Ennio, il film-documentario di Tornatore e una notte indimenticabile

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Il terzo giorno di giugno era entrato da poco più di una mezz’ora. Stavo andando a recuperare la macchina, parcheggiata nel primo buco utile messomi a disposizione dalla capitale, quando mi sono imbattuto nella scalinata di Viale Glorioso e come Noodles, ho sorriso inebetito.

Sì, proprio lui,  il capo della gang raccontata dapprincipio  in “The Hoods” di Harry Grey  e successivamente nella sua libera trasposizione cinematografica, “C’era una volta in America” di Sergio Leone.

Ma oltre l’american gang di Harry Grey, negli anni 30, a Roma, nel rione di Trastevere, c’era una banda di ragazzini che sulla scalinata di Viale Glorioso si divertiva a fare il bello e il cattivo tempo.

Tra questi, Sergio Leone che, ironia della sorte, con il suo compagno di classe alle elementari, Ennio Morricone, avrebbe creato un sodalizio umano ed artistico che si sarebbe interrotto qualche anno dopo la realizzazione del suo magnus opus.

Stavo ritornando alla macchina perché era appena terminata la proiezione di “Ennio”, il film documentario di Giuseppe Tornatore, incentrato su uno dei più grandi compositori del novecento. Ero lì a Piazza San Cosimato: non volevo perdermi l’appuntamento del cinema all’aperto organizzato dai ragazzi del Cinema America. Volevo esserci per loro, ma soprattutto per Ennio.

Comunque riavvolgo il nastro per provare a raccontarvi meglio la serata. Arrivo lì che sono le 21 e 15, in perfetto orario, pur sapendo che la proiezione sarebbe iniziata con un ritardo: ma questo tipo di attesa non mi è mai dispiaciuto, anzi, la ricerco e poi, come  Woody Allen in “Io ed Annie”, non amo arrivare a spettacolo già iniziato.

Sul palco c’è Valerio Carrocci presidente della Fondazione Piccolo America,  che con il suo afflato pieno di passione e determinazione sta presentando la rassegna, “Cinema in Piazza”, giunta alla nona edizione e che, tripartita nelle venues di Piazza San Cosimato, Parco della Cervelletta di Tor Sapienza e Parco di Monte Ciocci a Valle Aurelia, sarà uno degli eventi di punta dell’estate romana ventiventitré.

Mentre Valerio discorre di questo, io mi assento momentaneamente per osservare ciò che mi circonda: una platea dall’età variegata pronta ad assistere alla proiezione di un film. No, non siamo a Giancaldo, come in “Nuovo Cinema Paradiso” ma l’atmosfera è la stessa: un mix di passione, curiosità, ma anche novità per un rito dell’estate che volente o nolente, si spera, non passerà mai di moda in quanto naturale, conviviale e non artificialmente intelligente.

Davanti a me ho un albero fronzuto che contribuisce a farmi rimanere ancora più estasiato dall’evento ed il film non è ancora iniziato.

Sul palco però è il momento di Tornatore e Morandi che a suon di aneddoti presentano la pellicola, prossima ad essere proiettata, ma Gianni da Monghidoro, non pago di questo, imbraccia la chitarra per cantare alcuni dei suoi inni generazionali.

Intanto che suona, penso a come nella R.C.A di quegli anni, tra gli arrangiatori, ci sono dei fuoriclasse quali Louis Bacalov ed Ennio Morricone.

Gianni attacca “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” e noi di rimando gli andiamo appresso, anche se a dir la verità non vediamo l’ora che cominci il film.

Morandi si congeda e finalmente in piazza cala il buio.

Il metronomo del tempo ha iniziato a dilatarsi ed io a perdermi nel viaggio umano ed artistico di Morricone. Novantadue anni di vita “condensati” nei centocinquantasei minuti del lungometraggio di Peppuccio che scorrono così velocemente, come fosse un concerto o una qualsivoglia composizione capace di catturarci anima, corpo e percezione del tempo.

Merito anche della scelta stilistica operata dal regista siciliano nel raccontarci la vita e l’arte di Ennio Morricone: una chiacchiera confidenziale come quella che ci si scambia tra amici, ma soprattutto tra sconosciuti in un lungo viaggio in treno.

Il tono scelto da Tornatore è lo stesso di “Ennio. Un Maestro. Conversazione” dove i maestri, conversando amabilmente tra di loro, generano così -come un buon libro conversazione che si rispetti- un’empatia così naturale che successivamente è stata “replicata” nel film “Ennio” che del libro è come se fosse la sua controparte sonora, anzi la sua colonna. Non so se mi sono spiegato, ma spero di sì

Ad ogni modo oltre all’amore, presente in ogni frame della pellicola, l’aspetto che più mi è piaciuto del doc di Tornatore, è il suo porre l’accento sull’importanza delle nostre scelte, anche e soprattutto quelle sbagliate, perché volente o nolente ci faranno diventare gli uomini che ci eravamo prefissati di essere. Poi, tutto questo, in un modo o nell’altro ci si rivelerà utile in un frangente delle nostre vite. Rivedendo “Ennio” non ho potuto fare a meno di pensare a questo, ma anche di sorridere nel riascoltare la genesi di “In ginocchio da te”, ma soprattutto di pensare a certi fotogrammi che mi si sono stampati sul pentagramma della mia memoria: il metronomo, la furia con cui Ennio scriveva e cancellava le note sullo spartito, ed il movimento delle sue mani nel dirigere una sua composizione. Tutti atti rimasti nel tempo, come Ennio Morricone e la sua musica.

Terminato il film, la piazza era ancora gremita di persone, rimaste lì, incantate da quel genio romano che come unico rimpianto, grazie a quel ragazzo birichino di Viale Glorioso, non è riuscito a firmare la colonna sonora di “Arancia Meccanica” di Kubrick. Quando arrivo alla targa di Viale Glorioso penso a questo e come Noodles, sorrido.