Le mille e una notte: trama, interpretazione e simbologia

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Nel linguaggio comune, quando ci si riferisce alle “Mille e una notte”, viene subito da pensare ad un libro di favole che illustri racconti fantastici, ma in realtà la storia della sua composizione è molto più complessa. La raccolta, intitolata “Le mille e una notte” affonda radici nella civiltà egizia, in quella mesopotamica, persiana ed indiana, anche se poi, a livello universale, è stata maggiormente diffusa e conosciuta nella sua versione araba. La denominazione persiana ed araba originaria andrebbe tradotta, comunque, letteralmente: “Mille notti e una nottata”. Vi è da sottolineare che il numero 1000 non deve essere inteso nel suo significato strettamente numerico, in quanto nella lingua araba ha soprattutto il valore semantico di “innumerevoli”, volendo attribuire un’estensione ideale ed infinita al concetto da esprimere. Tuttavia, alcuni compilatori e traduttori successivi vollero dare un significato letterale al numero 1000, al quale cercarono di adattare il testo in maniera postuma, mediante la divisione o l’aggiunta di altre fiabe.

La trama

La raccolta ha un protagonista maschile indiscusso: il re persiano Shahriyar, che regnava sul territorio di Samarcanda. Su di lui si incentra l’intero intreccio narrativo. Il sovrano è descritto come un uomo infelice e malvagio, divenuto tale dopo aver scoperto il tradimento della prima moglie che amava. Tutto ha inizio quando il re parte per ritrovare suo fratello, un altro sultano regnante nella parte settentrionale delle Indie ma, travolto dalla nostalgia per la moglie, torna indietro e la trova a letto con il capo-campo, il suo uomo di fiducia.  Per salvare l’onore, secondo il rigido codice morale del tempo, il sultano non può fare altro che decapitare i due traditori. Per ironia della sorte, ma soprattutto per esigenze di convergenza narrativa, lo stesso destino sarà riservato al fratello che troverà la sua consorte tra le braccia di un altro uomo. A seguito di tale evento, per vendicarsi del sesso femminile, il re di Samarcanda uccide con cadenza sistematica le sue successive spose, dopo aver consumato con loro la prima notte di nozze.  La cruenta pratica è tristemente conosciuta nel regno centro-asiatico ma, ciò nonostante, ad un certo punto, la bella Shahrazad, figlia maggiore del gran visir, prende la strana e coraggiosa decisione di offrirsi come sposa al sovrano, ritenendo di aver ideato un piano capace di far desistere il re dall’ormai consolidato proposito di odio nei confronti del genere femminile. Il piano consiste nel raccontare al re una storia avvincente, rimandando il finale alla sera seguente. Shahriyar si appassiona così tanto alla narrazione dell’intelligente ragazza che la vicenda prosegue per “mille e una notte”, o meglio per “innumerevoli notti”, fino al momento che il sultano, innamoratosi perdutamente di lei, le risparmia la vita.

“Le mille e una notte” si basa su un impianto narrativo a dir poco singolare, in quanto le storie più importanti sono raccontate in prima persona da Shahrazad, mentre quelle minori sono, a loro volta, declamate dai personaggi principali delle storie narrate dalla giovane donna, come in un gioco di scatole cinesi. Si tratta di una tipologia di espediente narrativo molto simile a quello che sarà introdotto da Giovanni Boccaccio nel 1300 nella famosa ed innovativa opera “Decameron”, nella quale si fa largo uso della meta-narrazione che serve meglio ad individuare le caratteristiche principali dei protagonisti. La cosiddetta concezione di “cornice narrativa” era già presente nell’antica letteratura sanscrita che influenzò i testi arabi e persiani, mediante la diffusione della “Pancatantra”. Il contesto è, però, molto diverso rispetto a quello dell’opera citata, dove la cornice narrativa aveva scopi prettamente didattici, al fine di lanciare moniti sulle conseguenze di negative condotte morali. Nelle “Mille e una notte”, invece, le connessioni fra gli svariati racconti ed i messaggi spirituali racchiusi negli stessi sono molto più profondi e sottili, al punto da richiedere un’attenta analisi da parte dell’esegeta.

L’interpretazione del testo

Come si è avuto modo di accennare in apertura, l’elaborazione della raccolta, chiamata in seguito “Le mille è una notte”, trae origine da un crogiuolo di culture diverse e, pertanto, le problematiche interpretative relative alla sua evoluzione sono estremamente complesse e diversificate. Il nucleo più antico, con ogni ragionevole probabilità, si basa su una narrazione indo-persiana inizialmente tramandata per via orale come, del resto, la maggior parte dei contenuti dei testi più datati, compreso l’Antico Testamento biblico. Gli studiosi ritengono che questo composito insieme di racconti e di novelle, diffusosi nel corso dei secoli in una vasta zona geografica che, partendo da occidente, si estende dall’Egitto fino all’India, sarebbe stato tradotto in lingua araba per la prima volta intorno all’ottavo secolo. Le prime traduzioni, però, sono considerate soltanto parziali e limitative, mentre soltanto a partire dal decimo secolo sarebbe stata elaborata la prima stesura organica di quello che, in seguito, sarebbe diventato uno dei libri di fiabe più apprezzato della storia. Tale convincimento in ambito accademico deriva da un rilevante indizio documentale: proprio nel X secolo Ibn al-Nadim, nel suo testo “KitabAl-Fihrist”, traducibile in italiano con l’espressione “catalogo dei libri”, fa riferimento ad un “libro di racconti persiani”, chiamato “Hazar Afsan” (mille storie), dal titolo già molto simile a quello definitivo. 

Il testo conteneva già 200 racconti, utilizzati dalla giovane Sheherezade  allo scopo di salvarsi dalla crudele ed angosciante misoginia del sovrano, potendo rappresentare, secondo la maggior parte degli esegeti, la parte più antica delle “Mille e una notte”. Altri indizi documentali, come un taccuino del 1150 circa, appartenuto ad un libraio ebreo e ritrovato nel 1958, attestano che copie manoscritte del “Kitab Hadith Alf Layla” (libro del racconto delle mille notti) erano già diffuse in vari Paesi del bacino mediterraneo nel corso del dodicesimo secolo. Con il passar del tempo, la raccolta si arricchisce di nuovi elementi, fino ad arrivare al quindicesimo secolo, quando ormai si presenta, più o meno, nella versione che è arrivata fino ai nostri giorni.  Nei primi anni del diciottesimo secolo, Antoine Galland, sommo esperto in materia di cultura araba, traduce per la prima volta le “Mille e una notte” in una lingua con alfabeto latino: il francese. Il nuovo testo, però, contiene nuove novelle aggiunte dallo stesso traduttore, come le diversità linguistiche ed i riferimenti storici alla sua epoca contemporanea dimostrano in maniera inequivocabile. Circa un secolo più tardi, è stato l’inglese Edward William Lane che ha cercato di tradurre, in maniera pressoché fedele all’originale, l’antica raccolta orientale. Ma il suo lavoro è stato in parte vanificato dall’ipocrita morale vittoriana che ha favorito la censura di tutti i passi contenenti situazioni erotiche o passionali.

La censura non scoraggiò Richard Francis Burton che, secondo i critici successivi,  si cimentò in una traduzione ancora più fedele all’intento degli originari autori, introducendo numerose note ed appendici che spiegassero in maniera minuziosa i costumi sessuali e culturali del mondo musulmano medievale. La versione di Burton, in realtà, rimane ancora oggi quella maggiormente estesa, essendo formata da ben sedici volumi, di cui dieci di “Mille e una notte” e sei di “Notti supplementari”, dove sono inseriti i celebri racconti di Aladino e di Alì Babà. Tra le traduzioni italiane, forse la più completa è quella curata da Francesco Gabrieli e pubblicata dalla casa editrice Einaudi.

Il contesto, o meglio i contesti, in cui si muovono “Le mille e una notte” è davvero molto vario, derivando da un nucleo originario indo-iranico, a cui si aggiungono elementi egiziani ed arabi. Dal punto di vista tassonomico si possono distinguere, all’interno della raccolta, diversi cicli di novelle: il ciclo indo-iranico, il ciclo cosiddetto di Baghdad  di ovvia tradizione arabo-musulmana, il ciclo ambientato in Egitto, il ciclo avventuroso che mostra influenze giudaiche, nonché un ciclo minore con caratteristiche greco-ellenistiche e, perfino, un filone di racconti contestualizzati in Cina e sui monti Urali.

Nella prima storia della raccolta, dal titolo “Sherazade e Shahyriyar”, che funge da “prologo”, si parla del tradimento subito dal sovrano e dell’orrenda consuetudine di uccidere le successive giovani mogli, dopo la prima notte di nozze. Come già detto, solo Sherazade, mediante lo stratagemma dei racconti, con l’aiuto della sorella Dunyazad, riuscirà a salvarsi, suscitando la curiosità e ravvivando i sentimenti d’amore del sultano. Tra le fiabe più interessanti, raccolte nelle “Mille e una notte”, le più famose sono sicuramente “Aladino e la lampada magica”,  “Alì Babà ed i quaranta ladroni”, “Sinbàd il marinaio ed i suoi viaggi”, nonché “Il facchino di Baghdad”, meglio conosciuto come “Il ladro di Baghdad”. Di grande significato didascalico e simbolico vi sono anche altri racconti, come “Nur ed-Din e la bella Persiana”, “Ghanim e la principessa Tormenta”, La storia delle tre mele”, “Il racconto del gobbo e dei condannati”, così come “Il cavallo incantato” e “La favola delle tre sorelle”. Ciascuna delle novelle contenute nelle “Mille e una notte” è stata, poi, nel corso degli anni rivisitata ed adattata al contesto culturale di riferimento, sia mediante produzioni letterarie che cinematografiche, acquisendo una propria struttura e affrancandosi spesso dall’ambientazione originaria.

La trama complessiva delle “Mille e una notte” offre una vasta gamma di riflessioni, innanzitutto in relazione all’indiscussa protagonista femminile, la bella ed intelligente Sherazade. La giovane nobile capovolge la tradizionale e convenzionale visione che, specialmente nelle società patriarcali medio-orientali, considera la donna sottomessa ai voleri dell’uomo. Sherazade o Shahrazad,  a seconda delle diverse modalità di scrittura riportate negli antichi manoscritti ritrovati, diventa il simbolo dell’intelligenza, dell’abilità e del fascino esercitato mediante la parola, cancellando l’immagine di seduzione esclusivamente fisica presente in una parte del pensiero collettivo. Con il suo astuto stratagemma, la ragazza riesce a riportare il sovrano verso l’amore, determinando non solo la propria salvezza, ma anche quella di altre giovani donne e favorendo non poco la prosperità stessa dell’intero popolo.               Lo stratagemma di Shrerazade, pertanto, deve essere considerato un gesto d’amore e di solidarietà sociale e non un mero calcolo egoistico.

Un altro aspetto importante che colpisce, nell’intero impianto narrativo della raccolta, è la sua spiccata “universalità”. I personaggi che si incontrano nelle varie novelle appartengono alle più diverse classi sociali: oltre a re, principesse, califfi, visir, sceicchi ed altri potenti, troviamo con la stessa disinvoltura le vicende di mercanti, pescatori, facchini, ladri, adultere, schiavi, poeti, sarti, barcaioli e così via. Il testo, in quest’ottica, offre una straordinaria panoramica del mondo arabo medievale, forse all’apice del suo splendore culturale, dove le disuguaglianze sociali e le intolleranze religiose erano meno marcate rispetto al continente europeo.

La versione originale indiana dell’opera di seduzione, messa in atto con audacia dalla giovane protagonista, redatta in lingua sanscrita, è maggiormente plastica, forse perché influenzata dalla tradizione erotica tantrica che unisce le esigenze spirituali a quelle legate alla sensualità. Sembra quasi che Sherazade intenda mostrare al sovrano quali siano le vere cause del tradimento, facendogli riscoprire la scintilla d’amore sopita nella sua anima, ma ancora non del tutto spenta. Le ragazze, che il re aveva sacrificato negli anni precedenti, potevano in apparenza offrirgli solo l’appagamento sessuale, mentre Sherazade gli fa conoscere un mondo nuovo, attraverso la conoscenza e la straordinaria capacità di comunicare. Per questo, l’epilogo delle “Mille e una notte” può dirsi davvero “a lieto fine”: la ragazza sposa il re, poiché la sua intelligente azione seduttiva riesce a superare anche l’odio mortale dell’uomo.

Gli esegeti si sono chiesti quali potessero essere gli obiettivi degli autori delle fiabe contenute nella raccolta e quale messaggio fosse racchiuso in esse. Da un’analisi generale, si può affermare che l’opera cerchi di comprendere i segreti dell’universo, in modo da fornire al lettore una chiave di lettura in grado di discernere il bene dal male, non mediante concetti astratti, ma attraverso la narrazione di fatti contestualizzati in un preciso ambiente, seppure arricchiti di elementi e di personaggi fantastici.

La simbologia

La simbologia che si può individuare nelle “Mille e una notte” è davvero molto ricca, riecheggiando con prepotenza molteplici elementi filosofici, religiosi e di costume. Non mancano immagini che prendono spunto direttamente dal libro sacro alla religione musulmana, il Corano. Ad esempio, nel già citato racconto, Nur-al-Din e la bella persiana, conosciuto anche con il titolo di Nur-al-Din e Maryam, la venditrice di cinture, è possibile riconoscere l’iconografia del “giardino” (una sorta di Eden biblico) promesso ai “timorati di Dio” di cui parla il Corano. Il giovane protagonista della novella viene invitato, in compagnia di alcuni amici, in un giardino misterioso e fuori dal comune. La visita a tale luogo influisce profondamente sulla vita del ragazzo che ne dà una descrizione onirica e, nel contempo, assai dettagliata: “era un giardino in cui c’era tutto ciò che le anime vogliono. Appariva di solida costruzione e cinto da alte mura. Il suo porticato aveva una porta celestiale che somigliava alla porta del paradiso. Il suo portiere si chiamava Ridwan….Nel giardino c’era ogni genere di frutti, arbusti profumati, verdure e piante aromatiche come gelsomino, fior di ligustro, pepe, lavanda, rose di ogni specie, piantaggine, mirto e tante altre..”. 

Il giovane racconta di essersi sentito rinvigorito e di essersi abbandonato, insieme agli amici, dopo un lauto banchetto, ai più sfrenati piaceri della carne unendosi promiscuamente  con ragazze del posto. Ma ben presto arriva la punizione di Allah che non perdona ai peccatori di aver attinto alla fonte di quei piaceri di cui avrebbero dovuto godere soltanto dopo la morte, in una dimensione ultraterrena. La novella vuole insegnare come l’arroganza umana sia destinata a soccombere ed il “giardino”, come del resto succede nel libro della Genesi, diventa il teatro del conflitto tra il divino e l’umano.

Le vicende narrate nelle “Mille e una notte” spesso confondono la realtà con il sogno, costituendo un felice esempio di “coincidentia oppositorum”: ogni elemento, in un contesto diverso dal precedente, può diventare il suo contrario. Leggendo il testo si incontrano le situazioni più paradossali, come un principe che si materializza dalle spoglie di un uccello (chiaro riferimento al mito della fenice), o un povero che in realtà è un nobile, così come un bottegaio che si comporta da sciocco, ma che nella sua vera essenza è un gran sapiente. Seguendo questa ulteriore linea interpretativa, uno dei personaggi più significativi della raccolta risulta essere il califfo “Harùn el Rashid” che, allo scopo di comprendere cosa pensino di lui i sudditi, senza finzioni cerimoniali, si traveste in un popolano qualunque e si introduce nella folla alla ricerca di utili informazioni. Il califfo è, a questo punto, nello stesso tempo monarca e suddito, sperimentando la vita quotidiana della gente comune ed acquisendo un più alto livello di saggezza, utile al prosieguo del suo governo.

In conclusione, mi piace chiudere questa breve trattazione, riportando alcune frasi contenute nella raccolta delle “Mille ed una notte” che, con alcune varianti, sono diventate un vero e proprio mantra in voga nella sapienza popolare:

“L’amore è un gran traditore che può gettarvi in un precipizio, dal quale potreste non uscirne mai più”.

“Tieni il tuo segreto e non dirlo ad alcuno: perchè chi lo rivela, non ne è più padrone! Se tu non puoi mantenere il tuo segreto, come potrà mantenerlo quello cui l’avrai confidato?”.

“I luoghi più incantevoli non possono dilettare, quando vi si sta contro il proprio volere”.

“E’ naturale illudersi su ciò che si desidera”.

Risulta evidente come le frasi citate costituiscano delle massime che oltrepassano l’ambientazione a cui si riferisce il dato testuale, esprimendo concetti ben più profondi e raffinati, nonché trasmettendo preziose, universali e significative lezioni di vita.