Joseph Ratzinger, Benedetto XVI: la storia del Papa emerito

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Il 31 Dicembre 2022 si è spento, alla veneranda età di novantacinque anni, Joseph Aloisius Ratzinger, 265° papa della Chiesa Cattolica e vescovo di Roma, settimo pontefice tedesco della storia, diventato famoso per aver rinunciato al titolo di vicario di Cristo il 28 febbraio 2013 e, per questo, da allora chiamato con il suggestivo quanto inedito appellativo di “papa emerito”.

La vita di Joseph Ratzinger

Ratzinger nacque il 16 aprile 1927  a Marktl, nella bassa Baviera, ultimogenito di tre figli, dopo la sorella Maria ed il fratello Georg, con il quale condividerà il percorso formativo che lo porterà al sacerdozio. Suo padre svolgeva la professione di commissario di gendarmeria, con un passato di militanza antinazista, mentre la madre, prima del matrimonio, aveva prestato servizio come cuoca in parecchi alberghi della zona d’origine. Un episodio toccò profondamente la sensibilità del giovanissimo Joseph: nel 1941, uno dei cugini, peraltro coetaneo, affetto dalla sindrome di “down”, fu vittima del “programma di eutanasia dei portatori di handicap” promosso dal regime nazista. Il triste evento fu narrato dallo stesso Joseph Ratzinger nel corso di una conferenza agli operatori sanitari, tenutasi il 28 novembre 1996.

Nonostante il fatto che nel 1939, all’età di dodici anni, Ratzinger risultasse già iscritto al seminario minore di Taraunstein, due anni dopo, così come previsto dalla Gesetz uber die Hitlejugend (legge sulla gioventù hitleriana), fu costretto ad aderire alla milizia nazista con obbligo di frequenza periodica, per evitare le pesanti sanzioni pecuniarie comminate ai trasgressori. Nel 1943 fu impiegato come operatore nel supporto aeronautico, dapprima in un reparto di artiglieria antiarea e di seguito nelle operazioni di intercettazioni radiofoniche. Nel 1944 fu assegnato alla fanteria tedesca, ma non partecipò mai direttamente a scontri armati. Durante una delle ultime marce naziste del 1945, il giovane Joseph riuscì a disertare, evitando la fucilazione, pena prevista per quel tipo di reato in tempo di guerra, grazie all’intervento di un sergente amico.  Destano meraviglia i commenti di alcuni suoi acerrimi detrattori che, per infangarne l’immagine, riesumano un presunto passato nazista del “papa emerito”.  E’ quasi superfluo ricordare che, in caso di mobilitazione di guerra, ogni cittadino è obbligato alla difesa della propria patria, a prescindere dal colore politico di appartenenza e che non valgono le cosiddette “obiezioni di coscienza” come in tempo di pace, al giorno d’oggi peraltro ampiamente diffuse anche in campo sanitario. In più, lo stesso giovane Ratzinger, come già accennato, non partecipò mai attivamente ad alcun conflitto armato.

Nel 1946 intraprese il vero e proprio percorso filosofico-teologico che l’avrebbe reso uno dei più fini intellettuali dell’età contemporanea, prima presso l’istituto superiore di Frisinga e, di seguito, presso il prestigioso seminario “Herzogliches Georgianum” di Monaco, completando gli studi presso l’Università Ludwing Maximilianum della stessa metropoli bavarese. Arrivò al sacerdozio, il 29 giugno 1951, insieme a suo fratello Georg e, circa due anni più tardi, discusse la tesi di dottorato in teologia sul pensiero di Sant’Agostino d’Ippona, riportando la valutazione massima di “summa cum laude”. Per cercare di comprendere il pensiero di Ratzinger, sul quale ci soffermeremo in seguito, dopo i cenni biografici, è opportuno sottolineare un importante episodio del suo “cursus honorum”. Nel 1955 fu accusato di “pericoloso modernismo” , durante la dissertazione dal titolo “la teologia della storia di san Bonaventura”, in quanto, secondo il correlatore Michael Scmaus, le idee espresse nel trattato avrebbero potuto comportare una certa soggettivizzazione del concetto di “rivelazione”. Per ottenere l’abilitazione all’insegnamento universitario, Ratzinger modificò alcune parti del saggio, ma preservò l’imprimatur strutturale della originaria stesura. La visione teologica di Joseph lo portò ad avvicinarsi a Karl Rahner, teologo all’avanguardia della Nouvelle Theologie e convinto sostenitore della riforma della Chiesa. Superati gli ostacoli, Ratzinger nel 1957 ottenne la prestigiosa cattedra di teologia fondamentale presso l’Università di Monaco a soli trent’anni.

Il ruolo internazionale

La fama internazionale del giovane professore iniziò nel 1962 quando partecipò attivamente al Concilio Vaticano II, come consulente teologico dell’arcivescovo di Colonia. L’operato di Joseph fu considerato ampiamente “riformatore” ed anche questo elemento stride con la considerazione successiva della sua figura come troppo legata ai modelli conservatori dell’impianto ecclesiastico. Dopo aver ottenuto nel 1966 la cattedra di teologia dogmatica presso l’Università di Tubinga, due anni dopo fu criticato per aver scritto, nel suo libro Introduzione al Cristianesimo, che il ruolo del papa dovrebbe essere quello di sentire tutti pareri all’interno della Chiesa, riducendo di fatto la centralità del papato. Anche questo è un ulteriore indizio della sua visione “dinamica” e per niente “statica” dell’evolversi dell’organizzazione ecclesiastica. Tuttavia, a giusta ragione, a mio avviso, deluse alcune aspettative dei “progressisti”, quando negli anni successivi prese le distanze dalle idee di certi gruppi troppo vicini al marxismo. Nel 1972 fondò la rivista teologica “Communio” che, nei decenni successivi, è diventata un periodico di altissimo rilievo nel panorama del pensiero teologico internazionale, attualmente tradotta in 17 lingue. La sua carriera accademica si arricchì di nuovi prestigiosi traguardi e preziose pubblicazioni, fino alla nomina ad arcivescovo di Monaco il 27 giugno 1977, per volontà di Paolo VI che, dopo pochi mesi, lo nominò anche cardinale. Papa Montini, come si usa per tradizione con tutti i nuovi cardinali, ai quali si assegna onorificamente una chiesa romana, gli attribuì il titolo presbiteriale di “Santa Maria Consolatrice al Tiburtino”, definendolo nel discorso di nomina “un insigne maestro di teologia”. Ratzinger, a distanza di pochi mesi, partecipò ai suoi primi due conclavi che videro prima l’elezione dello sfortunato Albino Luciani (Giovanni Paolo I) e, poi, quella di Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), glorificato e proclamato santo.

Nel 1981 il papa polacco nominò Ratzinger “prefetto della Congregazione per la dottrina della fede”, l’organismo del Vaticano che ha come compito principale quello di vigilare sull’integrità della dottrina cattolica, erede dell’ormai anacronistica istituzione della “Santa Inquisizione”. Tra i suoi scritti più noti e discutibili, vi è senz’altro l’epistola “De delictis gravioribus”in data 18 maggio 2001, indirizzata a tutti i vescovi e agli altri membri della Chiesa Cattolica. Tale epistola, secondo la Corte distrettuale della Contea di Harris in Texas, avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti in scandali per molestie sessuali. Ratzinger fu imputato dalla precitata Corte per “ostruzione alla giustizia” ma, il 20 settembre 2005, il Dipartimento di stato statunitense concesse a Ratzinger l’immunità diplomatica, in quanto capo in carica di uno stato sovrano. La decisione fece molto discutere. Anche sul presunto coinvolgimento del papa emerito nella copertura degli scandali sessuali torneremo in seguito.

L’8 aprile 2005, in qualità di decano del collegio cardinalizio, Joseph Ratzinger presiedette alle esequie di Giovanni Paolo II ed alla successiva “Missa pro eligendo Romano Pontifice”, così come previsto dal diritto canonico vigente. L’omelia pronunciata da Ratzinger nel corso di tale celebrazione fu ritenuta, in seguito, una vera e propria manifestazione del futuro programma di pontificato, denunciando la dittatura del relativismo ed invitando i fedeli a discernere tra il vero ed il falso, tra l’inganno e la verità.

Joseph Aloisius Ratzinger è Papa Benedetto XVI

Joseph Aloisius Ratzinger fu eletto papa il secondo giorno del conclave, al quarto scrutinio, nel corso del pomeriggio del 19 aprile 2005 . Egli scelse il nome di Benedetto, rendendo omaggio sia al santo patrono dell’Europa, sia al predecessore nel pontificato con lo stesso nome che, invano, aveva ammonito le nazioni a non intraprendere la disastrosa prima guerra mondiale. Secondo alcune ricostruzioni, il secondo candidato a ricevere più preferenze sarebbe stato un certo Jorge Mario Bergoglio, destinato comunque a salire al soglio pontificio nel 2013 con l’inedito nome di Francesco I. Dietro, con poche preferenze, si sarebbe posizionato il progressista Carlo Maria Martini, il moderato Camillo Ruini e il veterano della burocrazia vaticana Angelo Sodano. Secondo alcune indiscrezioni, Martini avrebbe consentito l’elezione di Ratzinger, esortando i suoi seguaci a votarlo al quarto scrutinio, proprio per evitare che diventasse pontefice di Santa Romana Chiesa per la prima volta un gesuita, Bergoglio.

Come è ben noto, Benedetto XVI il 13 febbraio del 2013 annunciò che si sarebbe dimesso dal pontificato di lì a 15 giorni, giusto il tempo per consentire l’organizzazione di un nuovo conclave, compiendo un gesto che in realtà non era stato mai compiuto in duemila anni circa di storia della Chiesa. Fuorvianti sono i riferimenti a Celestino V, il papa del “gran rifiuto” citato da Dante, che rinunciò al pontificato nel 1294. In questo caso si trattò di una rinuncia dettata soprattutto da motivazioni politiche, in un’epoca storica durante la quale la Chiesa deteneva un importante potere temporale, nonché favorita dal cardinale Caetani, il futuro papa criminale Bonifacio VIII. Aggiungo che Celestino V non  è stato il solo a rinunciare al papato, poichè nella storia della Chiesa vi sono stati altri casi: risultano documentate le rinunce di Ponziano nel 235, di Silverio nel 537, di Benedetto IX nel 1045, di Gregorio VI nel 1046  e di Gregorio XII nel 1415; sono invece riportate solo dalla tradizione le rinunce di Clemente I nel 97 e di Marcellino nel 304.

La clamorosa rinuncia

Sulle reali motivazioni che hanno portato Ratzinger alla rinuncia del pontificato, sono state diffuse le più svariate teorie, in quanto non ha pienamente convinto la causa dell’età avanzata addotta dallo stesso Benedetto XVI nell’inaspettato discorso di circa dieci anni fa. Vi è da premettere che l’istituto della rinuncia al pontificato è sancita dal canone 332 del vigente codice di diritto canonico che prevede che il papa possa rinunciare liberamente al proprio ufficio, senza che nessuno debba accettare o vagliare tale gesto.  Una parte della Chiesa ultraconservatrice che, per la verità, non aveva neanche visto con favore l’elezione di Ratzinger, rifiutando anche le riforme epocali del Concilio Vaticano II, non ha mai accettato le dimissioni di Benedetto XVI, considerando illegittima l’elezione del gesuita Bergoglio. I complottisti hanno adombrato una serie di ricatti curiali ed internazionali ai danni di Benedetto XVI che si stava adoperando per riformare l’impianto della Santa Sede, soprattutto nelle sue tanto discusse articolazioni finanziarie. Secondo le teorie complottiste, che hanno sottoposto ad ogni tipo di esegesi linguistica le parole pronunciate da Benedetto XVI il 13 febbraio 2013, Ratzinger avrebbe rinunciato al “ministerium” e non al “munus” petrino, determinando de facto l’illegittima elezione di Bergoglio. Hanno destato stupore gli errori disseminati nel testo da un latinista esperto come Ratzinger che, secondo alcuni, avrebbe voluto lasciare dei segnali d’avvertimento nella sua “declaratio”. Ad esempio l’indicazione dell’inesistente “hora 29”, invece delle 20, sarebbe un chiaro indicatore della volontà di Benedetto XVI di rendere ai posteri una difficile quanto ermetica testimonianza. D’altro canto si potrebbe trattare di un mero errore materiale (almeno così è stato spiegato): nelle tastiere il 9 è riportato proprio accanto allo 0.

Vi è da dire che Ratzinger accusava gravi disagi fisici fin dalla primavera del 2012, quando tornò sfinito dal viaggio di una settimana in Messico e a Cuba. Pertanto, la decisione di lasciare il pontificato poteva essere stata ben ponderata, anche alla luce della conclusione dell’inchiesta sullo scandalo “Vatileaks”, quando venne arrestato e processato Paolo Gabrieli che aveva sottratto documenti riservati dal Vaticano. Secondo alcune persone molto vicine a Benedetto XVI, egli, pur avendo già maturato la decisione da tempo, avrebbe atteso la conclusione della suddetta indagine, prima di dichiarare la propria rinuncia, per non dare l’impressione di fuggire davanti ad uno degli scandali più gravi della storia millenaria della Chiesa. Si spingono oltre coloro che affermano che in realtà Ratzinger non avrebbe redatto una dichiarazione di rinuncia, come superficialmente interpretata, ma una declaratoria di “sede impedita”, in accordo con il canone 412 del vigente codice di diritto canonico che prevede tale “status” quando il vescovo diocesano sia impossibilitato ad esercitare l’ufficio pastorale “a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani”. Si tratta di una tesi ovviamente spinta che, al momento, tuttavia, non trova alcun riscontro oggettivo certo.

In altri scritti ci siamo dilungati sulla relazione tra Ratzinger e la tanto controversa profezia attribuita in maniera pseudo-epigrafica a Malachia. Nella suggestiva ricostruzione di questa profezia, ad ogni papa, a partire da Celestino II eletto nel 1143, sarebbe attribuito un motto: a Benedetto XVI corrisponderebbe la frase “de gloria olivae”. Non a caso alcuni monaci che seguono la regola di San Benedetto, al quale Ratzinger ha ispirato il suo pontificato, sono denominati “monaci olivetani”. Inoltre, sull’araldo del papa è raffigurata una persona di colore, simbolo della diocesi di Frisinga, particolare che fa ricollegare il soggetto al termine “olivae” riportato nella profezia. Nell’elenco malachiano, Benedetto XVI sarebbe indicato come il penultimo papa. Dopo di lui sarebbe salito sul soglio pontificio quello indicato con la misteriosa denominazione di “Petrus Romanus”, ultimo papa oppure il primo degli anti-papa che avrebbe inaugurato la fase degli “ultimi tempi” dell’umanità.

Il “Petrus Romanus” viene definito “papa niger” (papa nero) nelle quartine di Nostradamus, un altro appellativo sibillino che potrebbe riferirsi non al colore della pelle, ma all’appartenenza ad un determinato ordine religioso, come ad esempio quello dei gesuiti che portano un mantello nero (il generale dei gesuiti è chiamato “papa nero”, il solo che risponde direttamente al romano pontefice). Ora sappiamo con certezza che Francesco è stato l’unico gesuita a salire sul trono di Pietro nella storia della Chiesa Cattolica. Per questi motivi, probabilmente, mai in precedenza un gesuita era diventato papa, perché avrebbe compreso nella sua figura una somma di poteri davvero eccezionale.

Ratzinger e il pontificato di Benedetto XVI

Coloro che considerano Benedetto XVI l’ultimo papa legittimo e, per questo, reputano attualmente vacante la sede pontificia, hanno evidenziato quattro gravissime irregolarità principali nell’elezione di Bergoglio: 1) innanzitutto la coesistenza di un papa in carica e di un papa emerito; 2) al momento di prendere i voti, i gesuiti accettano la regola, secondo la quale, agli appartenenti a quell’ordine, non è consentito di diventare cardinale, tanto meno papa. Per la nomina a cardinale del gesuita Martini, fu necessaria una dispensa papale, che non può essere concessa per diventare pontefice, altrimenti risulterebbe autoreferenziale; 3) secondo il diritto canonico, devono passare almeno 15 giorni tra il momento in cui la sede è vacante e l’elezione del nuovo papa, cosa che non è avvenuta, perché Benedetto ha rinunciato a far data dal 28 febbraio e Francesco è stato eletto il 13 marzo; 4) infine, sembrerebbe che nelle operazioni di computo dei voti, nel conteggio finale sia risultata un’unità in più, rispetto al numero dei votanti.

Ratzinger viene ricordato come un papa conservatore, ma in realtà, come abbiamo accennato in precedenza, il suo pensiero è molto variegato. In estrema sintesi si potrebbe dire che con la sua teologia conservatrice nel contenuto ha spianato la strada alle grandi riforme della Chiesa Cattolica. Contrariamente alla stereotipata immagine del papa emerito come un conservatore intransigente, fedele custode della tradizione millenaria della Chiesa, forse la definizione più esatta della sua personalità fu quella del suo vecchio collega Hans Kung, divenuto avversario in alcune dispute teologiche: “Ratzinger è essenzialmente un enigma”.

Al rigorismo concettuale di Tommaso d’Aquino, Ratzinger preferisce la spontaneità neoplatonica del pensiero di Agostino d’Ippona, al quale ispira gran parte dei suoi studi. Di valenza decisamente progressista, come si è avuto modo di anticipare, è la concezione di “rivelazione” elaborata dal papa emerito. La rivelazione, per Ratzinger, preesisterebbe alle Scritture e proseguirebbe nel corso della storia, con la conseguenza che la stessa comprensione della rivelazione divina può mutare a seconda delle vicende umane contingenti. Si tratta di un’affermazione che gli costò l’accusa di modernismo, che poi sarà uno dei punti cruciali per la rivoluzione copernicana che si svilupperà in seno al Concilio Vaticano II al quale parteciperà attivamente lo stesso Ratzinger. Poco tempo dopo non passa inosservato un articolo del giovane professore che condanna  la “mondanizzazione” della Chiesa. A ben vedere, questo scritto è solo in apparenza conservatore, rivelando al contrario una chiara presa di posizione sul ruolo della Chiesa: essa deve presentarsi come una “comunità di credenti”, rinunciando a qualsiasi tentazione di potere temporale. Nei lavori preparatori al Concilio Vaticano II, Ratzinger rimarca la sua posizione nei confronti della relazione tra Scritture e Tradizione. Le Scritture, formate dall’Antico e Nuovo Testamento biblico, per la religione cristiana, costituiscono rivelazione diretta della volontà divina. La Tradizione, costituita dalle interpretazioni elaborate dal vertice dell’organizzazione ecclesiastica nel corso del tempo, forma nella visione più conservatrice una fonte altrettanto autorevole rispetto alla Parola di Dio. Per Ratzinger è assurdo che i due sistemi codificativi siano messi sullo stesso piano, esprimendo in sostanza un’idea di cessazione del “trionfalismo” della Chiesa così come era stata espressa fin dall’epoca della Controriforma. Dopo il Concilio Vaticano II, tuttavia, Benedetto XVI  comincia a non ritrovarsi più a suo agio nei dettami determinati dal prestigioso consesso, percependo quasi che la necessaria modernizzazione della Chiesa sia stata recepita dalla maggior parte dei fedeli come un’ “accomodamento” dei principi fondamentali e non come una opportuna revisione.

Le rivoluzioni studentesche divampate alla fine degli anni Sessanta contribuiscono a mettere in guardia Ratzinger contro gli eccessi del modernismo e di una possibile deriva marxista dello stesso pensiero della Chiesa. Nel 1979 desta scalpore il gesto di Ratzinger che, in qualità di arcivescovo di Monaco, revoca la cattedra di insegnamento accademico di teologia fondamentale a Kung, per i suoi scritti polemici nei confronti della Chiesa romana. In Germania l’evento non passa inosservato: non si era mai verificata una così marcata violazione della libertà accademica. Karl Rahner pubblica un articolo di durissima accusa contro l’arcivescovo di Monaco. Da allora non si sarebbero più parlati. Qui nasce la fama di Ratzinger come “nuovo inquisitore”, fama che sembrerebbe confermata quando nel 1982 viene nominato prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. In tale veste, Ratzinger viene ripetutamente criticato per una serie di interventi censori. Tra questi, particolare rilevanza assumono alcune sue nette prese di posizione: la condanna della “teologia della liberazione”, sviluppatasi nell’America Meridionale; l’aspra polemica con il teologo americano Curran sui temi relativi al divorzio, alla contraccezione ed alla omosessualità; il blocco della diffusione di un testo di suor Lavina Byrne, favorevole al sacerdozio femminile; la scomunica del teologo srilankese Tissa Balasuirya, colpevole di aver diffuso idee strampalate sull’immacolata concezione e sulla verginità di Maria, dogmi peraltro difficilmente comprensibili (sul primo né Agostino d’Ippona, né Tommaso d’Aquino avevano espresso il proprio convincimento).

La protesta nei confronti di Ratzinger raggiunge l’apice nel 2000, quando viene pubblicato  il documento “Dominus Iesus”, nel quale si afferma che la Chiesa di Gesù Cristo è l’unica depositaria della verità e della salvezza, sconfessando di fatto alcun suoi precedenti scritti accademici che evidenziavano la non infallibilità dell’operato della gerarchia ecclesiastica.

Nel sodalizio con Giovanni Paolo II, il prefetto Ratzinger diventa il custode dell’ortodossia cattolica. Profondamente diverso per temperamento dal papa polacco, che aveva condotto studi teologici modesti, ne condivide la strategia di bloccare ogni velleità a sinistra di una certa frangia dei movimenti ecclesiastici. Più volte, come garante della fede cattolica, ferma il papa polacco, troppo intriso di devozione mariana, da conclusioni paganeggianti, come quella di dichiarare Maria, pur sempre una creatura umana, “corredentrice” di Cristo nel progetto divino di salvezza. Verso la fine degli anni Novanta ed i primi del nuovo millennio, Ratzinger accusa notevoli problemi di salute, chiedendo più volte a Giovanni Paolo II di andare in pensione.  Ma Carol ha per lui altri progetti: nel 2002 lo nomina decano dei cardinali, incarico che lo pone a capo del collegio cardinalizio.

L’inizio del papato di Benedetto XVI non è tra i più felici. Revocando la scomunica ai seguaci di Lefevbre, che non riconoscevano le innovazioni del Concilio Vaticano II e restaurando antiche consuetudini, come l’utilizzo della mitra dorata e la possibilità di recitare la messa in latino, Ratzinger viene accusato di inaugurare un nuovo periodo di “Controriforma”. Uno dei fatti più drammatici si verifica a Ratisbona nel 2006, durante una dotta dissertazione sui rapporti tra fede e ragione. Benedetto XVI cita una frase attribuita all’imperatore bizantino Manuele Paleologo II: “mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane”. La citazione, peraltro esageratamente interpretata in senso negativo e decontestualizzata, scatena le ire del mondo musulmano. A onor del vero, pur scusandosi per l’errata interpretazione delle sue parole, Ratzinger aveva sempre nutrito una profonda avversione per l’Islam, definita da lui stesso in precedenza come una dottrina religiosa che “non si inseriva nello spazio di libertà della società pluralistica”. In quest’ottica si può spiegare l’udienza concessa alla scrittrice Oriana Fallaci, acerrima nemica dell’Islam.

Per quanto riguarda gli scandali dei preti pedofili, divampati soprattutto a partire dal 2009 con la pubblicazione del rapporto Ryan in Irlanda, la condanna di Ratzinger è ferma e durissima. Già da prefetto per la Congregazione per la dottrina della fede aveva iniziato a modificare le disposizioni normative sui procedimenti penali contro i responsabili di abusi, ma Giovanni Paolo II non aveva mai favorito questa attività di revisione, convinto che i panni sporchi della Chiesa non dovessero essere divulgati all’esterno. Sull’autenticità della ferma condanna alla pedofilia, pesano, però, su Ratzinger alcune scelte operate quando era ancora arcivescovo di Monaco. In quel periodo accolse un sacerdote accusato di molestie contro minori che si stava sottoponendo a cure psicologiche. Quando Ratzinger partì per Roma, il nuovo arcivescovo reintegrò lo stesso sacerdote nelle attività pastorali, secondo alcune ricostruzioni  con il silente assenso del suo predecessore, secondo altre a sua insaputa. Sta di fatto che il sacerdote in questione si macchiò di nuovi crimini sessuali dopo essere stato reintegrato nei sacri uffici. La diatriba sul comportamento di Ratzinger nella arcidiocesi bavarese è stata riproposta lo scorso anno, a seguito della pubblicazione del rapporto indipendente sugli abusi sessuali da parte del clero di quel territorio. In questa relazione sarebbe emerso un coinvolgimento del papa emerito nel processo decisionale o nell’atteggiamento omertoso nei confronti del comportamento di alcuni prelati. Il segretario particolare di Ratzinger, monsignor Georg Gaenswein, si affrettò a smentire la veridicità del rapporto, cercando di dimostrare come il papa emerito fosse stato tenuto all’oscuro da quanto avvenisse nella diocesi. La questione è tuttora controversa.

Tra le numerose opere letterarie di Ratzinger, scritte a titolo personale e non in qualità di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede o come papa, un posto di assoluto rilievo è occupato dalla trilogia dedicata al personaggio di Gesù di Nazaret, pubblicata tra il 2007 ed il 20011. In particolare, il primo della serie, un saggio accurato sulla figura di Gesù Cristo (dal battesimo alla trasfigurazione), è rapidamente diventato un best-seller internazionale, apprezzato anche in ambienti atei, agnostici o di altre confessioni religiose. Compiendo un gesto di grande sagacia ed onestà intellettuale, Ratzinger fece in modo da apporre sulla copertina sia il suo nome/cognome secolare che il titolo pontificio di Benedetto XVI, volendo ribadire che quei volumi non erano destinati ad essere considerati atti del magistero della Chiesa, ma solo “il punto di vista di un credente”, come da lui stesso affermato nel corso della presentazione pubblica del testo. Anche i successivi volumi (il secondo riguardante la vita di Gesù dall’entrata in Gerusalemme alla resurrezione ed il terzo sull’infanzia del Maestro) sono stati considerati dei veri e propri compendi di filosofia e di teologia, redatti con notevole lucidità espositiva. Con sapiente maestria, Ratzinger, consapevole del terreno accidentato sul quale intende muoversi, si propone di presentare la figura storica di Gesù Cristo, distaccandosi volutamente dal metodo storico-critico adoperato dalla maggior parte degli esegeti moderni e delineandone una visione improntata sui dettami dei Vangeli. Potremmo dire che la trilogia su Gesù di Nazaret rappresenti l’opera più alta di maturazione intellettuale del papa emerito che, in tutta la sua copiosa produzione letteraria pregressa, aveva cercato di dimostrare la “ragionevolezza della fede”.

Di certo Ratzinger, ritenuto un algido teutonico, non ha conquistato la popolarità di Giovanni Paolo II, tantomeno ha riscosso le simpatie di Francesco. Sempre schivo e riservato, amante della compagnia dei gatti e del conforto musicale del pianoforte, non ha mai nascosto la propria predilezione per gli studi accademici, riuscendo ad imporsi come uno dei teologi più prestigiosi dell’epoca contemporanea. Allo stesso modo non hai mai nascosto una certa istintiva avversione nei confronti di certi ambienti della diplomazia e della burocrazia curiale, che forse ha provato a correggere, non riuscendo, tuttavia, a portare a termine la sua missione, sia per le pressioni ricevute che per che le precarie condizioni di salute.

Forse Ratzinger può essere definito un “conservatore modernista” o un “modernista conservatore”, o più semplicemente un “enigma”, come affermato da uno dei suoi compagni di dispute dottrinarie, molti anni prima della sconvolgente rinuncia alle funzioni pontificie.