DogMan di Luc Besson: Dio, il cane e la società

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DogMan è un film uscito da alcuni giorni nelle sale cinematografiche italiane, scritto e diretto dal francese Luc Besson, ispirato alla storia vera di una famiglia francese che rinchiuse il proprio figlio minore in una gabbia, come lo stesso regista ha rivelato nel corso di un’intervista.

Innanzitutto va detto che i veri protagonisti sono i nostri fedeli amici a quattro zampe: la produzione, infatti, ha richiesto la collaborazione di tantissimi cani (il numero effettivo oscilla dai 70 ai 100)! Come protagonista umano, invece, Besson ha affidato l’incarico a Caleb Landry Jones, in considerazione della loro rispettiva passione cinofila. Lo stesso attore ha contribuito all’elaborazione del personaggio tormentato di Douglas, lavorando a fianco del regista francese già un anno prima che iniziassero le riprese del film che sono durate circa sei mesi. Sembra che Jones abbia vissuto per lungo tempo su una sedia a rotelle, per potersi calare in pieno nell’animo del protagonista. La pellicola, prima di uscire in Francia il 27 settembre scorso, era stata proposta in anteprima il 31 agosto, alla 80^ Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Durante la famosa manifestazione tenutasi nella città lagunare, DogMan è stato uno dei film che ha fatto maggiormente discutere, oscillando tra pareri eccelsi ed altri poco lusinghieri.

Il film, girato per la maggior parte nel New Jersey dove è del resto ambientato, si apre con un uomo travestito da donna alla guida di un furgone che, fermato dalla polizia, è costretto a mostrare il suo carico formato da numerosi cani. L’uomo viene arrestato e presto si scopre che è costretto su una sedia a rotelle. Nella prigione di contea dove è momentaneamente detenuto, Douglas riceve la visita dell’assistente sociale Evelyn, interpretata da Jojo T. Gibbs che riesce progressivamente ad ottenere la sua fiducia, inducendolo a raccontare il suo raccapricciante passato. La trama del film porterà lo spettatore a ripercorrere i momenti principali della vita del protagonista, fino a ricongiungersi con l’episodio iniziale dell’arresto, quasi a spiegarne le motivazioni retrospettive e contingenti. Dai racconti di Douglas, emerge una vita di abusi e di violenze da parte del padre e del fratello che lo segregavano, in maniera folle e crudele, in una gabbia per cani utilizzati per i combattimenti. Alla violenza dei due, si aggiunge il dolore per l’abbandono della madre che, accorgendosi di un’ulteriore gravidanza, vede nella fuga l’unica via di salvezza. In un contesto di assoluto degrado, l’unico amore che Douglas sperimenta è quello incondizionato dei cani, con i quali sviluppa una fortissima forma di comunicazione empatica e dai quali viene salvato, ottenendo un’insperata libertà. Nonostante cresca come un ragazzino problematico, sia per le sofferenze psicologiche subìte che per la menomazione fisica, passando da un istituto all’altro, in lui si accende una passione per i libri, fino all’incontro con un’insegnante che lo farà innamorare del teatro, in particolare delle intramontabili opere di William Shakespeare. Dopo alcune occupazioni precarie, sempre a contatto con i cani, il protagonista trova un alloggio di fortuna con i suoi inseparabili amici a quattro zampe, sfollati da un canile e destinati ad una probabile soppressione. Per guadagnarsi da vivere, si cimenta in un provino come cantante drag queen, ottenendo un discreto successo nell’interpretazione della musica europea che tanto piaceva a sua madre (gli unici momenti di tenerezza che lui rammenta della propria infanzia durante i racconti). Inoltre, Douglas insegna ai suoi cani a come rubare nelle case dei ricchi, difendendo i più deboli ed entrando in contrasto con una potente gang del suo quartiere. Come al solito, non svelerò il finale, lasciando al pubblico, incuriosito dalla recensione, il gusto della sorpresa.

DOGMAN Trailer (2023) Luc Besson

La frase-guida della pellicola, come appare alla fine dei titoli di testa, è attribuita ad Alphonse de Lamartine: “Ovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane”. Per i cinofili, molto spesso i cani ci circondano con l’amore incondizionato, che implica assoluta protezione e straordinaria empatia (per un approfondimento sul tema cfr. “Il cane, un angelo a quattro zampe” sulle nostre pagine). Come dirà il protagonista Douglas detto Doug (non a caso solo una vocale in aggiunta a “dog”), in una delle sue “confessioni” all’assistente sociale, il migliore amico dell’uomo ha un solo grande difetto: “quello di fidarsi troppo dell’essere umano”. La vicenda di DogMan, considerata “spirituale e sublime”, come anche “rozza e sensazionalistica”, se analizzata con occhio clinico e distaccato, appare altamente simbolica, in quanto abbraccia temi importanti come la vendetta contro chi ha abusato dei più deboli, come quello della solitudine sociale o dell’amore che può offrire riparo dai traumi. Douglas è un personaggio tragico e sublime allo stesso tempo, che i critici hanno giustamente collocato a metà strada tra la dimensione shakespeariana ed i riferimenti fumettistici moderni alla Joker. I primi piani di Douglas, soprattutto quando è alle prese con il trucco da drag queen, rievocano la magistrale interpretazione dell’ultimo Joker cinematografico. Il personaggio principale del film è un nuovo anti-eroe, reietto e vituperato, perfettamente nelle corde della visione antropologica contemporanea del regista francese. Secondo alcuni, nella costruzione strutturale delle riprese, Luc Besson sarebbe tornato indietro nel tempo, dando vita ad una produzione troppo simile ad alcune sue creature degli anni Novanta, come “Nikita” e “Leon”. Tuttavia, a mio avviso, DogMan riesce ad intrattenere il pubblico grazie al ritmo serrato e a numerose trovate visive d’effetto.

La straordinaria empatia sviluppata da Doug con i suoi fedelissimi cani, a tratti addirittura di natura “paranormale”, arrivando gli stessi a comprendere alla perfezione ordini, parole, gesti e perfino pensieri, può apparire esagerata ed orientata ad una rappresentazione “fantastica” del rapporto dell’uomo con gli animali. In realtà, alcuni esperimenti hanno evidenziato come gli amati quadrupedi, con un corretto addestramento, siano capaci di imprese considerate a priori del tutto impossibili.

A mio avviso, pertanto, l’esagerazione del loro apprendimento non guasta e non stupisce, in una pellicola che, comunque, è interamente votata alla ricerca di ciò che possa apparire “abnorme” e “sensazionale”. Il film vuole essere anche un monito ad andare oltre le apparenze, tanto è vero che quando Douglas appare nella prima scena, travestito da donna e macchiato di sangue, allo spettatore sembra di assistere alla cattura di uno dei soliti serial-killer. Soltanto i dialoghi successivi con la psicologa, accompagnati dalle immagini biografiche in flash-back, faranno chiarezza sulla grande sofferenza e sulla profondità della sua anima. D’altronde, il protagonista recita una frase di Shakespeare che ben incarna lo spirito dell’intera vicenda: “Il mondo intero è un palcoscenico. E tutti gli uomini e le donne semplicemente attori: hanno le loro uscite di scena e le loro entrate in scena. Ed un uomo durante la sua esistenza recita molte parti”. “DogMan” ci parla anche dell’arte come mezzo per ottenere la salvezza e dell’arte come stimolo alla ribellione. Lo stesso Doug, che riesce a trovare qualche attimo di serenità soltanto con il teatro e con la musica, potrà scoprire sè stesso, pur portando sempre una maschera che lo separa dal resto del mondo.

E’ un film che fa riflettere anche sul tema della diversità, di come la società nella realtà tenda ad emarginare i diversi, nonostante l’enfatizzazione dei principi di finta democrazia ed il dilagare del politicamente corretto. Ed è interessante notare come tutte le persone “diverse”, che figurano nel film, si riconoscano creando sodalizi basati sulla condivisione di esperienze dolorose pregresse. Ciò risulta evidente nell’incontro tra il giovanissimo Douglas e Salma, la carismatica insegnante di teatro, nei confronti della quale il protagonista svilupperà sentimenti delicati e profondi di un amore impossibile; la stessa dinamica si evince nell’incontro con l’assistente sociale, di cui Doug intuisce le ferite inferte da una vita difficile; e ancora nella solidarietà delle drag queen del cabaret, anch’esse persone “diverse” che, a dispetto di ogni possibile rivalità o gelosia artistica, gli dimostrano sentimenti di empatia e quasi di amicizia, riuscendo a vedere la sua “arte” oltre le sembianze di un uomo sofferente su una sedie a rotelle.

La performance di Caleb Landry Jones è davvero originale ed encomiabile. L’attore, dopo aver ottenuto il premio a Cannes per la migliore interpretazione maschile, grazie al film Nitram di Justin Kurzel, si impone come uno dei possibili candidati per una nomination ai prossimi Golden Globe e perfino all’Oscar. Di grande pregio sono le sue esibizioni nei panni di Edith Piaf, quando canta “Hymne a l’amour” oppure di Marlene Dietrich, quando intona il famosissimo brano “Lili Marleen”. Non avendo mai parlato la lingua originale, Jones si era preparato con la cantante francese ZAZ, che aveva già supportato Marion Cottilard nel film “La Vien en rose”, ispirato alla biografia di Edith Piaf.

Nel rapporto fra Douglas ed i suoi cani, si inerisce anche la figura metafisica di Dio, a cui di frequente il protagonista si affida, sino ad un finale dalla chiara iconografia mistico-religiosa, che appare come il naturale compimento di un’esistenza tormentata e condotta ai margini della società. L’esser stato rinchiuso per anni in una gabbia ha senza dubbio forgiato l’anima di Doug, rendendo la sua famiglia canina quasi come l’estensione di sè stesso. I termini lessemi God e Dog si completano e si fondono, in un emblematico fotogramma del film, come a voler sottolineare una strettissima connessione fra la dimensione divina e quella umana, dove al martirio inflitto ed auto-inflitto può seguire la speranza di redenzione, raggiungendo un riscatto che, per essere veramente tale, si deve trasformare in un catartico sacrificio.