Blue Weekend: la maturità artistica e umana dei Wolf Alice

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D’estate ogni angolo d’ombra è un prezioso riparo dall’afa e dalla luce accecante che, a volte, sembrano interrompere il flusso naturale delle cose. La ricerca di una freschezza che salvi dai giorni roventi, così come da un quasi inevitabile senso di noia, si fa ossessiva; ogni novità è un’occasione per evadere dalla trappola della monotonia. Ecco, è stato in un pomeriggio dell’estate del 2017, una delle più calde di sempre in Italia, che per la prima volta ho incontrato i Wolf Alice, zigzagando tra le stazioni radio del mio stereo. Radiofreccia stava passando Formidable Cool, una delle tracce del secondo lavoro in studio dei quattro Lupi di Londra, Visions of a Life, uscito quello stesso anno. Una boccata d’aria fresca inattesa: sono stato immediatamente rapito dalla rabbia rockeggiante di Ellie Rowsell e colleghi, tanto che due giorni dopo avevo già ascoltato integralmente entrambi gli album pubblicati fino a quel momento.

Quello dei Wolf Alice, però, non era (e non è, né vuole essere) un rock che si definirebbe puro, per tutte le influenze synth e dream pop che lo rendono più vario e sensibile alla contaminazione. Tuttavia, non si tratta di un tentativo fallito, ma di una pretesa che la band, incline a esprimersi liberamente, fuori da etichette di genere ingombranti, non ha mai avuto. La conferma della sua natura ibrida è arrivata nel giugno del 2021 con Blue Weekend, salutato in un post dalla stessa Rowsell come la cosa migliore ed esteticamente più rappresentativa che il gruppo avesse mai fatto.

I ain’t afraid though my steps appear tentative
I scope it out then I throw myself into it
I ain’t ashamed in the fact that I’m sensitive
I believe that it is the perfect adjective
I wear my feelings on my sleeve, I suggested it
It serves me better than to swallow in a sedative
I am what I am and I’m good at it
And you don’t like me, well that isn’t fucking relevant

Smile

L’album è stato annunciato mesi prima, il 24 febbraio, insieme all’uscita del primo singolo, la poetica The Last Man on Earth, seguito in primavera dalla diametralmente opposta Smile, più affine a vecchie glorie come Fluffy e Giant Peach. Che dire? La prima mi ha fatto riflettere, poiché rispecchia le atmosfere cupe, tipiche di una domenica di pioggia, promesse dal titolo; sentendo l’altra ho pensato che fosse perfetta come sfondo di una rissa in un pub, o quantomeno adatta ad accompagnare una bella sbronza serale. Così, in effetti, si sviluppa l’opera: passando da momenti alternative (e, nel caso di Play The Greatest Hits, dal sapore punk) ad attimi di introspezione onirica à la Cocteau Twins (che contraddistinguono, tra le altre, la già citata The Last Man e The Beach), nelle quali l’io artistico si mostra fragile e assume una voce eterea, dissolta sotto un temporale strumentale che più volte si impone sulle parole, come una perturbazione in un fine settimana lunatico che non dà risposte ferme alla propria ricerca di sé stessi.

Wolf Alice - How Can I Make It Ok? (Lullaby Version - Official Audio)

Chiudendo gli occhi sulla ballata How Can I Make It Ok?, dimenticandosi della realtà, sembra di fare un salto indietro agli anni ’80 per renderli attuali. Certo è che, con Blue Weekend, i Wolf Alice sono diventati ciò che già erano, un gruppo di ragazzi che vuole fare musica come gli viene, ora con la maturità di chi è alla soglia dei trent’anni e inizia a fare i primi veri bilanci di una vita, con una percezione più chiara e distinta del proprio stare al mondo:

Now I’m really feeling myself
You can watch me as I feel myself

Feeling Myself

Blue Weekend è la creatura di una band che si gasa moltissimo sul palco senza rinunciare a una profondità testuale – spiace dirlo – in parte anacronistica, il cui valore sanguina come una ferita aperta che, nell’era del trionfo dell’immediatezza del suono e dell’immagine, non accenna a rimarginarsi. Non continuo, perché andrei troppo oltre rischiando di cadere nel luogo comune e andare fuori tema.

Insomma, buon ascolto. Anzi, buona visione; se non vi bastasse la musica, i video delle canzoni sono stati infatti girati e riordinati come capitoli di un film. Aperto e chiuso dalle due parti di The Beach, Blue Weekend strizza l’occhio ai bei concept album di una volta, che assicuravano all’ascoltatore un’esperienza organica memorabile. Mica poco!