Re lucertola e re della morte: il dualismo amore e morte nei testi dei Doors

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 “Re Lucertola” ma anche re della morte, Jim Morrison ha segnato la stagione della Summer of Love con un repertorio testuale senza eguali, intriso di esistenzialismo e mitologia e popolato da riti ancestrali, storie di nativi americani e soprattutto dalla costante ricerca della morte. L’esperienza della morte, inseguita in modo mistico e talvolta spasmodico, costituisce un tòpos fondamentale nella produzione morrisoniana, che si sviluppa fin dai testi del primo album omonimo fino alla sua massima espressione, raggiunta in Riders on The Storm.

Come nel Giano Bifronte, in Morrison mortalità ed immortalità si intrecciano fino a divenire due facce della stessa medaglia, in cui da un lato serpeggia la figura dello sciamano dell’amore e del sesso libero, quella del Re Lucertola (la lucertola è il simbolo dell’immortalità), e dall’altro l’immagine del poeta maledetto inseguito dalla morte fin da bambino, come raccontato in questo episodio vissuto nel 1947 durante un viaggio con la famiglia:

La prima volta che ho scoperto la morte… eravamo io, mia madre e mio padre, e forse anche mia sorella e i miei nonni, e stavamo attraversando il deserto in auto all’alba, e un autocarro pieno di lavoratori indiani era andato a sbattere contro un’altra macchina o non so cosa, ma c’erano indiani sparpagliati per la strada, sanguinanti e moribondi…» che successivamente ripreso ed adattato nel testo di Peace Frog: «Indiani sparsi sulle carreggiate dell’alba sanguinanti/ Si affolla di spettri la mente del bambino fragile guscio d’uovo…

Quelli della sensualità e della morte sono dunque spazi indefiniti che spesso si mescolano all’interno dei testi di Morrison, in cui l’amore (sensuale, ma anche romantico) diviene salvifico, e viene affidato spesso ad una figura femminile. In The Crystal Ship, terzo brano del primo album dei The Doors, la possibilità di ricevere un bacio dall’amata costituisce “Un altro possibile bagliore di beatitudine” prima della caduta nell’incoscienza. Il momento del distacco si marca come “folle” (insane), e nel verso successivo si spera in un futuro incontro (we’ll meet again). Si chiude l’ultima strofa con la sublimazione dell’amore nella forma di una nave di cristallo che “si sta riempiendo con un migliaio di ragazze, un migliaio di emozioni un milione di modi per trascorrere il tempo”.

L’immagine della nave di cristallo è carica di fascino, e riporta alla mente la figura della Barca solare, adoperata nei rituali dell’antico Egitto per percorrere i due cieli e rappresentava un simbolo di rinascita dalla morte alla nuova vita. Laddove dunque sottostanno le leggi dell’amore, per Morrison si apre un varco verso l’ignoto che riesce a superare l’insensatezza della vita, raggiungendo una dimensione assoluta. Ma dove le leggi dell’amore non trionfano, il lirismo morrisoniano tocca grandi vette di esistenzialismo, come esplicitato in The End e Riders on The Storm.

The End è un teatro degli impulsi, uno spaccato letterario e filosofico che vuole inscenare i luoghi più oscuri dell’inconscio: Il riferimento alla morte è esplicitato fin da subito, in cui la morte viene definita dal poeta come “bella e unica amica” (my only friend the end/my beautiful friend the end). Si interescano immagini di terre desolate e di maschere edipiche, nella Fine Morrison vede un’opportunità nietzschiana di superare ogni limite “puoi immaginarti come sarà/così senza limiti e libero”. La morte può essere annullamento (“né salvezza né sorpresa/la fine), ma può essere anche purificatrice, ed essa avviene attraverso la liberazione sessuale, che assume un paradigma chiaramente freudiano: si inizia nella terza strofa, in cui tutti i bambini vengono definiti “pazzi” (insane), riprendendo così le parole di Freud, che definiva i bambini dei “perversi polimorfi”  in quanto anche essi provano impulso sessuale ma non finalizzato alla riproduzione.

La quarta strofa introduce l’immagine di un autobus blu: al netto di numerose interpretazioni storiche e letterarie, Manzarek, tastierista dei Doors, ci fornisce un’interpretazione simbolica, associando il bus blu alla barca solare sopraccitata. Dunque un altro mezzo di purificazione, non a caso esso “ci sta chiamando” (The blue bus is calling us). Nella sesta strofa si raggiunge il culmine freudiano, tra immagini di assassini con maschere (un possibile riferimento al teato di Sofocle, da cui è tratta la strofa), in cui si inscena il complesso di Edipo, con la chiusura di strofa in cui Morrison canta “father, I want to kill you/ mother I want to…”. Morrison rompe ogni inibizione sessuale e supera ogni limite nietzschiano, raggiungendo così la massima liberazione sessuale. Il settimo ed ottavo verso sembrano esplicitare un rapporto sessuale, in cui Morrison invita una donna a “cogliere l’occasione con noi”, e in ultimo le dice di incontrarsi in fondo al bus blu, il vascello verso la purificazione.

In Riders on the Storm l’impianto narrativo è piuttosto simile: la vita si manifesta come insensatezza, “in this world we were thrown”, riprendendo il concetto del filosofo Martin Heidegger di «gettatezza», secondo cui l’esistenza non è frutto di libera scelta, bensì una condizione in cui l’uomo è gettato e di cui deve assumersi la responsabilità. La responsabilità nelle liriche di Morrison verte sempre nel dualismo amore-morte, ed in questo sfondo musicale di pioggia esistenziale in cui noi siamo “Cavalieri nella Tempesta, egli canta “girl you gotta love your man”. Nuovamente e per l’ultima volta (riders on the storm è l’ultimo brano inciso dai Doors prima della scomparsa di Jim), la salvezza è affidata all’amore, che può salvare il destino del mondo (the world on you depends/our life will never end/gotta love your man) , ed ancora una volta, renderci immortali.