Il sufismo, il volto mistico dell’Islam

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Quando parliamo di “sufismo”, ci riferiamo ad una particolare forma cultuale della religione islamica, che si colloca in una dimensione mistica e spirituale. Coloro che praticano questo tipo di culto, sono denominati “sufi”, derivando la propria origine da una tipologia ben storicamente accertata di gruppo di appartenenza.

Al giorno d’oggi è ancora molto dibattuta la questione sulle esatte origini del movimento sufista. Secondo una buona parte di esegeti, i primi sufisti avrebbero rielaborato una corrente filosofica pre-islamica, adattandola ai principali insegnamenti attribuiti a Maometto ed ai suoi seguaci; altri interpreti, invece, ritengono che il sufismo abbia una caratterizzazione originalmente islamica. Sta di fatto che i “sufi”, durante le proprie esperienze spirituali ed esoteriche, improntate ad un continuo processo di crescita interiore e di ricerca, ricorrono ad un tipo di simbolismo mutuato direttamente dal libro sacro dell’Islam, il Corano. Vi è da aggiungere che una corrente di pensiero ritiene che il “sufismo” incarni un compendio di principi comuni ad altre religioni ed  anche alcuni elementi meta-religiosi, respingendo la natura squisitamente islamica del suo contenuto dottrinario che, pertanto, non farebbe riferimento in maniera esclusiva alla tradizione di Maometto e del suo discendente Alì.

I “sufi” sono suddivisi in diversi “ordini” che forse troppo superficialmente vengono definiti “monastici”, accostandoli ai gruppi religiosi del variegato panorama cristiano. In effetti, i “sufi” formano molto spesso comunità che nascono in maniera spontanea e fioriscono intorno alla figura di un “maestro”, riunendosi in sessioni spirituali ben scandite, chiamate “majalis”, che vengono celebrate in luoghi d’incontro all’uopo individuati.

Un’antica leggenda sostiene che il movimento sia nato direttamente in seno ai fedeli compagni del Profeta, chiamati “ahl al.suffa”, traducibile con l’espressione “quelli della panca”, ovvero il posto dove le persone attendevano per dare i propri servigi agli imprenditori della città di Medina. Dal punto di vista “teologico”, si può dire che il sufismo sia un movimento di carattere trasversale, comprendendo al suo interno seguaci delle tre correnti principali della religione islamica: sunnita, sciita ed ibadita. Nel sufismo, inoltre, dopo il Corano e la Sunna, tra le fonti religiose, in terza posizione si aggiungono i testi di mistica islamica “sufi”, non riconosciuti come sacri da parte dei musulmani ortodossi.

Occorre precisare che il termine “sufismo”, per indicare la peculiare mistica islamica, è stato coniato dagli orientalisti britannici, allo scopo di distinguere i pregi spirituali della religione di Maometto, contrapponendoli ad alcuni stereotipi negativi associati all’ambito ortodosso di tale dottrina. In precedenza, i musulmani usavano il termine arabo “tasawwuf” per menzionare la pratica dei sufi. Gli studiosi classici del “sufismo” hanno sempre considerato la pratica “sufi” indissolubile con la tradizionale “sharìa”, cioè le pratiche esteriori seguite da ogni bravo musulmano. La parola araba “tasawwuf” trarrebbe origine da “suf” che vuol dire “lana”, il materiale cioè con cui erano intessuti i panni che vestivano i primi seguaci del movimento. Per altri studiosi, invece, “tasawwuf” deriverebbe dal vocabolo “suffa”, traducibile in italiano con la parola “portico”, come quello che si trovava davanti alla casa-moschea di Maometto a Medina, dove si sarebbero radunati i primi nuclei di “sufi”. Dissonante è l’opinione dell’orientalista francese Henry Cobin, secondo il quale il termine dovrebbe essere ricollegato all’aggettivo greco “sophos” (saggio), ma si tratta di un’ipotesi che non riscuote il favore della comunità accademica.

La maggior parte dei “sufi” tradizionalisti sostiene che la dimensione mistica dell’Islam sia stata introdotta da Alì, come si accennava prima. Dal punto di vista storico i primi gruppi organizzati di “sufi”, denominati “tawaif” o con un termine più conosciuto “turuq” (plurale di tariqa, che significa “via”), sono attestati a partire dal dodicesimo secolo. La parola “tariqa” è stata poi genericamente adoperata per indicare il percorso esoterico dell’Islam, assumendo, pertanto, anche una valenza tecnico-semantica generale ed indicando le confraternite che si riunivano sotto la guida di un maestro. Le congregazioni più antiche risalgono al periodo tardo medievale, tra il dodicesimo ed il tredicesimo secolo, ma si possono contare anche organizzazioni più recenti, sorte perfino in epoca contemporanea. Tra le istituzionalizzazioni del “sufismo” più importanti, si ricorda la “Qadiriyya” fondata nei primi decenni del Duecento da Abd al.Qadir.Gilani, una delle confraternite che ha maggiormente influenzato lo sviluppo del sufismo successivo e di quello moderno.

Ma sorge spontaneo chiedersi: in che cosa consiste veramente la mistica sufista? E cosa distingue la sua spiritualità dall’Islam cosiddetto “ortodosso”? E’ stato detto che il sufismo si propone soprattutto di costruire un’interiorizzazione della religione islamica, così come rivelata dal Corano, superando gli schemi della dottrina puramente legalitaria. I “sufi”, dunque, vorrebbero rivivere l’esperienza intima vissuta dal profeta Maometto durante la notte del Mi’raj, quando ebbe la sensazione di assistere ad un’epifania divina. Le pratiche esoteriche, in linea generale, non sono così rare nella religione islamica, ma la conoscenza di esse risulta particolarmente riservata ad un numero molto ristretto di persone.

La dimensione mistica del sufismo è di gran lunga più diffusa nel sunnismo che non nello sciismo, a causa del fatto che nella prima corrente non vi è una classe sacerdotale/clericale che possa intercedere tra gli uomini e Dio, determinando un’aspirazione diretta a ricercare le vie celesti ed il contatto con l’Onnipotente. I “sufi”, pertanto, mediante una lunga e rigida disciplina spirituale, cercano di intraprendere la “via esoterica” che li conduca a Dio ma, per riuscire a conseguire il risultato sperato, hanno bisogno di un maestro che abbia già compiuto tale tipo di percorso. Molti osservatori ritengono che il “sufismo” sia, in realtà, una forma alquanto individualista di pratica religiosa, o meglio che concretizzi una frangia “cenobita” e quasi “eremitica” della visione coranica. Ciò porterebbe all’estremizzazione del principio, sintetizzato con il termine “shahada”, uno dei fondamentali pilastri dell’Islam, che afferma che “non vi è divinità se non Dio”, una proclamazione monoteista pura ed inequivocabile. I sufisti interpreterebbero questo principio in maniera del tutto radicale, arrivando alla conclusione filosofico-teologica che “solo la realtà assoluta è reale” e, di conseguenza, “solo Dio è ed è reale”. Si tratta della dottrina dell’Unità dell’Essere, per la quale le esperienze tangibili del mondo sarebbero solo una mera illusione, un modo di considerare la materia che presenta punti in comune con il neoplatonismo, con le credenze delle sette cristiane gnostiche e perfino con alcuni assunti del Manicheismo e del Catarismo. Inoltre, sono ravvisabili marcate assonanze di pensiero con la dottrina “non dualista” dell’Advaita Vedanta che affonda radici nella conoscenza ancestrale induista. Nel misticismo sufista, tuttavia, a differenza delle esagerate posizioni degli adepti al Catarismo, che contrapponevano la “bontà” dello spirito alla “malvagità” della materia, la realtà sensibile è percepita come illusoria, in quanto la sua consistenza sarebbe soltanto “relativa” rispetto alla perfezione ed alla completezza dell’Essere divino. In un certo senso, la visione sufista si avvicina alla concezione buddista, secondo la quale la realtà rappresenterebbe un’interdipendenza di elementi che di per sè non esisterebbero.

L’attività del sufista, così intensa e multidisciplinare, non è mai stata limitata al campo teologico, spaziando in ogni ambito della cultura: dalla letteratura all’arte, dalla matematica all’astronomia, dalla scultura all’architettura. In passato i sufisti erano considerati veri e propri dispensatori di saggezza e di conoscenza. Alcuni sufi si distinsero per la progettazione di mirabili palazzi e moschee, ricorrendo alla perfezione dei calcoli e delle proporzioni strettamente legate alla simbologia esoterica. Questo è un elemento importante che collega i “maestri sufisti” ai “muratores” delle confraternite che operavano in Occidente e che si dedicarono all’edificazione delle splendide cattedrali gotiche europee.

Il sufismo distingue sette gradi di elevazione a Dio che possono essere considerati come sette passi formativi indispensabili per potersi avvicinare alla comprensione dell’essenza dell’Essere Supremo. Ai sette gradi vengono attribuiti nomi specifici, associati ad importanti personaggi del Corano. Il primo grado è quello “del corpo”, simboleggiato da “Adamo”, il primo uomo creato direttamente da Dio; il secondo è quello “vitale”, legato alla figura di Noè ed al fluire delle acque del diluvio; il terzo grado è quello del “cuore”, associato ad Abramo, al quale Dio promise una discendenza più numerosa delle stelle del cielo; il quarto grado è chiamato “sovracconscio” simboleggiato dalla figura di Mosè che fu in grado di interloquire con l’Onnipotente; il quinto grado è quello “spirituale”, legato alla suggestiva e controversa figura del re Davide; il sesto grado è quello della “ispirazione”, associato a Gesù, capace di rivelare la parola di Dio; il settimo grado è denominato “sigillo eterno”, quello della completezza ed ovviamente simboleggiato dal Profeta Maometto. Come si può notare, la figura di Gesù, così come del resto riportano numerosi passi coranici, è molto importante per il sufismo e per l’intero Islam. Gesù Cristo, però,  pur essendo stato il più grande profeta dopo Maometto, non può essere considerato figlio di Dio, incarnato sulla terra e nato da una vergine. Per gli Islamici credere nei dogmi dell’incarnazione del Verbo e della Santissima Trinità costituirebbe una gravissima violazione della rigida ed insostituibile dottrina monoteista. Ai sette gradi citati, sono associati anche sette colori, i quali dovrebbero essere percepiti con maggiore nitidezza dagli iniziati durante le varie fasi del percorso formativo: nero/ grigio, azzurro, rosso, bianco, giallo, nero/luce e verde smeraldo.

Nel vasto mondo musulmano, la diffusione del sufismo non è stata sempre guardata con favore da parte degli integralisti dell’Islam ortodosso. Questi ne hanno sempre sospettato un progressivo allontanamento dalle norme coraniche codificate che potrebbe determinare addirittura la violazione delle disposizioni religiose. Per le motivazioni a cui abbiamo accennato in precedenza, il sufismo non è visto di buon occhio soprattutto nel mondo sciita, in quanto lo “shaykh” si sostituisce all’imam tradizionale nella guida spirituale dei fedeli. In epoca recente, vi sono stati veri e propri episodi di violenza a danno di alcune comunità sufiste, tra le quali si ricorda come particolarmente efferato quello accaduto il 24 novembre 2017, nella località di Arish in Egitto, dove oltre trecento fedeli sufisti furono massacrati dagli oltranzisti dell’Islam tradizionale. Il sufismo è in genere molto avversato nei Paesi dediti al fondamentalismo islamico, guidati da una forma bieca e degenerata di osservanza letteralista delle norme coraniche che mal si concilia con la profondità del pensiero dei sufi

Sotto il profilo letterario, il sufismo può vantare una vasta gamma di pubblicazioni, diffuse principalmente in lingua araba e persiana, ma in maniera minoritaria anche in altri idiomi come il turco, l’indiano o l’indonesiano. I generi elaborati sono molto diversificati: accanto a libri devozionali, come suppliche, preghiere e meditazioni, è facile trovare testi agiografici, biografie, nonchè le massime dei sufi più eminenti. Oltre alle raccolte in prosa, il sufismo ha prodotto pregevoli opere in versi, con poeti di primissimo piano, che si sono espressi sia in lingua araba che persiana.  Tra i poeti arabi, si ricordano Ibn al-Farid e Ibn ‘Arabi; mentre tra i persiani segnalo Rumi, Hafez e Farid al-Din.

Notevoli sono le similitudini tra lo stile di vita dei sufi e quello di alcuni ordini monastici cristiani, come in ambito francescano, pur nelle rispettive profonde differenziazioni dottrinarie. Ogni sufi, infatti, impronta la propria esistenza ad una continua ricerca interiore, attraverso il pentimento ed il timore di Dio, evitando di indulgere troppo nelle faccende mondane. Una delle preghiere più frequenti del sufi è il “dhikr”, cioè ripetere continuamente il nome di Dio. A riguardo, le due formule più usate sono le seguenti: “la ilaha illa LIah” (non vi è Dio se non Dio); Allahu Abkar (Dio è il più grande). Si tratta di due formule che compendiano in poche sillabe i principi fondamentali della teologia islamica. Questo tipo di orazione può essere praticato in solitudine oppure in assemblea, a seconda delle esigenze contingenti del fedele o della particolare ricorrenza da celebrare. Di particolare suggestione visiva è la danza, chiamata “sama”, che eseguono i dervisci che appartengono alla comunità mawlawiya, in quanto intende rievocare la rotazione dei pianeti intorno al sole.

In sintesi, il sufismo è la via privilegiata dell’Islam per quei fedeli che aspirano ad avere un contatto più diretto e stretto con Dio. Gli obiettivi principali dei sufi si possono riassumere nella ricerca del perfezionamento spirituale della singola persona e della collettività, nonchè nella costante individuazione dell’armonia con l’Universo e l’amore indissolubile con l’Essere Supremo. Il versetto coranico che ben incarna la mistica del sufismo è V, 54: “Egli li amerà ed essi ameranno Lui”.