che ha riaffermato la propria convinta intenzione di combattere il problema della droga, senza giustificazioni generaliste). È questo il compromesso naturale che si deve raggiungere tra legalità e clubbing, in ogni caso, e l’obiettivo è arrivarci. Sempre. Chiudere i luoghi simbolo della cultura di una città sarebbe una sconfitta per tutti. Anche per le autorità, che in questo modo si mostrerebbero ufficialmente incapaci (o non sufficientemente motivate) nell’applicazione le norme comuni all’interno di un locale pubblico come un club dance. Il Fabric è un patrimonio di Londra e dei giovani di tutto il mondo, e ci auguriamo che presto torni attivo, come prima, meglio di prima.

 

Breve postilla necessaria: chi vi scrive, da giovane ha partecipato a diverse serate dance all’interno di club e città importanti per questa cultura, e spesso ha ritenuto eccessiva la severità dei controlli e delle misure di prevenzione messe in atto dai locali (non vi auguro di essere forzati a lasciare il locale perché si è stati trovati seduti in un angolo con gli occhi chiusi vittima di una normalissima botta di stanchezza, con la sicurezza che invece non vede l’ora di sbarazzarsi di un potenziale caso di overdose). Ma li ha sempre considerati legittimi e necessari. Non fatevi abbindolare da chi vi dirà che sono questi controlli a rovinare la genuinità dell’atmosfera di un locale dance. La genuinità sta tutta nella musica, e basta quella per trasformare quattro mura in uno dei luoghi più artisticamente disinibiti e coraggiosi in cui vi possa capitare di trovarvi.

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