Il palazzo di Cnosso ed il mito del minotauro

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La civiltà minoica è considerata tra le più antiche e fiorenti del Mar Mediterraneo, scoperta in un’epoca relativamente recente, soltanto nei primi anni del Novecento. Il suo appellativo deriva dal nome del leggendario re Minosse, così come tramandato dalle narrazioni elleniche di molti secoli dopo. Tuttora si ignora come gli esponenti di quell’antichissima civiltà chiamassero se stessi. E’ probabile, inoltre, che “Minosse” fosse una sorta di titolo riservato a tutti i sovrani dell’isola. Gli studiosi retrodatano il fiorire della civiltà minoica a circa 2700 anni a.C. quando, dal punto di vista astronomico, a causa della “precessione degli equinozi”, l’umanità viveva nell’era del Toro. Quest’aspetto potrebbe spiegare come mai il toro fosse l’animale sacro per i Cretesi, in parallelo con quanto avveniva in altre aree del bacino del Mar Mediterraneo. Si pensi ai significativi riferimenti al toro contenuti nel poema di Gilgamesh, prototipo della cultura babilonese, ma che affondava radici nelle precedenti tradizioni sumere. La posizione geografica dell’isola di Creta, così centrale e vantaggiosa, favorì lo sviluppo di una delle prime talassocrazie del Mediterraneo, provvista di una flotta che spaziava nello scambio commerciale di numerose merci, dalla ceramica al rame, dai generi alimentari ai tessuti, dai profumi al mercato degli schiavi.

La civiltà minoica e Cnosso

Cnosso è, senza alcun dubbio, il sito archeologico più conosciuto dell’isola di Creta, risalente all’età del bronzo, un periodo della civiltà umana ancora sospeso tra la storia e la preistoria. Il famoso luogo si trova nella parte centrale dell’isola, ma a soli 6 chilometri dal mare, in considerazione della particolare forma stretta ed allungata di Creta. Si tratta del centro nevralgico della civiltà minoica, come viene appunto denominata, per convenzione, la civiltà cretese dell’età del bronzo che ha ispirato numerosi miti nello sviluppo della successiva Grecia classica. L’edificio più celebre di Cnosso, il cosiddetto “palazzo”, sede dei regnanti, è infatti legato indissolubilmente a personaggi popolari della mitologia, come il re Minosse, Arianna,  Teseo ed il famigerato minotauro, relegato nel labirinto concepito e costruito dall’ingegnoso Dedalo.

Gli studi archeologici hanno dimostrato che l’area di Cnosso era abitata fin dall’età neolitica, rappresentando un fiorente centro della civiltà minoica che esercitava la propria egemonia su tutto il Mediterraneo orientale, spingendosi nei suoi traffici commerciali anche verso Occidente. Il grande palazzo, presumibilmente edificato intorno al 2000 a.C., era proprio uno dei simboli più significativi della potenza cretese, ergendosi sontuoso e privo di apparenti sistemi difensivi, se non quelli necessari a tenere alto il prestigio dell’edificio. Nei primi secoli del secondo millennio a.C., all’incirca tra il 2000 ed il 1700, i Cretesi allacciarono stretti rapporti con gli Egizi, instaurando con essi proficue relazioni commerciali e mutuandone le abilità artistiche e tecniche per realizzare la maggior parte degli incantevoli affreschi, presenti nel palazzo, che ancora oggi possono essere ammirati. Alcuni dati geologici, intrecciati ai reperti ritrovati nella zona, ci fanno pensare che, verso il 1700 a.C., a causa probabilmente di una catastrofica eruzione vulcanica che devastò Thera, l’attuale Santorini, la maggior parte delle costruzioni cretesi crollò, compreso il suo fiore all’occhiello, il palazzo di Cnosso. Successivamente, la reggia fu ricostruita in grande stile, imponendosi ancora più elegante e piena di decorazioni rispetto al periodo precedente, nuovamente non provvista di fortificazioni difensive. Ciò dimostra in maniera palese. come i Cretesi non temessero in alcun modo invasioni da parte di altri popoli. Tuttavia, verso il 1400 a.C., Cnosso subì il saccheggio dei Micenei, una popolazione proveniente dalla Grecia continentale e, precisamente, dal Peloponneso.  Le testimonianze scritte in lingua lineare, ritrovate fra le rovine, attestano che la città di Cnosso decadde definitivamente circa un secolo dopo l’attacco dei gruppi dei Micenei, almeno nella versione del suo massimo splendore.

Dopo alcuni tentativi fallimentari, l’ambizione di portare alla luce il sito archeologico di Cnosso sorrise all’archeologo Sir Arthur Evans, direttore dell’Ashmolean Museum di Oxford che, insieme al suo assistente Duncan Mackenzie, in tre anni, tra il 1900 ed il 1903, riuscì a scoprire quasi interamente il famoso palazzo. Le ricerche di Evans continuarono e si perfezionarono fino al 1931, interrompendosi soltanto durante il drammatico conflitto della prima guerra mondiale. Lo stesso Evans pubblicò, in quattro volumi, un utilissimo compendio sul sito archeologico cretese, “The Palace of Minos at Knossos”, che ancora oggi rappresenta uno dei testi più completi e suggestivi sull’antica città. Gli affreschi furono restaurati e molti di essi rimessi nei posti originari, anche se tale metodo fu aspramente criticato da alcuni esperti, in quanto si avvaleva anche di materiali di riadattamento del tutto estranei alla cultura minoica. E’ stato, però, riconosciuto ad Evans ed ai suoi collaboratori, il pregevole merito di aver fatto rivivere importanti personaggi della mitologia greca, ridando loro il proprio habitat naturale, mentre fino ad allora erano stati conosciuti soltanto mediante i testi letterari. Dopo la morte di Evans, le analisi degli scavi di Cnosso, che durano tuttora, sono stati affidati a quella particolare organizzazione che prende il nome di “Scuola Britannica di Atene”.

Gli studiosi si sono chiesti principalmente quale fosse il ruolo del sontuoso palazzo di Cnosso e se non fosse troppo limitativo definirlo “reggia” o “residenza” del re. In realtà, il palazzo rappresentava il vero e proprio centro politico, religioso, amministrativo ed economico dello stato marittimo minoico, ricoprendo una vastissima superficie che arrivava a 22.000 metri quadri. La sua struttura planimetrica, a più piani, era estremamente complessa, quasi a formare esso stesso un “labirinto”. Si stima che al suo interno vi fossero circa 1300 stanze e che potesse ospitare anche 12.000 persone contemporanee. Oltre alla presenza di magnifici alloggi per i sovrani e per i più alti dignitari della corte, gli ospiti avevano a disposizione sale per gli intrattenimenti, per le pratiche religiose e per le udienze. Particolarmente famosi sono i bagni della regina che, secondo gli archeologi, sarebbero stati i più evoluti dell’intera antichità, potendo contare su un avveniristico sistema di canali sotterranei e di scolo, con acqua calda sempre disponibile. Questa comodità, che a noi uomini e donne dell’epoca moderna sembra normale, era un vero e proprio lusso presso i popoli antichi. Il palazzo, inoltre, era stato edificato in prossimità di un recinto in terra battuta, dove si poteva assistere ai combattimenti ed ai numeri acrobatici degli atleti che sfidavano i tori, l’animale più sacro nella religiosità cretese. 

Nella parte più esterna del palazzo, erano collocati i laboratori degli artigiani ed i vari depositi, dove si provvedeva a conservare le risorse alimentari. Penetrando più verso l’interno, erano posizionati gli ambienti dove si svolgevano i rituali collettivi ed adibiti alla rappresentanza, come il cosiddetto “corridoio delle processioni” e la sontuosa “sala del trono”, il cui accesso era consentito tramite un vestibolo colorato. Davanti al trono si ergeva una vasca per i riti di purificazione, in segno di rispetto nei confronti del sovrano. Gli affreschi alle pareti, rappresentando animali immaginari o sacri alla religiosità minoica, tendevano a sottolineare il prestigio ed il potere del re.                  

La civiltà minoica attribuiva straordinaria importanza, tra le arti figurative, alla pittura ed, in particolar modo, alle opere da eseguire con gli affreschi. Come accennato in precedenza, i Cretesi, adattarono alle proprie esigenze lo stile egizio, elaborando pregevoli raffigurazioni di “taurocatapsia”, i cosiddetti “giochi con i tori” e di motivi religiosi e mistici con soggetti marini e figure geometriche. A differenza degli Egizi, che adoperavano le immagini soprattutto per esprimere concetti e simboli, l’arte minoica si orientò a sottolineare l’importanza del rapporto dell’essere umano con la natura, decorando sale al chiuso e giardini all’aperto.                       

Il labirinto che, comunque, trae origine dalla complessità della struttura del palazzo, è il luogo leggendario fatto costruire dal re Minosse per imprigionare il famelico e mostruoso minotauro, nato dall’unione della regina Pasifae con un toro bianco, a causa di una vendetta di Poseidone. L’ideatore del labirinto sarebbe stato Dedalo, insieme al figlio Icaro, protagonisti di un altro famosissimo mito ellenico. Gli studiosi hanno cercato invano di individuare le rovine del labirinto al di sotto del palazzo.

Tra gli affreschi più famosi del palazzo di Cnosso, è celebrato soprattutto il cosiddetto “affresco del toro” che, secondo il già citato Evans, sarebbe rimasto visibile per secoli anche dopo la distruzione dell’edificio, contribuendo a tenere vivo il mito del minotauro. Il rosso acceso, con alcune tonalità cupe, della pittura colpisce il visitatore anche da lontano, mentre si avvicina ai “bastioni occidentali” del palazzo impressionando con la sua carica di vitale irrazionalità. Forse l’affresco più acclamato dai critici d’arte è il “principe dei gigli”, collocato presso i propilei meridionali. Questa raffigurazione delinea la figura di un giovane, con un copricapo che comprende decorazioni di gigli e di piume di pavone, un quadro d’insieme che richiama molto lo stile egizio. Nella stessa area dei propilei meridionali, si può ammirare l’affresco chiamato dei “portatori di vasi rituali”, uno dei primi ad essere scoperti da Evans ed elemento integrante della più ampia composizione della “Processione”. Vi è poi una serie di animali piuttosto insoliti, che sono esposti al piano “nobile” del palazzo di Cnosso, come l’ “Octopus”, una rappresentazione realistica di un polipo gigante, la “scimmia blu”, delineata sullo sfondo di un paesaggio roccioso e floreale, ritrovata in un modesta casa non molto lontana dalla reggia. E l’elenco potrebbe continuare all’infinito, includendo una vasta gamma di motivi religiosi e socio-politici, come “il sacro bosco della danza”, le “dame blu”, tre figure femminili a seno nudo e decorate con raffinatezza o l’ “uccello azzurro” che, in qualche modo, ci fa pensare alla fenice delle narrazioni egizie o della Grecia classica.  Una menzione a parte, per la specificità del tema, merita l’affresco della “taurocatapsia” , ossia dei giochi con i tori, le gare atletiche più diffuse nella civiltà minoica ed aventi anche carattere sacrale. In tale affresco sono illustrate le varie fasi della gara: la presa del toro per le corna, il salto e l’atterraggio. I colori sono davvero ben integrati: bianco, blu e rosso su uno sfondo blu chiaro, arricchito da ornamenti astratti.

Di straordinario interesse esegetico sono risultate le iscrizioni ritrovate nel palazzo di Cnosso, al fine di ricostruire le diverse fasi della civiltà minoica. La prima tipologia di scrittura, ritrovata nel “primo” palazzo, è la cosiddetta “lineare a”, anche se la stragrande maggioranza di questo tipo di modalità espressiva si riscontra tra le rovine degli edifici di Festo. Si trattava della lingua ufficiale in uso nelle cerimonie e nei riti religiosi, mentre gli ideogrammi geroglifici, più vicini alla tradizione egizia, si adoperavano principalmente nei sigilli. Fu lo stesso Evans a scoprire le diversità tra la “lineare a” e la successiva derivata “lineare b”. La prima, in particolare, fu adoperata su tutto il territorio dell’isola, prima dell’invasione micenea e della sostituzione con la seconda. La “lineare a”, a differenza della lineare b, rimane tuttora una scrittura sillabica non decifrata, anche se di recente alcuni studiosi hanno affermato di aver individuato la chiave per comprenderne il senso. Tuttavia, la pretesa decifrazione non ha convinto gran parte della comunità accademica, in quanto basata fondamentalmente su metodi deduttivi, cioè mediante la comparazione con la “lineare b”, già interpretata verso la metà del secolo scorso. La “lineare b”, anch’essa sillabica, raggiunse la sua massima diffusione tra la fine del XV e la metà del XIII a.C., appartenente alla grande famiglia delle lingue indoeuropee. La sua comprensione è stata molto importante per definire l’origine appunto indoeuropea dei popoli micenei. La “lineare b” sarebbe stata, appunto, la scrittura utilizzata dalla civiltà che sconfisse Troia, sotto la guida del re Agamennone, una modalità espressiva che precede il greco alfabetico di circa seicento anni. Essa si scrive da sinistra a destra, comprendendo 200 segni. Di essi, solo una novantina sono segni sillabici con valenza fonetica, mentre gli altri costituiscono “ideogrammi”, che hanno un valore prettamente semantico. A ciò si aggiunge un’altra importante curiosità: all’interno della “lineare b”, è stato individuato una metodo di computo aritmetico che corrisponde ad un vero e proprio sistema numerico decimale, formato da linee verticali per le unità, orizzontali per le decine e cerchi che riguardano le centinaia. L’ipotesi di decodifica più attendibile fu quella elaborata da Michael Ventris e da John Chadwick dell’Università di Cambridge negli anni Cinquanta del secolo scorso, anche se non sono mancate altre proposte, comunque, autorevoli.

La leggenda del minotauro

Come già abbiamo accennato in precedenza, il famoso sito di Cnosso è strettamente legato alla leggenda del minotauro. La vicenda ebbe inizio quando il re di Creta Minosse chiese al dio del mare Poseidone un toro allo scopo di sacrificarlo in suo onore. Il dio assecondò la richiesta del sovrano, facendo emergere dalle acque un magnifico toro bianco che, tuttavia, Minosse utilizzò come capo branco da monta per la sua mandria, invece di sacrificarlo al dio del mare come aveva promesso. La vendetta di Poseidone non si fece attendere (peraltro la facile iracondia del dio del mare è sottolineata in molti racconti) e fece in modo che la regina Pasifae si innamorasse dell’animale, arrivando ad accoppiarsi con lui in un’unione repellente e innaturale. Per poter realizzare l’ossessione nei confronti del toro, la perversa regina si fece aiutare dall’ingegnoso Dedalo che costruì per lei una vacca di legno sostenuta da due ruote, ricoperta di pelle bovina e con l’interno vuoto, dove la stessa Pasifae si nascose. Il toro credette che si trattasse di un esemplare vero della sua specie e si unì alla donna. Dal loro insano amplesso, fu generato Asterio o Asterione, una creatura che aveva le sembianze in parte umane ed in parte del toro, meglio conosciuto, poi, con la denominazione descrittiva di “minotauro”. Asterio era descritto come una creatura feroce e vorace che incuteva paura a chiunque gli si avvicinasse. Per questi motivi e soprattutto per non avere al proprio cospetto il frutto del tradimento della moglie, il re Minosse ordinò che il mostro fosse rinchiuso nei sotterranei del palazzo di Cnosso, dove vi sarebbe stato un intricatissimo labirinto ideato e costruito dall’onnipresente Dedalo. Questo luogo, dall’importante significato simbolico, aveva un aspetto decisamente inquietante, perché formato da una serie di corridoi di diversa forma, finti ingressi e porte fittizie. Dedalo, insomma, aveva progettato un luogo dal quale nessuno potesse uscire liberamente, in modo che la sfortunata creatura rimanesse isolata dal resto della popolazione della fiorente Creta. Si poneva, comunque, un serio problema al re Minosse: il minotauro si nutriva soltanto di carne umana. Una via di uscita per soddisfare le terribili esigenze del mostro, si presentò in maniera inaspettata quanto tragica, allorchè il figlio di Minosse, Androgeo, uno dei migliori atleti del Mediterraneo orientale, giunto ad Atene per partecipare ad un torneo di giochi ginnici, fu ucciso da alcuni giovani del posto. A questo punto, la leggenda vuole che Minosse meditò una terribile vendetta per punire i colpevoli della morte del figlio. Non solo mosse guerra e sconfisse gli Ateniesi ma, come pegno di guerra, pretese un tributo annuale di sette fanciulli e di sette fanciulle come cibo per il terribile minotauro. La triste consuetudine continuò fino all’arrivo sull’isola di Creta di Teseo, indicato dalla leggenda come il decimo re mitologico di Atene. Il giovane nobile, con l’aiuto dell’astuta Arianna, perdutamente innamorata di lui, sarebbe riuscito nella straordinaria impresa di sconfiggere il minotauro e di uscire vivo dal labirinto. Arianna, infatti, avrebbe consegnato all’amato un gomitolo, suggerendogli di ripercorrere a ritroso lo stesso itinerario che l’avrebbe portato al luogo di partenza   (di qui l’espressione idiomatica di “filo d’Arianna”).

La leggendaria narrazione relativa al minotauro è ricca di simbologia esoterica, a partire dal luogo dove è ambientata l’intera vicenda, il labirinto. Questo luogo, così tortuoso e difficilmente praticabile, è in prima analisi la trasfigurazione dell’animo umano che molte volte costituisce una prigione dalla quale non riusciamo ad uscire.   Uno dei messaggi iniziatici del labirinto è quello di superare le difficoltà del percorso della nostra esistenza e di provare a rinascere, una volta trovata l’uscita. La nostra abilità deve consistere proprio nel conoscere profondamente noi stessi per riuscire a trovare quel filo di Arianna, il bandolo della matassa, che ci possa portare fuori dalle sabbie mobili delle difficoltà quotidiane e, in linea generale, delle afflizioni del mondo sensibile.

Il Palazzo di Cnosso, pertanto, uno dei siti archeologici più famosi del mondo, diventa così l’emblema di importanti significati misterici, al punto che all’udire il termine “labirinto”, la nostra mente concepisce immediatamente quell’architettura complessa disegnata nel mito del minotauro. In realtà potremmo definirlo come un archetipo prodotto dall’inconscio umano che trova espressione di forma e di concretezza nel racconto mitico.