È così bello essere anacronistici rispetto al tempo in cui viviamo: essere presenti qui e ora nel bel mezzo dell’oscurità e della catastrofe in atto, ma con i cuori ardenti di stupore e meraviglia.
“And in the Darkness, Hearts Aglow”, quinto album in studio di Weyes Blood -Natalie Laura Marning- è un elogio alla “lentezza” a prenderci del tempo per guardare dove siamo arrivati: iper connessi, iper isolati e sempre più distanti dalla natura che ci circonda e da noi stessi.
Già l’ho detto e sebbene reperita iuvant ma anche scocciam, è così bello essere anacronistici: Weyes Blood ce l’ha ricordato con un disco le cui composizioni esulano dalla durata radiofonica; esclusi gli interludi di “And in the Darkness” e “In Holy Flux” la lunghezza della maggior parte dei brani si aggira attorno ai sei minuti.
Brani che sembrano per l’appunto provenire da un altro mondo musicale, non quello dello streaming imperante, quanto piuttosto quello del vinile; brani che sembrano usciti da una porta spazio temporale con gli anni 70 e un certo cantautorato femminile, in primis Joni Mitchell; brani eterei, con degli arrangiamenti orchestrali che gli danno un ampio respiro.
Ecco, “And in the darkness, hearts aglow” è un disco ardente di coraggio, passione e sentimento; un disco che ci fa sospirare, respirare e prenderci del tempo per essere online con noi stessi.
Sicuramente uno dei dischi più interessanti usciti quest’anno. Stupendo.