“Io? Sono solo uno studente della musica.”
Queste parole le ha dette Steven Wilson in un’intervista rilasciata a “La Repubblica” in occasione del suo quarto album da solista, “Hand Cannot Erase”, e pubblicata il 7 marzo 2015. In tal senso non è cambiato nulla, perché in the meanwhile il nostro ha deciso di riunire “la sua creatura”: i Porcupine Tree, i quali ieri sono approdati nella città che fin dai loro inizi li ha adottati, Roma.
Nella cavea intitolata a Luciano Berio, Steven Wilson ha ricordato di quando da ragazzo, fu iniziato alla sua musica da un professore che, avendone carpito la sua curiosità ed attitudine gli consigliò l’ascolto di Visage. Steven era sorridente e ha parlato di questo con un afflato nostalgico, lo stesso con cui ha introdotto i brani dei PT, con cui è ritornato insieme, ancora non sappiamo se per chiudere (Closure) o continuare un percorso iniziato nel 1992 con “On the Sunday of Life”.
Poco importa perché i Porcospini: lo stesso Wilson, Gavin Harrison e Richard Barbieri ci sono eccome ed anche il loro pubblico che nel frattempo è cresciuto e si è portato appresso i loro figli.
Alla cavea la temperatura era rovente, ma quando alle 21:05 è esplodo l’inconfondibile riff di Blackest Eyes, il termostato emotivo dei presenti si è rotto.
Steven Wilson ci ha riversato tutta l’energia assorbita con i suoi piedi nudi che calcavano le assi del palcoscenico. Come? Con la sua chitarra, il suo sorriso e la sua zazzera che come un metronomo scandiva l’esecuzione dei brani. Il pubblico, la maggior parte con magliette dei Pt, ma anche di altri appartenenti alla grande famiglia “Progressive” come Pink Floyd, Jethro Tull, Yes, era in estasi.
Non solo per la musica della band inglese, ma anche per l’acustica che purtroppo ci ha fatto rimpiangere l’assenza -per problemi familiari- di Nate Navarro -uno dei due turnisti al servizio dei Pt, l’altro è Randy McStine alle chitarre e ai cori- al basso, sopperita artificialmente grazie e soprattutto al calore umano della band britannica.
Gavin Harrison preciso, potente e pirotecnico come al solito, è stato acclamato a grande voce, dal pubblico, lo stesso anche per Richard Barbieri che alle tastiere e al suo nutrito comparto elettronico, ha disegnato dei suoni suggestivi.
Intanto che lo show andava avanti, il pubblico si domandava, ma senza proferire parola, quando avrebbero suonato quel brano che dei Porcupine ne è il manifesto.
Sapevano che sarebbe arrivata, ed infatti quando Steven ha annunciato l’esecuzione di “Anesthetize” la cavea è esplosa in un caloroso boato e poi, in “religioso silenzio” -siamo sempre ad un concerto rock- ascolta il brano tratto da “Fear of Blank Planet” se l’è goduta in ogni istante.
Dopo poco più di due ore, lo show è terminato con “Trains” da “In Absentia” che assieme a Closure/Continuation è stato l’album più saccheggiato nella setlist dei Porcupine Tree.
Tutti nella cavea intitolata a Luciano Berio erano soddisfatti e sicuramente tra i presenti ci sarà stato un giovane musicista che scovandone qualche imperfezione avrà sorriso, perché come aveva dichiarato lo stesso Steven Wilson nel dialogo con Rick Balto -divulgatore musicale, musicista, insomma un altro umile servitore della musica- l’imperfezione è personalità, anche se ad esseri sinceri lo show di ieri ci è sembrato perfetto o quasi.