Album: DJ Shadow – The Mountain Will Fall

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A volte noi giornalisti musicali siamo una massa di criticoni tanto assuefatti dalle mille uscite e influenzati dalle nostre posizioni pregresse da tirare fuori giudizi acidi che fondamentalmente non servono a nessuno, se non a chi sia davvero curioso di sapere cosa pensa il magazine A sull’artista B. E con “noi giornalisti” non intendiamo noi di Aural Crave, ma una categoria allargata che include gente ben più titolata come chi scrive per ResidentAdvisor, che resta ancora una delle autorità mondiali riguardo certi sound e al qui presente disco di DJ Shadow ha rifilato un bel 4, giustificandolo con questa teorica “fase confusa dello storico producer californiano, sancita dallo scorso Liquid Amber EP che sfociava chiaramente nel massimalismo commerciale trap/EDM e ribadita con quest’album ugualmente deludente“.

Ora, a parte che definire lo scorso EP una chiara svolta commerciale è un’esagerazione bell’e buona, il problema qui è la solita, nota resistenza dell’ascoltatore storico (quale può essere il caro recensore di ResidentAdvisor) all’evoluzione naturale di un artista che ha fatto un album di debutto (Endtroducing…..) da tutti ritenuto un capolavoro dell’hip hop sperimentale: non ci si accorge che stare al passo coi tempi non è solo una scelta, ma una necessità naturale per un artista che ha cura della propria originalità. Perché essere originali significa non ripetersi, questo è chiaro a tutti, no? E un personaggio autorevole può dare il proprio contributo all’evoluzione corrente dei propri suoni di appartenenza, soprattutto se non ne rifiuta le direzioni mostrandosi ostile verso il progresso.

È questo che fa DJ Shadow in The Mountain Will Fall. Non si uniforma alle derive trap (diffidate da chi ve lo dice perché è un puro preconcetto), ma piega in maniera elastica il proprio sound in modo da offrire una superficie differente al pubblico che oggi segue quel tipo di evoluzione beats. Pubblico che in realtà è meno chiuso e ostile al cambiamento di quanto non lo sia il recensore che odia un DJ Shadow più contemporaneo, e che può apprezzare le pieghe cosmiche della titletrack (qui sopra), i groove di Nobody Speak o lo stile wonky disinvolto di Bergshrund, mentre intanto si identifica con pezzi più vicini alla trap come Three Ralphs o California. Che, per inciso, non possono definirsi in alcun modo una conversione al sound da stadio. Per chi ancora si impaurisce a leggere certe frasi a effetto che tanto piacciono ai criticoni assuefatti che dicevamo all’inizio.

7 / 10

L’album è ascoltabile per intero qui sotto.

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