Esterno Notte: la serie, il caso Moro e la storia vera

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Da alcune settimane è approdata su Netflix la serie televisiva “Esterno Notte” che ripercorre i fatti drammatici del rapimento di Aldo Moro, senza alcuna pretesa storiografica o documentarista, ma adattando il contenuto ad una ben congegnata sequenza drammaturgica. In realtà la pellicola, diretta da Marco Bellocchio, non nasce come tv-movie, ma come vero e proprio film destinato alle sale cinematografiche, seppure la notevole durata, circa 330 minuti, pari a 5 ore e mezza, ben si è prestata ad una scomposizione episodica televisiva.

“Esterno notte” è stato presentato in anteprima al festival di Cannes, con successiva distribuzione nelle sale italiane a partire dal mese di maggio dell’anno scorso (la prima parte è uscita il 18 maggio, mentre la seconda il 9 giugno). Di seguito la produzione è stata riproposta su Rai1, suddivisa in 6 episodi nel corso del mese di novembre. Pur non avendo riscosso notevoli incassi al cinema, “Esterno notte” è stato accolto molto favorevolmente dalla critica, soprattutto per la ben riuscita caratterizzazione dei personaggi e per la realistica ricostruzione del clima politico e sociale drammatico dell’Italia degli “Anni di Piombo”, pur nell’originalità della struttura scenica, ancora più evidente nel sorprendente doppio finale.

Aldo Moro secondo Marco Bellocchio

Marco Bellocchio aveva già affrontato il caso Moro con la pellicola “Buongiorno notte” del 2003. Ma “Esterno notte” si pone su un piano nettamente diverso rispetto all’opera precedente. Il film diretto circa vent’anni fa era incentrato soprattutto sulla figura della brigatista Braghetti, presentata quasi come un’eroina tragica, travolta dai fatti della storia. “Esterno Notte”, invece, si impone come opera più corale, come se si trattasse di un dramma shakespiriano, dove gli spettatori sono invitati a riflettere sulla crisi di un’intera comunità nazionale. Nell’efficace locandina ideata dai produttori della serie, il logo della Democrazia Cristiana è delineato con una croce di rose ed uno scudo di spine, simbolo inequivocabile delle contraddizioni di un partito politico dalla doppia anima.

Nel 1978 il nostro Paese è dilaniato da un conflitto tra le istituzioni dello stato e le Brigate Rosse. Aldo Moro, saggio e stimato presidente della Democrazia Cristiana, il partito politico di maggioranza dal dopoguerra in poi, è il promotore di un accordo senza precedenti con il Partito Comunista, affinchè si costituisca una sorta di governo di coalizione nazionale. L’accordo, che i posteri avrebbero chiamato “compromesso storico”, doveva consentire alla Democrazia Cristiana di governare con l’appoggio esterno del Partito Comunista. Tuttavia, l’esatta formula del costituendo accordo non è stata mai del tutto chiarita. In un clima incandescente, tra manifestazioni di proteste pubbliche ed intrighi di palazzo, proprio il giorno dell’insediamento della nuova compagine governativa, il 16 marzo 1978, Aldo moro viene rapito e la sua scorta barbaramente trucidata. Si tratta di un attacco diretto al cuore pulsante della Repubblica italiana, a cui faranno seguito 55 giorni di trattative, di paura, ma soprattutto di grande incertezza, con la classe politica che rivela in pieno tutta la sua intrinseca debolezza ed ipocrisia.

Non è un caso che la serie sia stata abilmente denominata “Esterno notte”, in quanto mentre il presidente della Democrazia Cristiana vive giorni di angosciosa prigionia, all’esterno accade di tutto: incontri al vertice, trattative di facciata ed altre segrete, tormenti privati, lettere pubbliche e segnalazioni nascoste, così come si snodano false piste ed altre consapevolmente falsate. Il rapimento di Moro, dunque, nel corso dei sei episodi, è considerato sotto diversi punti vista: dei politici, della moglie, della Chiesa e degli stessi rapitori. La possibilità visionaria di un accordo tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, pur nata da nobili ideali, sembra scontentare tutti, sia i Brigatisti che vogliono sovvertire l’ordine costituito e che temono un imborghesimento dei “compagni” comunisti, sia l’ala più conservatrice della D.C., non propensa a governare con gli storici antagonisti. Per questi motivi, la condanna a morte di Aldo Moro sembra essere stata scritta in anticipo, come sacrificio simbolico e metastorico, che oltrepassa i medesimi fatti tragici della sua prigionia.

Esterno Notte di Marco Bellocchio | Festival di Cannes | Trailer ufficiale HD

I sei episodi, in cui è stata suddivisa la fiction, come accennato in precedenza, sono dedicati ai diversi personaggi della vicenda che, per quanto drammatica, assume contorni grotteschi e perfino magistralmente ironici. La prima narrazione si incentra sullo stesso Aldo Moro, interpretato da un ottimo Fabrizio Gifuni, tendendo a mostrare il volto del protagonista più come uomo che come eminente rappresentante dello Stato. Bellocchio vuole evidenziare come il presidente della Democrazia Cristiana sia attorniato da alleati posticci, finti amici e, potremmo dire, anche da nemici empatici. E’ proprio dai cosiddetti amici, come del resto recita un famoso proverbio, che Aldo deve guardarsi: si tratta di quelle ombre scure in giacca e cravatta che il regista plasticamente allinea al suo funerale, oppure in un finale alternativo e provocatorio, preoccupati per l’eventuale sopravvivenza dello statista vicino al suo letto in ospedale. Il secondo episodio considera il sequestro dal punto di vista di Francesco Cossiga, nuovo ministro degli Interni, destinato a diventare dopo pochi anni Presidente della Repubblica, presentando i tormenti del grande giurista sardo, sospeso tra i sensi di colpa per non poter mediare direttamente con le Brigate Rosse, allo scopo di far rilasciare il suo mentore Moro, subendo le pressioni di Giulio Andreotti. A quest’ultimo, il più longevo e discusso dei Presidenti del Consiglio della Repubblica italiana, Bellocchio non dedica un episodio specifico, ma la sua figura aleggia nell’intero dramma, quasi incarnasse alla perfezione l’anima del partito di maggioranza.

La terza narrazione si concentra sulla figura di Paolo VI, interpretato da un bravissimo Toni Servillo, angosciato dai vani tentativi per ottenere il rilascio dell’amico e confidente Aldo. Forzando la mano sulle testimonianze storiche, come peraltro riportato in maniera onesta nella dichiarazione in apertura dei titoli di coda, Bellocchio ci presenta una figura del Montini, solenne ed austero, ma non così lontano dalle dinamiche oscure della Chiesa. La raccolta di un’ ingente somma, poi non utilizzata, lascia intendere una provenienza non così limpida nelle casse del Vaticano. Lo stesso Paolo VI cederà alle pressioni di un governo (almeno in apparenza) intransigente, lanciando un accorato appello ai terroristi, ma senza proporre alcuna effettiva contropartita negoziale. Nel quarto atto si tende a ricostruire la dinamica operativa dei terroristi, in particolar modo raccontando la storia di Adriana Farada, una degli attivisti delle Brigate Rosse. Non mancano riferimenti ai dubbi di coscienza ed alle perplessità degli stessi terroristi che, in alcuni passi, sembrano meno colpevoli dei politici per il tragico destino di Aldo Moro. Protagonista indiscussa del quinto episodio è la moglie dello statista, Eleonora, la cui parte è affidata ad un’eccezionale Margherita Buy.

Il quinto è forse l’episodio più introspettivo della serie, rivelando lo stupore ed il grande dolore della donna, ma anche la sua forte determinazione di fronte ai tentennamenti ed alle ipocrite rassicurazioni di facciata dei dirigenti della Democrazia Cristiana. Intorno alla moglie sono delineati i sentimenti degli altri familiari stretti, sempre in maniera delicata e dignitosa, senza mai sfociare nel patetico. L’ultimo episodio della serie, infine, in maniera originale, si conclude con due scenari possibili: il rilascio ed il ricovero dello statista in ospedale; la sua uccisione avvenuta il 9 maggio 1978, 55 giorni dopo il rapimento. La scena emblematica di Andreotti, Cossiga, Zaccagnini e di altri esponenti politici, che osservano in fila Moro adagiato sul letto, mentre enuncia la sua disapprovazione e rassegna le dimissioni da ogni carica, lascia intendere inequivocabilmente l’imbarazzo che avrebbero provato questi personaggi, se il finale fosse stato diverso da quello reale. Alla fine, il messaggio è chiaro: soltanto il sacrificio estremo di Moro poteva salvare la faccia sia allo stato, che intendeva dimostrarsi fermo davanti ai ricatti dei terroristi, sia alle stesse Brigate Rosse che potevano così portare a termine la terribile “condanna” pronunciata a beneficio dei più strenui sostenitori della lotta contro le istituzioni del nostro Paese.

Il delitto Moro: la storia vera

E’ superfluo ribadire come il caso Moro costituisca una delle pagine più drammatiche, controverse e misteriose della vita politica italiana. Dopo una prigionia durata 55 giorni, nel corso della quale le Brigate Rosse proposero uno scambio di prigionieri con lo stato italiano, il presidente Moro fu sottoposto ad un sedicente “processo politico” da parte di un imprecisato “tribunale del popolo”, istituito dagli stessi terroristi. Il suo cadavere fu ritrovato il 9 maggio, così come racconta la fiction, riferendoci al finale convenzionale. Non appare casuale il dettaglio che il corpo di Moro sia stato ritrovato in una renault 4 rossa in via Michelangelo Caetani, che si trova a 150 metri sia da Via delle Botteghe Oscure, sede dell’allora Partito Comunista, sia a 150 metri da Piazza del Gesù, sede storica della Democrazia Cristiana. Nel corso delle indagini giudiziarie, emerse che all’attuazione del piano del rapimento parteciparono 11 persone. Tuttavia, le testimonianze degli stessi brigatisti sono apparse contraddittorie su vari punti e, pertanto, l’identità dei reali partecipanti rimane ancora un mistero. Anche sugli effettivi obiettivi delle Brigate rosse rimangono molti dubbi irrisolti. Due giorni dopo il rapimento, in San Lorenzo al Verano, fu fatto ritrovare il primo comunicato dei terroristi, secondo il quale, come da copione, questi avrebbero voluto colpire il regime democristiano, pietra miliare dello “stato imperialista delle multinazionali”, mentre il Partito Comunista, a rischio di contaminazione borghese, avrebbe rappresentato un concorrente da superare con la lotta armata. In quest’ottica i brigatisti si avvicinavano molto all’operato della RAF tedesca, al punto che alcuni analisti cercarono di dimostrare parallelismi tra il rapimento di Moro ed il caso del sequestro di Hans-Martin Schleyer. Secondo, invece, le dichiarazioni del brigatista Mario Moretti, la sua organizzazione voleva colpire proprio Moro, in quanto artefice di un possibile governo di solidarietà nazionale, che avrebbe potuto comportare il definitivo indebolimento dei gruppi eversivi. In più, stando sempre a quanto dichiarato dallo stesso Moretti, le Brigate Rosse avrebbero progettato di rapire Giulio Andreotti, ma di aver desistito da quel proposito, in quanto troppo protetto dalle forze di polizia.

Nonostante la versione romanzata, in Esterno Notte si concede ampio spazio alle lettere che Aldo Moro scrisse durante la prigionia. Nel periodo della sua detenzione, il presidente della Democrazia Cristiana scrisse ben 86 lettere (almeno considerando la somma tra quelle che pervennero ai destinatari e le altre che furono ritrovate in seguito nel covo dei terroristi, in via Monte Nevoso a Milano). Le missive furono indirizzate ai più importanti esponenti del suo partito, alla famiglia, ai più popolari quotidiani nazionali ed al papa Paolo VI. Molto si è discusso sul contenuto di queste lettere. Se da un lato, Aldo Moro cercava di aprire trattative con le più alte cariche dello stato, dall’altro sembrava che inviasse messaggi criptici per far capire di trovarsi ancora a Roma. Inoltre, davvero singolare appare la lettera recapitata l’8 aprile, con la quale Moro lancia una vera e propria maledizione contro i dirigenti/amici della Democrazia Cristiana, colpevoli di ottusa intransigenza per non volergli salvare la vita, rilasciando i prigionieri politici richiesti dai brigatisti. Gli alti esponenti della D.C. portarono avanti, anche per convenienza, la tesi che Aldo Moro non avesse goduto di ampia libertà nella scrittura e che fosse stato perfino sottoposto a tecniche di “lavaggio del cervello” da parte dei brigatisti. Le testimonianze  e le inchieste processuali degli anni successivi, tuttavia, dimostrarono che Moro non fu mai sottoposto a torture o a minacce durante il sequestro. Il film di Bellocchio mette bene in evidenza la paura di un uomo che, comprendendo l’epilogo del suo triste destino, cerca in tutti i modi di restare aggrappato alla vita.

Non tutto il mondo politico si unì al fronte dalla fermezza, composto sostanzialmente dalla Democrazia Cristiana, dai Sociali Democratici, dai Liberali e dai Repubblicani, posizione condivisa, pur per motivazioni diverse, dal Partito Comunista e dal Movimento Sociale. Possibilista era il partito socialista di Craxi, i radicali e la sinistra non comunista, nonché una parte dei cattolici progressisti ed uomini di cultura come Leonardo Sciascia. Prevalse, come è ben noto, il fronte della fermezza, in quanto la scarcerazione dei terroristi, oltre a dimostrare la debolezza delle istituzioni statali, avrebbe minato l’esatta applicazione delle sue leggi e la certezza della pena. Inoltre, una trattativa con le Brigate Rosse ne avrebbe legittimato in qualche modo il riconoscimento politico, nonostante i metodi violenti ed intimidatori, nonché il rifiuto delle regole basilari della democrazia politica.

L’assassinio di Moro determinò il definitivo fallimento della stagione del compromesso storico, nonché dell’ibrida formula dei governi di solidarietà nazionale.  Almeno in apparenza le istituzioni dello stato sconfissero i terroristi seguendo l’orientamento dell’intransigenza e senza istituire leggi di emergenza, Di seguito, nelle strategie processuali, si pensò ad elaborare disposizioni normative specifiche per i “pentiti” ed i “dissociati”, favorendo confessioni e confronti utili allo smantellamento delle organizzazioni terroristiche. Sotto il profilo giudiziario, così come accennato dalla stessa fiction “Esterno notte”, furono intrapresi regolari procedimenti penali, ma i brigatisti rifiutarono la difesa, proclamandosi “prigionieri politici” ed invocando il diritto di asilo, riservato appunto a tale categoria. Ma le richieste dei terroristi non furono ascoltate ed i procedimenti penali furono regolarmente celebrati negli anni a venire, non senza ombre ed incongruenze.

Sulle dinamiche del caso Moro si sono succedute negli anni molteplici speculazioni dei complottisti, che hanno cercato di spiegare il sequestro e l’assassinio di Moro con motivazioni non esclusivamente interne alla lotta armata di classe portata avanti dalle Brigate Rosse. Il film di Bellocchio si tiene saggiamente lontano dalle teorie complottiste, peraltro smentite dalla numerose testimonianze e dagli atti processuali.   Inoltre, con l’accesso agli archivi contenenti documenti de-secretati, dopo le direttive prima di Prodi e poi di Renzi, non è emerso nulla che potesse spiegare diversamente il caso Moro, a differenza di altri grandi misteri italiani, come ad esempio la presunta vicinanza di forze dell’eversione fascista ai vertici dei Servizi Segreti. Dal possibile coinvolgimento della Loggia P2., al coinvolgimento diretto dell’Unione Sovietica  o degli Stati Uniti: tanti sono gli interrogativi che ancora accendono la curiosità di coloro che non si sono accontentati dell’unica responsabilità delle Brigate Rosse nel sequestro di Moro. Di certo entrambe le super-potenze guardavano con diffidenza all’alleanza politica strategica tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Nei giorni antecedenti al rapimento, Moro era stata avvicinato più volte da uno studente russo che gli aveva fatto domande sulla sua attività e perfino sulla scorta, tanto da insospettire lo stesso statista. Per quanto riguarda i rapporti con gli Stati Uniti, è ben noto come Aldo Moro avesse avuto, durante una visita a Washington, un duro scontro con Henry Kissinger, allora segretario di stato americano, che non vedeva di buon occhio l’entrata del partito comunista nel governo italiano. I vertici politici italiani affermarono di aver avuto difficoltà a contattare, durante i convulsi giorni del rapimento, i servizi segreti americani, che non avrebbero partecipato alla ricerca del presidente, mentre altri si spingono ad affermare che CIA e MOSSAD avessero infiltrati nelle Brigate Rosse e che conoscessero il luogo di prigionia di Moro.

Effetto Notte non “stressa” l’eventuale coinvolgimento delle superpotenze, presentando a margine l’attività di consulenza di un funzionario americano, troppo prudente ed esclusivamente interessato ai vantaggi del proprio Paese. Ed altre ombre sembrano aleggiare sul caso Moro, come le possibili infiltrazioni mafiose, il ruolo  del giornalista Mino Pecorelli e la posizione dell’esperto americano Steve Piecezenik, giunto a Roma su invito di Cossiga, che in quel periodo ricopriva le prestigiose cariche di assistente del Sottosegretario di Stato e di Capo dell’Ufficio per la gestione dei problemi del terrorismo.

Ripercorrere una delle pagine più nere della nostra Repubblica, anche con l’aiuto del cinema, è di certo un esercizio di maturità intellettuale per comprendere meglio le difficoltà che ogni democrazia si trova ad affrontare nelle diverse contingenze storiche.